Nel 1980 la band canadese Rush pubblica l’album Permanent Waves, la prima traccia si chiama The Spirit of Radio. Il testo scivola per i cinque minuti della durata della canzone senza un vero e proprio raccontare ma piuttosto esprimendo qual è la natura della radio e il rapporto che si crea con l’ascoltatore; in un certo senso non è una canzone sulla radio, ma con la radio.

Marshall McLuhan definiva il mezzo radio come un media “caldo”, questo perché estende un unico senso in alta definizione fino alla saturazione informativa. La radio è pregnante. La radio è presente.

Un altro media “caldo” è il cinema che spesso ha cercato di raccontare l’esperienza radiofonica, dai biopic sulle vite degli speaker radiofonici come Good Morning, Vietnam e Private Parts, passando per Radio Days e fino ad arrivare al più recente I Love Radio Rock. Addirittura la prima regia di Clint Eastwood nel 1971 con Brivido nella Notte aveva come protagonista uno speaker. Per non passare da esterofilo mi limiterò a citare le esperienze italiane come Radio Freccia e alcune parti de I Cento Passi.

Il cinema ha spesso parlato della radio, ma cosa succede quando il cinema parla attraverso la radio?
Cercherò di spiegarmi meglio. Che cosa succede quando la radio non viene raccontata, ma viene usata per raccontare?
L’inserimento del media radio all’interno del media cinema è più frequente di quanto si pensi; spesso non viene notato perché è un accompagnamento non intrusivo, è un raccordo, è un introduzione alle scene. Ci sono vari espedienti e vari livelli di inclusione all’interno del film, dalla sola presenza della voce fino alla partecipazione attiva dello speaker.

Provate a pensare a Le Iene di Quentin Tarantino senza la voce del dj K-Billy che introduce Stuck in the middle with you degli Stealers Wheel, provate a pensare se Michael Madsen non avesse ballato sulle note di “un pezzo giovanile di spiccata influenza Dylaniana” mentre tortura un poliziotto.
Un’intera sequenza icona di un nuovo tipo di cinema è introdotta dalla voce di uno speaker radiofonico che inconsapevolmente crea per i protagonisti un mood unico, la scena perfetta, la colonna sonora inaspettata.

Nel film cult di Walter Hill del 1979, I Guerrieri della notte, sono le minacce di morte pronunciate dalla voce vellutata di dj Bonnie a raccordare le fatiche della gang degli Warriors attraverso i quartieri di New York fino a Coney Island. Alcune delle parti più interessanti di Fa la Cosa Giusta di Spike Lee riguardano le intrusioni all’interno della storia del dj Mister Senor Love Daddy, interpretato da Samuel L. Jackson. Memorabile la sequenza dove lo speaker fa “l’appello” citando i nomi dei musicisti che trasmette, mentre la cinepresa ci svela un attimo di vita quotidiana del quartiere di Bedford-Stuyvesant.

1971, Richard Sarafian dirige Punto Zero, caposaldo dei Road Movie e cult assoluto la cui storia non avrebbe alcun senso senza la presenza di Super Soul, speaker cieco della radio K.O.W. che interviene continuativamente all’interno della storia in aiuto del protagonista Kowalski. L’intera vicenda raccontata ne La Leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam scaturisce dall’incidente provocato involontariamente dalla trasmissione del cinico Jeff Bridges/Jack Lucas.

Per la sua stessa natura, la radio è un mezzo integrabile all’interno del racconto, la presenza eterea della voce è un accompagnamento e non un surplus.

Come cantavano i Rush “all these machinery making modern music / can still be open-hearted / not so coldy charted, it’s really just a question / of your honesty, yhea, your honesty.”.