Dibattendo con alcune persone in un thread originato dalla pagina Facebook di Alberto Abruzzese, è emersa l'incapacità della stragrande maggioranza delle persone di pensare gli eventi tecnologici in una cornice storica. E non mi riferisco soltanto alla possibilità data dal cosiddetto approccio allo studio della storia “della lunga durata” (sviluppata dagli storici francesi degli Annales, quali Marc Bloch e Lucien Febvre e portato avanti da Fernand Braudel nel XX secolo) di vedere come i mezzi di comunicazione di massa si siano lentamente evoluti, ma anche della conoscenza dei fenomeni tecnologici nel corto periodo.

In particolare, uno degli ospiti della pagina sosteneva che il tablet fosse una tecnologia recente (cioè, partita con il lancio dell'IPad da parte di Steve Jobs); in realtà la storia del tablet è più lunga e che parte dagli anni '80 con il lancio del Linus Write-Top nel 1987. Questa tecnologia era pensata per ospedali e rappresentanti e venderà circa 1500 unità; in seguito, nel 1989 GridPad veniva lanciato da Samsung per usi aziendali e militari che ottiene, in quegli ambiti, un discreto successo tanto che due anni dopo viene lanciata PenRight, un applicativo per il riconoscimento della scrittura senza l'uso della tastiera. Da questo punto in poi si svilupperà la tecnologia del Tablet con la creazione del ThinkPad di IBM nel 1992 e in seguito di altri sistemi tablet da parte di altre aziende informatiche. Si tende invece comunemente a pensare che la tecnologia Tablet nasca nel 2010 con l'intuizione di Steve Jobs che è, invero, il primo tablet pensato per il grande pubblico che è supportato da una forte strategia di marketing (il tablet viene fortemente pubblicizzato e messo in ogni negozio).

Analogamente, ci scandalizziamo quando i nostri ragazzi sono immersi nell'uso della fruizione permessa dagli smartphone e come questo continuo uso degli smartphone sia un fenomeno nuovo, ma accaduto nel passato con altri mezzi di comunicazione di massa. Anche questo è un luogo comune sia da un punto di vista di storia “di lunga durata” che di storia di “breve durata”: coloro i quali hanno passato i quaranta anni possono ricordarsi cosa avvenne negli anni '80 quando era diventato normale passeggiare con i “walkman” alle orecchie, provocando una immersione sonora assai simile all'immersione procurata dall'uso degli smartphone oggi. Come ha mostrato in un suo folgorante saggio Mark Poster (Il cattivo, il brutto e il virtuale) se passeggiassimo nella Parigi di fine '800, vedremmo individui camminare nelle strade e nelle piazze della “ville lumière” immersi nella lettura di enormi quotidiani, ed in particolare sprofondati nella lettura di un nuovo genere letterario, i fouilletons (nome che deriva appunto dalla grandezza dei fogli dei quotidiani dell'epoca), un genere letterario che veniva considerato allora alla stregua di generi più vicini a noi come le telenovelas o le soap opera e serie televisive quali Mare fuori o Un posto al sole.

Allo stesso modo si tende a paragonare i prodotti fruibili su Instagram o TikTok a prodotti di basso o scarso livello culturale come alla fine dell''800 si tendeva a parlare dei fouilettons; ça va sans dire che tra queste “infime” produzioni culturali abbiamo capolavori assoluti come Madame Bovary di Gustave Flaubert o Delitto e Castigo di Fedor Dostoevskij, giusto per citarne alcuni.

Conoscere la storia e i processi storici sia a “lunga durata” che a “breve durata”, quindi ci permette di ragionare meglio e senza pregiudizi estetici o etici sui fenomeni sociotecnici attuali. Come mai la conoscenza della storia della tecnologia è così sottovalutata nel mondo di oggi, nonostante svolga un ruolo critico così importante? Probabilmente si tratta di una serie di fattori che agiscono in maniera concomitante: l'insegnamento della storia nelle scuole è tutt'ora abbastanza mnemonica e legata a conoscenze geopolitiche, retaggio della concezione che si aveva della storia negli anni in cui la scuola si è stabilizzata come istituzione. La irrigimentazione delle conoscenze in ambiti disciplinari sempre più piccoli ha fatto in modo che la capacità di ragionare in modo interdisciplinare, transdisciplinare o, se volete, critico sia sempre più assente. Un'altra variabile è l'idea che da più parti viene tirata in ballo di una immersione assoluta della cultura e del vissuto nel contemporaneo: il passato con il quale fare i conti non esiste, esiste solamente un perenne presente. Un presente che ignora addirittura il proprio passato prossimo, che si riflette anche nella compressione degli usi linguistici.