Mi hanno sinceramente stancata le carrellate di luoghi comuni quando si parla di femminicidio: la retorica, i gesti simbolici, gli striscioni, le panchine rosse, gli uomini che chiedono scusa a nome della categoria, le frasi ad effetto, soprattutto quell’idea bizzarra secondo la quale bisognerebbe educare soltanto i maschi. E ancora, la retorica della minigonna, della perdita del concetto di responsabilità individuale a causa di un gesto scorretto, di un comportamento violento, di un’intimidazione, oppure di un omicidio. Se gli uomini corretti devono chiedere scusa, devono provare vergogna per un omicidio compiuto da un altro c’è qualcosa che non va, i conti non tornano.

Il problema dei femminicidi non sta certamente negli uomini che si comportano correttamente, che si vogliono far carico delle nefandezze commesse da altri. E non sta nemmeno nell’uso delle minigonne, simbolo dell’emancipazione femminile sin dagli anni ‘60. Ma neppure risiede nella mancanza di un’educazione sentimentale che, in una società sana, dovrebbe essere la risultante e la logica conseguenza della pratica della convivenza civile e delle relazioni interpersonali che si basano sul rispetto.

Appunto, il rispetto. Il rispetto dovrebbe risiedere all’origine della convivenza civile tra tutte le persone: maschi o femmine che siano, con legami di affetto, di amicizia, di amore, di vicinanza, di lavoro o anche un semplice incontro dell’altro. Già, perché il problema non è che dobbiamo portare rispetto all’altro, soltanto se abbiamo una relazione sentimentale, che sia amorosa o sessuale, dobbiamo avere rispetto anche del calciatore quando commette un fallo, dell’arbitro che secondo il nostro giudizio non fa la scelta giusta, del professore che non ci piace, dell’automobilista che fa una scorrettezza in strada, di chi ci passa davanti incurante invece di mettersi in fila, del politico che non la pensa come noi, e così via.

Come ho già sottolineato nell’articolo dedicato proprio a questo tema: il rispetto bisogna praticarlo a prescindere. Soprattutto nel momento in cui la persona che abbiamo davanti a noi non è della nostra idea. Quando ci dice di no, quando vuole chiudere una relazione e noi non siamo d’accordo. Ecco, questo esercizio del rispetto è ciò che andrebbe principalmente spiegato: il rispetto dell’altro. Ma non soltanto nelle scuole. È di vitale importanza capire che il rispetto va insegnato e praticato all’interno della società a prescindere dal contesto, nella vita di tutti i giorni, a casa propria come al bar, in un contesto lavorativo come allo stadio, in auto come nei negozi, negli uffici come al telefono, in privato come in pubblico.

La mancanza di rispetto, le risposte violente, la non accettazione dell’altra persona con caratteristiche e specificità differenti rispetto alle nostre, sono le vere cause dei femminicidi. Non è esclusivamente l’idea generalizzata di patriarcato, all’interno di una società che al contrario sancisce la parità dei diritti, patriarcato inteso come un retaggio culturale che chiederà ancora tanto tempo per poter essere combattuto definitivamente; non è la dimenticanza dell’ultimo femminicidio, che la panchina rossa dovrebbe ricordare come simbolo, non è la mancanza di un’educazione ai sentimenti.

I sentimenti non sono il problema, il problema sta nel fatto che è troppo difficile poter accettare che l’altro possa agire e comportarsi diversamente da quello che noi desideriamo o pensiamo sia giusto. Che siano presenti sentimenti di affetto oppure no, questo è indifferente.

I sentimenti distorti sono un corollario a tutto questo, ma non il vero problema. Anche un incontro fugace, senza alcuna connotazione sentimentale o amorosa, può essere incentrato sul rispetto, portando così a un miglioramento della società. Il rispetto rende migliore una società. Non sprechiamo il nostro tempo prestando attenzione a cose inutili, alla retorica, alle strumentalizzazioni vuote, trite e ritrite: educhiamo e pratichiamo il rispetto.