Parli e il tuo interlocutore aggrotta le sopracciglia. Fai un sorriso e la persona di fronte a te ti regala una carezza inattesa. Scrivi e i tuoi amici e le tue amiche ti restituiscono un pollice alzato o il segnale della rabbia, un piccolo cuore o l’emoticon della sorpresa o ancora l’icona delle mani giunte per ringraziare. Ecco il feedback. Sta lì, nelle piccole evenienze quotidiane, in quel gesto semplice e potente che a volte ti cambia in un amen l’umore della giornata. La parola feedback è nutrimento, indica quel cibo sapido e pertanto sapiente che ti consente di comprendere quando è il caso di continuare e quando è il caso di fermarti, quando il semaforo ha luce verde e puoi procedere verso il tuo “glorioso porto”, o quando invece ti impone uno stop e in qualche caso ti invita alla retromarcia.

Il feedback è tecnicamente un phàrmakon, un po’ medicamento e un po’ veleno; in parte antidoto e in parte tossina; in una certa misura è vaccino e in un’altra è elemento che scatena reazioni contrarie perché esso stesso è reazione. Perché il feedback nei sistemi complessi ha il volto duplice di Giano, a seconda delle situazioni, a seconda dei contesti. Nel mondo delle idee, il feedback è neutro: Platone parlerebbe forse di “feedbackità”. Nel mondo delle cose tangibili, invece, è positivo o negativo, con tutte le sfumature di colori che si possono rinvenire tra questi due estremi.

Il feedback che garantisce nutrimento

Nei sistemi complessi, laddove tutti gli elementi che costituiscono il sistema sono interdipendenti e correlati gli uni con gli altri, i feedback sono costanti, non eludibili, con effetti di rinforzo o di riequilibrio sia nel breve che nel lungo tempo. Muovi un singolo nodo del sistema e tutto si riaggiusta, per altro secondo logiche che sono proprie del sistema e che non puoi determinare in partenza, a priori, secondo criteri deterministici. Sposti una persona da un ufficio a un altro e sia il team che viene lasciato che quello che accoglie si modificano di conseguenza creando nuove dimensioni, nuove energie, nuovi assetti. Il feedback è innervato di incertezza.

Quando agisci non conosci l’output del tuo interlocutore. Quando muovi un tassello non sai l’effetto che provochi. Perché tutto è connesso, tutto è agganciato, tutto si tiene insieme. Il feedback può sia accelerare che bloccare i cambiamenti in atto. Una fuga precipitosa di una persona in mezzo a una folla, pensiamo al contesto concreto di una festa o di un concerto, può trasformare il panico di un individuo in una valanga di panico collettivo. Questo è il feedback positivo, quello che accelera, che spinge tutti gli elementi nella medesima direzione. Questo feedback lo notiamo quando più persone sono concordi: quanto più assistiamo a un comune sentire da parte di più soggetti, tanto più è difficile esprimere un’opinione contraria.

I feedback positivi sono difficili da scardinare, spesso provocano il famoso effetto valanga, una reazione a catena, un processo che si verifica aumentando in modo rapido e inarrestabile. Il feedback negativo invece è quello che consente l’autoregolazione del sistema. Un atleta ha vinto una gara ma anziché ricevere l’applauso del pubblico viene fischiato: ecco il feedback negativo lo ostacolerà nelle competizioni successive. Quando la temperatura del nostro corpo diminuisce, rabbrividiamo per generare calore e mantenerla costante, ecco il feedback che arresta e che fornisce un nuovo equilibrio.

La parola feedback è composta di due parti, to feed che significa “nutrire”, “dare cibo”, “sostenere con l’alimentazione”, e back che significa “indietro”. Il feedback è quindi un cibo di ritorno, un piatto servito quale ricompensa, positiva o negativa, per ciò che è stato. Nel verbo inglese to feed si trova la stessa radice di food, cibo, e secondo alcuni anche di foraggio. Con il feedback veniamo nutriti. Fornendo feedback imbandiamo una tavola più ricca per gli amici e per tutte le persone a cui vogliamo davvero bene.

L’azione con la retromarcia

Feedback: meccanismo di retroazione comunicativa. Il lemma “retroazione” è quindi un sinonimo del termine inglese entrato a far parte della lista delle parole della lingua italiana. La retroazione rappresenta un’azione che torna all’indietro, un’azione con la faccia rivolta alle spalle. In quel prefisso retro- vediamo proprio il messaggio inviato che, dopo aver toccato il destinatario o la destinataria, ingrana la retromarcia e ritorna alla prima persona mittente fornendo indicazioni preziose. Il sostantivo azione deriva dal verbo “agire” che a sua volta è un prestito da altre lingue romanze: dal francese agir, a sua volta dal latino agĕre, con il significato di “fare”. Quel verbo agĕre, usato al tempo di Cesare e di Cicerone, risale a sua volta a una radice indoeuropea ag-, che voleva dire “condurre”, da cui anche il greco ágō e il sanscrito ájati. La retroazione conduce all’indietro. Ti prende per mano. Ti guida un po’. Delle volte ti sprona, ti stimola, ti invita a procedere. Altre volte invece ti suggerisce di rallentare, di frenare o di cambiare strada.

La risposta, come uno sposalizio

Le domande sono fondamentali. Chi sa ben domandare vince. Un’abilità importante, utile ed efficace sta nel posizionare correttamente i punti interrogativi al termine delle frasi, disseminandoli con sapienza sul foglio inchiostrato. Ma anche chi sa rispondere possiede le proprie virtù. La risposta è feedback, è retroazione a una sollecitazione. Chi risponde è responsabile del proprio posizionamento, corrisponde un legame con chi pone il quesito, fornisce il responso. Perché la risposta è sorella di responsabilità, di corresponsione e di responso. Oltre che di sposalizio. Già, le parole “responsabilità”, “corresponsione”, “responso”, “sposa” e “sposo” hanno radici comuni con la parola “risposta”.

Il verbo del latino tardo respondĕre (nel latino classico l’accento finiva sulla penultima “e”, respondēre) apparteneva al lessico religioso col significato originario di “promettere di rimando”, “rispondere impegnandosi solennemente”. La risposta è dunque un impegno solenne di vicinanza nell’interazione. Un po’ come la promessa solenne degli sposi. Ecco, il feedback è una risposta importante, ufficiale, maestosa, formale, è una risposta che porta senso e significato. Una risposta che genera reazioni a sua volta, in un gioco a tennis senza sosta, infinito, in cui la palla passa da un campo all’altro e non si ferma più, di domanda in domanda.

Seguire il tornante della vita

Il feedback torna, riappare, si ripresenta. È il messaggio “di ritorno”, quando la sua andata parte in un modo ma non sai bene l’effetto che fa quando viene recapitato al destinatario. Quel tornare ha una forma curva, come se fosse modellato al tornio, che è parente del “tornare”. Il verbo latino tornāre significava “lavorare al tornio”, “far girare la ruota del tornio”, da cui il significato di “girare” e “far ritorno” delle lingue romanze, cioè delle lingue che derivano da quella lingua antica parlata e scritta ai tempi dell’Impero romano. Il tornante in montagna e il tornello posizionato all’ingresso delle aziende ci ricordano come ogni ritorno debba essere osservato con grande attenzione.