L’Artico, questo sconosciuto! Potrebbe cominciare così l’analisi di uno dei luoghi più importanti della Terra, per i suoi equilibri, per il futuro del mondo come lo conosciamo. L’immensa distesa di ghiaccio punteggiata da grandi isole e masse terrestri, ma soprattutto un oceano, con il punto geografico e astronomico che indica il Polo Nord, uno dei due cardini con l’Antartide di quello che si definisce l’asse terrestre, costituisce infatti possiamo dire una delle parti più cruciali dell’ossatura del nostro pianeta e del suo equilibrio.

Oggi questo luogo iconico, selvaggio ed una volta invivibile sembra essere divenuto l’ombra di se stesso. Oltre un secolo fa ed anche prima lo sguardo dell’uomo, della sua incessante sete di conoscenza si volgeva a quel punto immaginario, al centro di una gigantesca massa di acqua ghiacciata da decine e decine di migliaia di anni facendone una conquista sia fisica che della scienza, per conoscere e comprendere al meglio la natura e l’essenza del pianeta che ci ospita, piccola navicella azzurra nel mare oscuro del cosmo. E, forse già allora si pensava a come utilizzare tutto questo, immaginando di attraversarlo per collegare i continenti, i paesi con vie del commercio mondiale per quanto ardue.

Lo scioglimento di questa calotta ghiacciata non è più un evento impensabile e pur se nel corso delle ere essa si è ristretta, poi allargata durante le piccole e medie glaciazioni, oggi sembra aver imboccato per l’impatto delle attività umane una strada che potrebbe essere senza ritorno. Il vagare degli iceberg, le immagini drammatiche di popolazioni di orsi alla deriva su piattaforme isolate, accanto all’immaginazione umana su rotte marittime dove una volta si poteva arrivare soltanto con navi rompighiaccio, la concreta attuazione di un turismo di massa laddove la caratteristica primaria era il silenzio e la solitudine che ne costituivano il fascino antico ed immutabile, sembrano indicare quanto sta modificandosi questo incomparabile ambiente, presidio dell’equilibrio ambientale e climatico della Terra.

Oggi proprio il cambiamento climatico sta snaturando tutto questo mondo e con esso in prospettiva la vita sulla terra. Possiamo immaginare in un futuro non lontano decine di navi da crociera che portano decine di migliaia se non più di turisti a quelle latitudini mentre sullo sfondo passano navi mercantili e così via. Un’immagine di futuro? Certamente di futuro sì, ma quanto legato a ciò che caratterizza da milioni di anni il pianeta? Molto poco ed il rischio è ormai immanente. Certo si dice non possiamo fare molto di più, certamente molto di meno per fermare questo declino, ed allora utilizziamo questo cambiamento per come ci si presenta. Una visione miope e transeunte e molto pericolosa. Dallo scioglimento dei ghiacci artici come di quelli opposti dell’Antartide, anche esso in corso, nei prossimi decenni arriveranno soltanto problemi e spesso tragici, come l’innalzamento dei mari e la condanna per meravigliosi arcipelaghi di isole o città costiere che hanno fatto la storia dell’umanità! Possiamo solo sperare che qualcosa si riesca a fare per rimediare a tutto questo anche se i tempi della Terra non sono quelli dell’umanità.

Ma che cosa sta accadendo esattamente al Polo Nord, nell’Oceano Artico? È quello che si è posto come obiettivo una campagna oceanografica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, conclusasi nei mesi scorsi, sul Polo Nord geografico. Una missione nel quadro del progetto Eleno, vincitore della call internazionale PONANT-ARICE (Arctic Research Icebreaker Consortium) H2020. I ricercatori del Cnr-Isp hanno compiuto a più riprese nel corso della campagna campionamenti per studi di idrografia, ciclo del carbonio, presenza di inquinanti quali micro e nanoplastiche. La missione è stata la prima italiana a essere stata realizzata fino ai 90 gradi a Nord. La finalità è stata quella di dare alla comunità scientifica internazionale la opportunità di accedere a luoghi estremi grazie alla collaborazione con flotte di imbarcazioni rompighiaccio di diversi Paesi del mondo dotate di laboratori e di attrezzatura di ricerca. Nel corso della missione i ricercatori hanno campionato molteplici stazioni idrologiche e giornalmente hanno effettuato misure di bioaerosol, dati fondamentali per studiare lo stato di salute di questo delicato ecosistema. Nei prossimi mesi ed anni i risultati saranno analizzati a fondo - il lavoro è già in corso - nei laboratori del Cnr-Isp.

«È stato emozionante raggiungere i 90° N e avere avuto la possibilità di raccogliere campioni unici per ricostruire il puzzle del funzionamento dell’ambiente marino artico», il commento del capo missione. «Il sistema Artico è infatti in rapido cambiamento e la conoscenza del ruolo dei microbi, ad esempio, è ancora tutta da approfondire. Il progetto prevede anche lo studio delle microplastiche presenti per capire quanto l’Oceano artico sia compromesso da questa minaccia globale. Grazie a questo progetto e al suo gemello Cassandra (finanziato dal Programma di Ricerche in Artico) condotto nell’ambito del progetto internazionale Synoptic Arctic Survey, la scienza avrà modo di capire come funziona il sistema Artico per sviluppare politiche che ne consentono una gestione efficace».

Il racconto degli scienziati che hanno partecipato al progetto è già di per sé, anche se siamo allinzio dello studio dei dati quello di evidenziare come larghi tratti dell’Oceano Artico non siano più invalicabili a causa dell’arretramento della copertura glaciale marina. «È veramente impressionante navigare a queste latitudini e trovare così poco ghiaccio marino, un segno evidente del riscaldamento globale», il commento più immediato, unito alla grande preoccupazione che ciò che accade a questo ecosistema riguarda tutta l’umanità e non resta confinato all’Artico. Il senso della ricerca compiuta e di quelle che seguiranno è allora proprio quello di segnare una tappa fondamentale per lo studio dei cambiamenti climatici.

Il programma di ricerche in Artico (PRA) è nato pochi anni fa e prima di questa missione del Cnr-Isp le attività oceanografiche italiane (fondamentalmente di Ogs e Cnr e negli ultimi anni dell’Istituto Idrografico della Marina) sono state realizzate solo su navi con una classe di ghiaccio che non consente di arrivare ai 90 gradi a Nord, di qui lo svilupparsi della ricerca scientifica sin dove si poteva arrivare come le Isole Svalbard, Norvegia e Groenlandia. Ora, proprio per i grandi cambiamenti in atto e con l’utilizzo di mezzi navali adeguati gli scienziati e i ricercatori italiani hanno potuto raggiungere con strutture e laboratori il Polo Nord geografico, risultato ottenuto grazie all’attività dell’Istituto di scienze polari del Cnr nato, nel 2019, è impegnato a studiare tutti gli ecosistemi polari a tutte le latitudini.

In attesa di conoscere nel dettaglio quel che sta accadendo a quelle remote latitudini a quanto sembra meno estreme di una volta, per l’umanità è il momento di non sottovalutare i rischi cruciali ed immanenti della crisi in corso e i danni anche irreversibili che questi mutamenti potrebbero provocare alla vita intera sul pianeta. Con estremo realismo queste domande vanno poste senza mezzi termini e soltanto un comune sentire internazionale può garantire quanto meno la mitigazione dei peggiori effetti. Il Polo Nord, l’Artico, come l’Antartide non devono essere terre di conquista ma luoghi nei quali combattere per preservare la Terra, il miracolo della vita in essa sbocciata milioni di anni fa! Sono un Patrimonio dell’Umanità da conservare e proteggere!

Ben sapendo, la scienza e la conoscenza ce lo ricordano, che potrebbe bastare un piccolo mutamento dell’asse terrestre cui lo scioglimento dei ghiacci sul globo potrebbe dare una mano, per mutare radicalmente tutto quello che vediamo e conosciamo! La speranza è riuscire a capire per agire di conseguenza, con l’auspicio che il pianeta non ci presenti il conto prima che le nostre povere forze possano rimediare ai danni già inferti all’ecosistema!