A gennaio sono stato nel mio negozio di dischi del cuore, nel centro di Lucca, per ascoltare dal vivo Paolo Saporiti. Lo avevo già sentito suonare anni fa, sempre nello stesso negozio, lo Sky Stone & Songs, che allora era qualche decina di metri più in là, nella piazza in cui a luglio si tiene il Lucca Summer Festival. Mi aveva già colpito quella volta, con il suo cantautorato abrasivo che certamente era passato in mezzo alle chitarre distorte degli anni Novanta, e di conseguenza a quelle di due e tre decenni prima, e che aveva assimilato i grandi autori delle canzoni italiane e non solo. Il fatto è che prima di quest' ultima volta, però, avevo ascoltato sulle piattaforme online l'ultimo album, di cui vorrei scrivere in questo articolo, rimanendone quasi scioccato.

Il titolo è "La mia falsa identità", ripreso da un pezzo già ascoltato dal vivo tempo addietro, ed è un doppio cd. Sono due gli aspetti che colpiscono del disco. Il primo è la cura con cui è stato arrangiato e registrato, il ventaglio amplissimo di strumenti utilizzati, a cominciare dagli archi, ma poi i legni e gli ottoni, orchestrati da Stefano Cabrera e Raffaele Abbate e naturalmente chitarre elettriche e folk, basso, batteria, tastiere diverse, diavolerie moderne varie.

Il secondo aspetto in realtà sono due, e riguarda la quantità di belle canzoni, davvero imponente e per nulla comune nel 2024. A Lucca da Saporiti ci aspettavamo un assaggio dell'ultimo album, e invece ci siamo goduti quasi una data zero di uno spettacolo in via di costruzione, con una parte teatrale, una recitazione di Shakespeare e soprattutto l'ispirazione e perfino la commozione di un concerto vero e proprio, da un'ora e mezza, lì, in mezzo agli scaffali dei dischi, in un silenzio irreale per la domenica pomeriggio, uno dei momenti di maggior afflusso di clienti, che entravano ma non avevano il coraggio di chiedere ciò per cui erano venuti, e ascoltavano per un po', o per molto, certamente colpiti da quell' atmosfera.

Solo quelli che erano lì apposta ma che a un certo punto dovevano andarsene, si spingevano a sussurrare a René, il proprietario, la richiesta di una copia del disco da portare a casa o da far mettere da parte autografata alla fine del set. Con a fianco la violoncellista Francesca Ruffilli, compagna per questo tour di presentazione, Saporiti ha cantato le nuove canzoni ma ha anche visitato qualche tappa precedente e suonato diverse cover, dagli Smashing Pumpkins a Tom Waits, per tornare su ciò che ha assimilato nel tempo. L'album è uscito in due versioni, doppio cd e deluxe, che differiscono solo per la confezione: la deluxe è cartonata e contiene uno splendido libretto illustrato molto corposo, ma va detto che anche l'edizione "normale" è molto curata.

Sarebbe complicato e lungo, proprio per le ragioni quantitative di cui parlavo prima, passare in rassegna la scaletta dei dischi, in cui tra l'altro coabitano cose diverse fra loro, passaggi intimi sostenuti dall'arpeggio di chitarra e da una voce delicata, altri ariosi in cui diventano coprotagonisti i fiati e gli archi (violini, viole, violoncelli, clarinetti, oboe), altri ancora in cui si innesta l'elettronica, con le drum machine, i sintetizzatori, i sampler, e infine non mancano le chitarre elettriche e la ruvidità di una voce capace di mettersi moltissimi vestiti diversi.

"La mia falsa identità" è allo stesso tempo un classico e un album assolutamente contemporaneo, l'apice della maturità raggiunta da Paolo Saporiti, che potreste non conoscere ma che fino a oggi aveva già pubblicato una decina di dischi di grandissimo valore, che meritano tutti di essere ascoltati e collezionati. Questa volta però ci troviamo di fronte a uno dei migliori album italiani degli ultimi anni, ma non sarebbe esagerato dire degli ultimi decenni.

Di "Sei bellissima/La dignità di Elena" esiste un videoclip che trovate in fondo all'articolo, e vale la pena citarla (o citarle) come uno degli episodi più riusciti, mentre i preferiti dell'autore sembrano essere "Falce nera" e "L'autobomba", ma qui davvero i titoli da citare sarebbero troppi. L'album è diviso in due capitoli, il primo si intitola "Lo sfratto" e il secondo "La zattera", dovevano avere ambientazioni musicali differenti, ma alla fine tutto si è mescolato e la tavolozza di colori è distribuita in entrambe le metà. Le storie raccontate dalle canzoni sono varie: riflessioni personali, ricordi di drammi familiari, immagini poetiche, incursioni nelle pieghe del cuore dove si alternano gioie e sofferenze, mappe delle cicatrici lasciate dal tempo, rimpianti e desideri. Parlando di questo lavoro Saporiti ha usato la parola "definitivo": la accettiamo se si riferisce al raggiungimento del culmine in un percorso di ricerca fatto con cura e amore, ma restiamo in attesa di altre canzoni e di altri concerti, che siano in mezzo ai vinili o sul palco di un bel teatro.