Siamo un paese libero, checché ne dicano certi sprovveduti che a sproposito, quando si argomentano tesi diverse dalle loro, parlano di dittatura. A coloro che non credono a quanto appena scritto consiglio di scambiare due parole -soprattutto ascoltando!- con chi proviene da qualche paese totalitario…

Ognuno di noi, infatti, può sostenere tutto quello che vuole, anche questa è libertà, pur se è innegabile che un minimo di buon senso, meglio ancora se aiutato dalla giusta dose di modestia e magari pure un poco di scolarizzazione, formazione, letture e così via dovrebbe farci pensare prima di parlare, o peggio scrivere (perché quest’ultimo, com’è noto, rimane). Certo, perché anche quello che facciamo online sembra scomparire ma al massimo trasla verso il basso nella schermata ma “drammaticamente” rimane, come ben sa chi ha cercato, senza riuscirci, l’oblio: molti cercano di apparire per primi, e qualcuno ci riesce, altri vorrebbero scomparire, ma è pressoché impossibile.

La cosa è ancor più grave nel caso dei social network, che un tempo ringraziavamo per averci fatto diventare “protagonisti dal basso” ma che tra i tanti danni hanno pure generato una nuova categoria di persone: i “leoni da tastiera”, persone capaci di disquisire di tutti gli argomenti senza la più piccola preparazione! Semplificando: è certo e dimostrato come lo scopo di questi non sia la condivisione del sapere, l’accrescimento reciproco o altre simili amenità ma lo stare al centro dell’attenzione, il potersi ritenere autori se non infallibili-pensatori-unici-detentori-della-soluzione-a-tutti-i-problemi-piccoli-medi-e-grandi! Il confronto con Leonardo da Vinci, che al loro confronto scompare, è il minimo che possiamo fare...

Il risultato è che da quasi tutti i luoghi deputati alla cultura alle scuole di ogni ordine e grado, dai giornali vecchi e nuovi alla pressoché intera televisione, dai bar ai social e così via si sente parlare di tutto, con tesi contrastanti ma sicuramente la varietà non manca. Se gli argomenti non latitano, sono altrettanto presenti le risate amare, sembrerebbe addirittura non vi sia un solo tema capace di sfuggire alla disamina di qualche genio ed alla critica del contro-genio della situazione.

Vogliamo fare qualche esempio: le perversioni di ogni tipo, l’eutanasia, il diritto di uccidere (non di difendersi!)… Tutto il campo (la nostra vita ma anche tutti i mondi possibili, noti e non) è quindi presidiato? Sembrerebbe di sì ma non è così, anzi direi proprio di no. Anche quando si parla dell’ambiente (quello in cui viviamo!) si scontrano, infatti, opposte fazioni: chi sostiene che l’intero pianeta (zone non antropizzate, parchi, mari, laghi e fiumi ma anche città, agglomerati di ogni tipo fino ai manufatti isolati) debba essere tutelato ad ogni costo (ad esempio, semplicemente non costruendo più niente di nuovo, se non sostituendo) e chi invece ritiene che si possa -anzi si debba- modificare di continuo l’ambiente, pur tutelandone le bellezze ed aree di pregio di ogni tipo, in modo da consentirci di vivere ed anzi di migliorare la qualità del nostro stare qui ed ora, come è sempre avvenuto.

Non ha alcun senso disquisire su chi abbia torto e chi ragione, credo sia sufficiente sottolineare come i partiti del “tutto”, quelli del “niente” e pure quelli del “tutto-o-niente” siano assai superficiali e non colgano la complessità delle cose. Altrettanto vero che distinguere è difficile, per cui quando manca la capacità di confrontarsi con la complessità (e soprattutto si cerca un facile consenso) ci si limita ai “pensierini”. Pur nella diversità di atteggiamento, anche in questo caso non si arriva ad affrontare quello che è il nostro tema odierno, quello di cui nessuno parla ed anzi è un vero e proprio tabù: la demolizione.

Se è pur vero che nel nostro paese sono stati abbattuti alcuni edifici, non a caso definiti “ecomostri”, quello che qui ed ora si intende è la necessità di attuare un processo diffuso di ripulitura di città, paesi, periferie, campagne e paesaggi da edifici che meritano -vedremo fra poco le motivazioni- di essere completamente distrutti con totale asporto delle macerie in modo che, ad operazione terminata, possa restare -al massimo- un video su youtube!

Cosa è successo, pressoché con continuità, dal dopoguerra ad oggi? Perché se qualcosa è cambiato molto si continua a fare come sempre… Si è costruito e si continua -con le eccezioni che confermano la regola- a costruire in modo selvaggio, spesso anche quando si è rispettato la normativa e/o i piani urbanistici, che spesso sono -infatti- indecenti.

Anzi, quello che abbiamo visto di recente ci suggerisce di coniare un neologismo, la “costruzione selvaggia” non è più sola, oggi la affianca pure la “ristrutturazione selvaggia”. Una bella coppia, non c’è che dire! Dei condoni sarebbe meglio non scrivere… Vero che vi è stato un abusivismo di necessità, cui qualche attenuante potremmo -forse ma solo forse- riconoscere, ma lo è altrettanto che appena emanata la legge c’è chi è andato a comprare il calcestruzzo ed i mattoni… Vero anche che non tutto è sanabile ma quale è il sindaco che si è attivato contro un proprio possibile elettore? E poi, chi ha rispettato le ordinanze di demolizione? Record internazionale è quello, perdonate se non cito il luogo ma è tutto drammaticamente vero, di quei pescatori che sulle sponde di un fiume, quindi una zona di valore paesaggistico, hanno posato uno di fianco all’altro una lunga serie di prefabbricati in lamiera (quelli che comunemente vengono definiti “box” e vengono utilizzati per il ricovero degli autoveicoli), provvedendo poi -ma non tutti- alla presentazione della domanda di condono.

Come è finita? Le domande sono state rigettate, non avendo ottenuto -ovviamente, trattandosi di elementi che deturpano l’ambiente- l’autorizzazione paesaggistica, e quindi il comune ha emanato l’ordinanza di demolizione. Per tutte le unità? No, solo per quelle oggetto della domanda! Le altre restano abusive ma soprattutto restano… E i manufatti oggetto del tentativo di sanatoria saranno stati rimossi, per cui almeno un risultato parziale sarà stato ottenuto? Ma no, è tutto come prima!

Quale perciò il senso dell’apparato che emana le leggi e di quello che deve farle rispettare? Troppo facile l’indicare la creazione di posti di lavoro rendendo obbligatorio al cittadino di produrre qualcosa che questi “inutili-diventati utili”, anzi “indispensabili”, possano esaminare… Del resto uno tra i più grandi economisti sosteneva il beneficio di far scavare delle buche e di farle poi riempire, ripetendo questo loop all’infinito! Tutti ci siamo lamentati dell’eccesso di burocrazia, nell’edilizia si è probabilmente raggiunto l’apice, il risultato però non è stato quello del blocco dell’attività costruttiva, semmai è successo il contrario, con buona pace dei lamentosi… Viene da chiedersi cosa sarebbe successo con un corpus legislativo più leggero! Troppe case -ma anche capannoni, uffici e strade- sono presenti ovunque! Non c’è dubbio ma si continua a costruire!

Servono tutti questi fabbricati? Sono moltissimi gli edifici inutilizzati, vero che i nuovi fabbricati hanno caratteristiche diverse e migliori di quelli datati, però anche di questi ultimi dovremmo preoccuparci e non lasciare che semplicemente ci pensi il mercato (ed il tempo).

I nostri amati governi, quelli che negli ultimi decenni si sono susseguitisi l’uno all’altro, pur se apparentemente di colore diverso, si sono interessati a questo problema nello stesso identico modo: emanando norme per il recupero dei fabbricati esistenti, soprattutto quelli problematici dal punto di vista energetico e da quello statico.

Il risultato -oggi ancora parziale- ci è noto, è stato perpetrare -cioè reso eterno- pressoché tutto il “patrimonio edilizio”, manutentato, ristrutturato, a volte demolito e ricostruito ma mai semplicemente rimosso, nemmeno quando si era indiscutibilmente in presenza di schifezze prossime al crollo! Ovviamente ciò caratterizza il nostro ambiente, che ringrazia.

Nessun intervento (o quasi!) viene pensato -quindi progettato- a livello d’insieme, perché troppo difficile per i nostri parolai. Quindi anche edifici del tutto sbagliati per la posizione, di bassissima qualità architettonica, insicuri staticamente al punto di poter collassare, costosissimi dal punto di vista gestionale (veri e propri colabrodi energetici!), e così via resteranno ai posteri, previo miglioramento statico ed energetico, in modo che questi avranno modo di comprendere l’altissimo grado di inciviltà da noi raggiunto.

Senza entrare nel dettaglio, tutti sappiamo che alcuni limiti, sia dal punto di vista strutturale che da quello dei consumi, di sfruttamento degli spazi e pure quello estetico, non possono di certo essere superati da interventi di maquillage! Certo qualcuno non sarà d’accordo, sosterrà per questo che un edificio degli anni cinquanta cui sia stato posato l’isolamento a cappotto (quindi diminuita la dispersione termica, meglio se impermeabilizzando le pareti fino a farci abitare una scatola di plastica sigillata), cambiato il colore (con uno di moda, che però per definizione “passerà di moda”) e magari sostituiti i parapetti delle terrazze (non più in metallo ma in cristallo, così abbiamo risolto anche il problema del tempo libero, dovendo comportarci come orsetti lavatori) avrà finalmente raggiunto la quintessenza del bello, con buona pace di Andrea Palladio, al confronto un povero dilettante.

E complessivamente, cioè a livello di quartiere, cosa succede se continuiamo a mantenere edifici “problematici”? Meglio non iniziare nemmeno a parlarne, avremo per sempre un ambiente che potremmo definire -usando un eufemismo- di bassissima qualità!

Parlare male dei politici e degli amministratori non genera alcun piacere, forse l’uomo della strada è giustificato nel non comprendere quanto sopra (salvo la diffusione di titoli di studio elevati e l’arroganza dei “normodotati” che voglio essere considerati “pozzi di scienza”...) ma nemmeno le associazioni che si sono date lo scopo di rendere migliori i nostri spazi vanno oltre il minimo cabotaggio: salviamo dall’abbattimento uno (o qualche) albero o impediamo (magari in zone di pregio) qualche costruzione o semplice ampliamento. Non vi è dubbio trattarsi di operazioni di valore, spesso assai dispendiose per chi ci si dedica, oltre tutto a titolo volontario.

Mai però si riesce ad andare oltre, invece dovremmo sforzarci di analizzare il nostro mondo ed agire diversamente, immaginando come si possa intervenire, nel breve e nel lungo periodo. Abbiamo quindi bisogno di progettare, non di imbrattare moduli redigendo pratiche edilizie di nessuna importanza ma di immaginare quello che non c’è e renderlo realizzabile.

Sicuramente alcune parti di territorio sono assai problematiche e la loro progettazione difficilissima, spesso però non è così e per questo lancio l’idea di cominciare ad ammettere la possibilità di demolire. Non mi riferisco solo agli abusi edilizi, che comunque restano imperterriti sul proprio sedime, ma a quei fabbricati che sarebbe meglio non ci fossero e che quindi devono scomparire. Non per essere ricostruiti più grandi ma per far spazio ad altro, magari non un parcheggio ma ad aree libere, dove piantare erba e alberi. Sicuramente sembra una cosa di ridotta entità e che non viene fatta concretamente per la sua banalità, in realtà si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione culturale, perché renderebbe operativo un atteggiamento diverso da parte di noi tutti.

Devo scriverlo più chiaramente? A chi si interessa della tutela dei beni, per lavoro (come sono gli enti preposti) o per passione (il che non è meno importante) viene chiesto di allargare il campo di azione e cominciare ad immaginare un mondo diverso in cui non vi sia l’obbligo (che peraltro non è sancito da alcuna norma) di mantenere ciò che non vale ed è anzi dannoso.

Che a nessuno venga in mente di parlare di problemi economici o di costi, i soldi ci sono, prima che vengano sprecati, e l’aumento della qualità dell’ambiente consentirà di produrre meglio e sarà più attrattivo, genererà perciò maggiori introiti. Ciò che davvero manca è l’atteggiamento volto al bello (qualcuno diceva che solo ciò avrebbe salvato il mondo, e non risulta gli sia stato dato mai torto) ed al meglio in senso più ampio (come fanno le piante, che crescono e quando smettono di farlo muoiono). Togliamoci di dosso questa rassegnazione, smettiamo di guardare avanti dandoci come orizzonte temporale le prossime elezioni, ed iniziamo a fare pulizia, demolendo!

Già accettarlo a livello concettuale come semplicemente possibile è un passo avanti, se non si sa da dove iniziare non c’è che l’imbarazzo della scelta, lancio immediatamente l’inizio di un elenco, che non vuole essere esaustivo ed anzi nemmeno essere in grado di stabilire le priorità…

Potremmo iniziare dalle caserme -non quelle bellissime dell’ottocento o precedenti- e partiremmo già bene: edifici di grossa consistenza, di nessun pregio, di bassa qualità costruttiva, in aree spesso di valore e facilmente reintegrabili nel contesto urbano, di proprietà pubblica (quindi prive degli strascichi legali tipici del rapporto con il privato), la cui demolizione avrebbe anche un fortissimo valore simbolico.

Se non basta aggiungo i vecchi ospedali (non più adattabili), le zone artigianali ed industriali (superate e quindi dismesse) ma il massimo (della difficoltà) si avrebbe affrontando il tema della residenza (ma anche delle seconde case): la periferia è un concetto la cui realtà è un insieme di fabbricati su cui dovremmo posare uno sguardo disinibito mentre nei centri urbani ed in certi luoghi di pregio ambientale troviamo manufatti che sembrano essere concepiti solo per deturparne la bellezza (e spesso pure la funzionalità). Se dall’altro non arriva nulla -ed è certo sia così, abbiamo già aspettato fin troppo- non resta che agire dal basso!