Fango, sudore e polvere da sparo era il titolo di un famoso, poetico e anti convenzionale film western dal carattere psicologico, progenie dell’atmosfera riflessiva e sperimentale propria degli anni ’70 ma qui, visto che parlerò di passione sfrenata per il pallone, voglio applicare questo termine a tre aspetti traslati da questo titolo di cinema al calcio, tre aspetti che ritengo fondamentali e cioè:

  1. La partita del secolo.
  2. Cos’è la cosa importante che rimane dopo ciò? Esiste una “morale”?
  3. La bravura si misura dalle vittorie?

La partita del secolo: l’odore della battaglia

Desidero iniziare con una cosa bizzarra, e cioè parlando delle emozioni lasciate da quella partita che uno stuolo di critici di calcio riconosce - quasi all’unanimità - che sia stata la semifinale di Mexico ’70 Italia-Germania.

Perché bizzarra? Primo perché queste emozioni rimangono intatte anche dopo cinque decenni e secondo perché nonostante io fossi piccolissimo io me la ricordo!!! Ovviamente nei secoli dopo l’ho anche rivista mille volte e assoggettata a studio analitico quasi sociologico critico e profondo, motivo per cui mi ritrovo qua a scriverne.

Tutti ricordano quell'atmosfera lasciata da quei calciatori stanchi sudati, distrutti e disidratati dalla fatica; le prodezze di Albertosi, Beckenbauer (che giocò con la spalla lussata), Schnellinger e infine Rivera. A proposito di Albertosi, segue qui un inciso con una Menzione speciale della giuria e nota - vagamente - autobiografica.

“Ma chi diavolo sei, Ginulfi???” (leggendario portiere para tutto della Roma fine anni ’70) mi chiedevano sgomenti e stupefatti i miei compagni di scuola quando paravo l’ennesimo rigore, figlio di una sequenza vicino ai mille.

E io? Ero lì, a scuola, con la calma disarmante di un ghepardo che è appena balzato sul collo di una gazzella, cioè il pallone, azzannandolo con le sue potenti enormi mani, cosa rispondevo? Con una pausa teatrale degna di un Vittorio Gassman in forma, con un soffio spazza ciuffo sparato tra occhiale e palpebra dicevo: “Seee, Ginulfi... chiamatemi Ricky… Albertosi…” fine nota autobiografica.

Comunque dicevo, quei calciatori distrutti dalla fatica immensa, senza più forza fisica ne ritegno alcuno, ci portarono - senza rendersene conto ovviamente - a rendere eterno nel tempo questo fatto e cioè che a nessuno al mondo importò più chi vinse e chi perse; fu una battaglia combattuta con onore da tutte e due le squadre, senza esclusione di colpi.

A motivo di tutto ciò il pubblico e i giornalisti messicani vollero subito intitolare una targa commemorativa a quella semifinale! Mio padre, a descrizione di tanta fatica e dedizione, coniò una delle sue battute fulminanti: “Guarda come gioca bene Domenghini con i pedalini (calzettoni) calati vicini agli scarpini”. Narra la leggenda che il pubblico italiano coniò anche: “De Sisti meno male che esisti” a sottolineare la bravura e l’instancabile volontà del talentuoso centrocampista romano.

Dal canto mio, più rivedo questa partita e più sembra un film, appunto un western.
Gli elementi drammatici ci sono proprio tutti, come nel film di Sergio Leone.

I buoni: ovviamente gli Azzurri
Il brutto: l’arbitro
I cattivi, cioè in questo caso i tedeschi.

La posta in gioco: non una semplice supremazia territoriale tra bande di cowboys rivali ma la consacrazione definitiva a eroi del calcio e quindi della Storia nazionale.

La cosa più importante: la battaglia, condita come dice il film da “Fango, sudore e polvere da sparo” o meglio in termini calcistici condita da: fango, sudore e calci ben assestati negli stinchi e conseguente dolore forte, misto a stoicismo, misto a devozione, misto all’attaccamento alla maglia e alla patria.

Osservandola ed immergendomi estasiato, a volte spero che lo svolgimento sia diverso; sì insomma, spero sempre che San Gianni Rivera da Milano dribbli con la sua proverbiale eleganza e bravura una volta per tutte quel mastino rompiballe di Bernie Vogts e che passi la palla allo smarcato S. Gigi Riva da Cagliari e che Gigi esploda il suo sinistro mortale: Golllllasssso!

“Rombo di tuono uccide un tedesco su un campo di calcio: oggi i funerali di un certo Sepp Maier” titolerebbe poi La Gazzetta dello Sport.

Ma sì, chi se ne frega del pathos drammatico e della libidine instancabile di vederli giocare fino allo sfinimento: due a zero e tutti a casa!

Anzi, e qui arriviamo al pensiero onirico di Fellini, questa vittoria ci dà direttamente il titolo mondiale; il Brasile viene eliminato a tavolino per condotta antisportiva!

Un certo Edson Arantes Do Nascimento detto Pelè si dirà l’indomani, pare abbia insultato l’arbitro dandogli del fellone, marrano, pusillanime, termini dispregiativi e assai volgari molto usati nel Brasile degli anni ’70 e così il Brasile, pur vincendo con L’Uruguay, viene squalificato ed estromesso dalla finale, dando quindi come ultima partita valida quella tra Italia e Germania. Ma la lotta tra la realtà parossistica di Messico ’70 e la realtà vera mi porta anche a ricordare le fantastiche battute cinematografiche che Nando Martellini sciorinò a piene mani, neanche fosse stato un commentatore teatrale.

Cito a memoria: “Telespettatori italiani, purtroppo dobbiamo annotare questi inspiegabili due minuti di recupero concessi dall’arbitro Yamasaki” qui Martellini - neanche troppo velatamente - insinuò che l’arbitro fece di tutto pur di far pareggiare i tedeschi. Ricordiamo, per dovere di cronaca che c’erano sì i tempi supplementari ma poi c’era il sorteggio! Non c’erano i rigori! Dopo tanta fatica, se si fosse finito in parità si sarebbe affidato tutto ad una monetina! Follia pura.

Ancora i commenti del nostro Nando nazionale: “una partita drammatica ed incredibile!” “Un fendente di Gigi Riva!”, “mai domi di fronte alle avversità”. Andando oltre e analizzando Italia-Germania intravedo qui il secondo e il terzo aspetto menzionati sopra: 2. i più bravi vincono ma la vittoria non porta al titolo mondiale; non fa niente – va bene così; noi italiani sentiamo di aver vinto il mondiale lo stesso, e se lo sentiamo così forte dopo oltre 50 anni vuol dire che lo sentiremo per sempre credo.

Nell’immaginario collettivo e nella nostra cultura quelli sono eroi, anche perché da un punto di vista politico - ahimè - c’è sempre un sentimento di rivalsa contro i tedeschi.

Inoltre, e giuro di non aver letto ancora il libro di Riccardo Cucchi e di Maurizio Crosetti, giornalisti italiani dalla penna formidabile, al solo scopo di non farmi influenzare, vorrei anche spiegare meglio il termine partita perfetta: per esempio si dice anche “tempesta perfetta” ma non nel senso che ci sia necessariamente qualcosa di buono ma invece che le componenti della tragedia classica siano tutte presenti.

Quindi, per arrivare al punto 3, direi di sì; proprio come una tempesta, la partita perfetta è piena degli stessi aspetti quali appunto pathos, coinvolgimento totale, vincitori vinti e soprattutto un senso di distruzione e di battaglia senza tregua.

In questo senso devo dire che, pur essendoci state molte altre partite memorabili nella storia del calcio, indubbiamente Italia-Germania, rappresenta l’epitome di tutte queste.

Secondo me questo risiede anche nel fatto che tutti la videro in bianco e nero in origine (salvo poi rivederla masterizzata col colore) e questo particolare tecnico ha contribuito a dargli questo alone di “irripetibile”. Un po’ come nei film moderni che quando si vuole aggiungere drammaticità che si fa? O si fanno scene in bianco e nero o - ancora meglio - in bianco e nero con una a pioggia lenta ed inesorabilmente ossessiva.

Altra partita perfetta e simili: ma quante ne sono?!

Olanda-Germania, 1974

Finale del campionato del mondo di calcio 1974: qui il sentimento è simile. Gli olandesi, nettamente superiori, perdono per un dettaglio. Si dirà per non aver concretizzato tutta la mole di lavoro fatto, ma io dico che il rigore dato alla Germania era quantomeno di manica larga… sfortuna delle sfortune.

In questa situazione, la parabola del coinvolgimento popolare è trasversale perché accomuna tutti gli amanti del calcio ed è perciò simile a Italia-Germania ma con una variante storica. Quel tipo di calcio rimase impresso a livello mondiale per sempre: difatti gli Orange giocarono decisamente un calcio moderno che rimane tuttora nella storia e che fece innamorare tutti.

Ricordo quando vedemmo giocare per la prima volta Cruijff e compagni; tutti avanti, tutti indietro, tutti i giocatori si muovevano in tutte le zone del campo: io e mio padre ci guardammo stupefatti con gli occhi a gufo e mio padre disse: “ma questi come acciderbolina giocano?”. (Non disse proprio così in verità). “Chi sono questi? Dov’è il terzino?”.

Posso dire che io ne rimasi affascinato e, secondo me, anche tutti i loro avversari; era un calcio atletico, veloce, imprevedibile, senza punti di riferimento, come un’onda che è talmente bella e maestosa che il surfista rimasto estasiato da tanta bellezza è quasi contento di farsi travolgere; sì, la definirei così. Chi è il vincitore dunque? Il vincitore è senz’altro colui che amiamo di più, anche se tragicamente sconfitto nella polvere… ehm, nell’erba.

Italia-Germania, 1982

Qui la vittoria è totale, completa, appagante, sconvolgente, una partita che fa piangere mio padre ad ogni gol e ridere a crepapelle mio nonno, che sventolava dal settimo piano di casa sua, insieme a me, un bandierone fatto a mano.

C’è da dire che anche questa finale però arrivava sull’onda della malasorte che ci perseguitava nel primo girone: gli underdog, letteralmente gli sfigati, o con un termine più gentile, gli outsiders o ancora meglio voi Italiani che #nonvaletenienteperchènientesiete, come pensavano tutti.

In un secondo girone da favola per noi e da incubo per i nostri avversari, con un calcio ben giocato e non solo in contropiede, facciamo a pezzi l’Argentina di Maradona, il Brasile super favorito di Zico e compagni e in ultimo la Polonia, forse la migliore formazione europea dopo noi.

Sì, il motivo iniziale, la mancanza di fiducia nei nostri, li rendeva simili agli Olandesi, sempre secondi, li rendeva uguali ai vari Albertosi, Gigi Riva e Gianni Rivera, secondi anch’essi, ma a totale rewind del destino, questa volta gli Dei del calcio mettono tutto a posto.

Gli olandesi, come antichi Transformers, si reincarnano nei nostri che a loro volta si trasformano in soldati romani: e così Johnny Rep diventa Ciccio Graziani, Renée e Willy Van de Kherkof diventano Bruno Conti - tanto valeva per due - e infine Johan Cruijff, il profeta del Gol, diventa più basso, più piccolo, più scattante, più furbo, sì, in una sola parola diventa Pablito Nazionale, all’anagrafe Paolo Rossi, cioè il nome e il cognome forse più comune in Italia, oltre che il goleador che, insieme a tutti gli altri eroi, ci fa vincere il Mondiale, nei secoli dei secoli, Amen.

L’urlo di Tardelli che scuote ancora i nostri cuori e ci provoca il pianto di gioia come fu per mio padre, risuona ancora oggi come l’urlo della vittoria più sofferta e più meritata della storia del calcio, forse di sempre.

Barcellona-Milan: finale di Champions League 1994

La finale del 1994 fu giocata in maniera esemplare dal Milan. L’attesa era cominciata non proprio sotto un buon auspicio: Joahn Cruijff (ancora lui) si era fatto fotografare con la Coppa vinta nel 1992 vantandosi di fare loro, Il Barcellona, l’unico gioco moderno ad imitazione della scuola calcistica olandese.

Fabio Capello intervistato dai giornalisti, col suo ghigno a metà tra mostruoso e compiaciuto disse solo una cosa… “Vedremo”.

Risultato: il domino del campo fu totale da parte del Milan e il risultato di 4 a 0 ci diede fama di aver per sempre integrato nel DNA il vero calcio totale, anzi, di averlo migliorato! Difatti il calcio degli olandesi non era nato quell’anno: era già dal 1989 che il Milan giocava così, sconfiggendo per più di 18 anni tutte le migliori squadre d’Europa e d’Italia.

Ma ora, tornando più vicino ai giorni nostri c’è l’altra finale di cui parlavo che ha segnato l’immaginario collettivo. E credo non solo dei Milanisti.

Milan-Liverpool: finale Champions League 2007

Ora, senza nascondere l’elefante dietro al solito filo d’erba perché tutti vedrebbero almeno le orecchie del pachiderma, ora dicevo, è ovvio che la mia fede milanista e i miei globuli rossi e neri, non come voi comuni mortali (#oddiomeso’tradito! #ebbenesisonounhighlander) mi impongano di parlare anche di quella partita che - pur essendo stata giocata peggio dal Milan - anche secondo le parole di Galliani - fu sicuramente una partita epica per la sua storia.

Quale era l’antefatto, la premessa su cui si basava questa sete di rivincita?

Il Milan cercava vendetta come un mostro venusiano ferito e sanguinante cercava di divorare il suo rivale, anch’esso gigantesco e formidabile, dopo soli due anni dalla sconfitta bruciante di Istanbul. Aver perso una finale due anni prima ai rigori, dopo essere stati in vantaggio per un tempo e mezzo ed essersi fatti rimontare da 3 a 0, a 3 a 3, è questo si drammatico!

Quindi per paradosso, le due finali Milan Liverpool segnano ancora una volta una battaglia epica che si svolge in due parti; una partita è figlia dell’altra, proprio come le Metope del Partenone, che raffigurano le battaglie della mitologia greca che non hanno uno svolgimento compiuto se non nella vendetta, in cui gli eroi greci sconfiggevano dei nemici, quasi sempre rappresentati come esseri mostruosi.

Questa rivalità quindi rimane per sempre e traccia un filo lunghissimo e di diversi colori: Italia vs. Germania / Milan vs. Liverpool / Olanda contro tutti, così all’infinito.

E posso dire che - sempre nell’immaginario collettivo- non credo ci siano altri scontri, oltre a questi abbinamenti citati, che a livello storico definiscano meglio il senso di sfida con la S maiuscola, di sfida che si ripete in eterno.

Finale Italia-Francia 2006

Qui voglio fare solo un accenno: se ne sono date di santa ragione e tutte e due le squadre avrebbero meritato di vincere ma poi i rigori… I rigori o, meglio, le partite che finiscono ai rigori, anche quando vinciamo, mi lasciano sempre molta delusione; è troppo ingiusto perdere o anche vincere una finale con una lotteria, così viene chiamata appunto, la partita che finisce ai penalties. C’è troppa sofferenza ed esasperazione; non prevale un vero senso di soddisfazione interiore né esteriore purtroppo. Rimane quel senso di “avremmo potuto giocare meglio”? Oppure di “perché facciamo sempre lo stesso errore”?

Bilanci

Quindi, esiste la partita perfetta? O meglio, la partita del secolo? Il giudizio è per ora sospeso come una rovesciata di Pelè in Fuga per la vittoria.

Devo ammettere però che le finali, quando gioca la nazionale, prevalgono sempre sul tifo campanilistico in misura più che sovrabbondante e mettono d’accordo tutti gli amanti del calcio.

L’amore per la squadra Nazionale si eleva al di sopra di tutti e-senza fare del facile populismo - ci rende tutti fratelli in sofferenza e in gioia, “in amore e in povertà” oserei dire.

Voglio anche dire che tutto ciò che ho trattato significa per me almeno un tris di lezioni fondamentali. Primo: che dovunque sia stata giocata o quando sia stata giocata la partita immortale, quell’odore della battaglia è ancora lì presente!

È questa la cosa importante che rimane per sempre. “Solo con un televisore col tubo catodico si possono vedere certe meraviglie! Una botta in testa e riparte! Se ti metti di fianco c'è più prospettiva” diceva un mio amico… sì, certo ah, ah, ah! Ora quindi è il momento della giustizia, il momento di rifugiarsi nell’universo parallelo dove ogni cosa ingiusta viene raddrizzata, proprio come nei film americani di fantascienza.

Ca va sans dire, nell’universo parallelo succede solo quello che uno desidera di più, difatti, se io dovessi reincarnarmi sarei nell’ordine:

Albertosi che guizza come un giaguaro su tiro di Jairzinho.
Burnich che spazza via tutti come fossero birilli.
Gigi Riva che, se non esplode il suo sinistro, sente un dolore al cuore.
Boninsegna che veloce come il vento smarca tutta la squadra della Germania.
Roberto Baggio che segna il rigore al Brasile (e non è una pubblicità becera).
Sono infine il più grande, anche se il più esile.
Sono la fantasia fatta persona, sono l'estro e il talento che gli Dei dell'Olimpo hanno profuso dentro il mio corpo in misura sovrabbondante.
Sono una eterna certezza e fantasia calcistica di eterna primavera.
Sono Gianni Rivera.
Finta di corpo, Seep Mayer che va giù a destra, pallone a sinistra.
Sono l'Italia che va in finale e che diventa immortale.
Diventa immortale senza vincerla quella finale.
Magia delle magie ed artifizio della scienza e prova scenica teatrale a livello planetario, fonte di ispirazione sempreverde di film sceneggiati e libri filosofici di calcio senza interruzione fino ad oggi.
Due vincitori dello stesso campionato mondiale.
Ma noi ameremo sempre noi stessi.
Gli immortali siamo noi.

E così, nell'universo parallelo o meglio con la macchina del tempo che ogni volta costruiscono in USA guarda caso… da Déjà-vu con Denzel Washington a L'olandese volante con Ava Gardner e James Mason, noi esteti amanti del calcio abbiamo l'unica opportunità di tornare a vincere ogni cosa, indipendentemente da chi siamo, facendo così giustizia.

L’Olanda 1974 vince 3 a 0 con la Germania.
Cruijff , Johnny Rep e Johan Neeskens li uccidono a suon di dribbling.
Le gesta di Beckenbauer e compagni qui non esistono!

Mondiali ’78: vince di nuovo l'Olanda 2 a 0; gol di Krol e Van Hanegen. Kempes in lacrime si raderà a zero e nessun film dirà mai la verità sull’imbroglio del regime Argentino; difatti qui a “Parallel Universe” gli Orange se ne “stracatafuttono" come direbbe Montalbano del pericolo di farsi ammazzare e giocano il calcio totale che incanta il mondo per l’eternità.

Io amerò gli Orange per sempre.
Solo l'Italia di Bearzot sarà l'amore superiore.
Tony e Max, invece, i miei grandi amici, ostinati nella loro caparbietà anche qui nell’universo parallelo, tiferanno uno l'Argentina e uno il Brasile, oltre che per farmi innervosire di proposito, lo fanno soprattutto anche per motivi di donne, che si sappia. E io?

Nell'universo parallelo gioco ovviamente in porta con l'Italia ma la mia maglietta è sì di Albertosi ma è quella gialla da portiere del Milan; la Federcalcio me l’ha concesso… curioso, né? Mio padre e i miei figli sono sugli spalti e mi vedono parare 4 tiri micidiali durante la partita. Un tiro dalla distanza di Beckenbauer, un rigore a Dunga, un tiro sotto l’incrocio dei pali su punizione di Maradona e un tiro ravvicinato a giro di Zidane… ma contro chi giochiamo? Boh? E il campionato del Mondo è nostro! Vinciamo di misura ma vinciamo contro tutto e tutti. Siamo immortali. Ogni inganno e ogni squadra mostro a sette teste multiforme è sconfitto e giustizia è fatta. Per sempre.

Titoli di coda… ehm, triplice fischio finale.