Una bella sorpresa di quest’ultimo periodo è stato l’ascolto di “Hortus Del Rio” firmato dal bassita Dario Piccioni per Filibusta Records (distrib. fisica IRD, distrib. digitale Believe), un bel compendio di jazz contemporaneo nel quale convergono numerose influenze e una costante attenzione nei confronti dei suoi compagni di viaggio in trio che sono Vittorio Solimene (pianoforte e fender rhodes), Michele Santoleri (batteria) ai quali si aggiungono occasionalmente Antonello Sorrentino (tromba) e Veronica Marini (voce).

Fonte d’ispirazione è il rapporto personale di Dario Piccioni con Roma, la capitale in cui vive e opera. «Hortus del Rio» ribadisce «nasce dall’idea di voler far confluire alcune esperienze di musica che appartengono al mio passato. Nei precedenti dischi ho preso ispirazione da generi musicali come il folk mediterraneo, mentre in quest’ultimo album ho raccolto delle suggestioni che provenivano da un certo filone che mi affascina della musica brasiliana e che ho avuto modo di suonare tempo fa, e le ho fatte confluire in una sorta di concept album che parla della città di Roma, nella mia visione personale. Racconto il fatto che sono rimasto a Roma dopo la pandemia, frequentando intensamente l’attività musicale legata al mondo jazz e introducendo questa suggestione e velata ispirazione che parte dalla cultura brasiliana».

Come ti orienti a Roma e cosa pensi abbia fornito per la tua personale ispirazione?

Sicuramente la principale caratteristica che mi ispira di Roma è la sua apertura alla multiculturalità. Essendo una metropoli, anche se non allo stesso livello delle altre capitali europee per ragione principalmente storiche, si presta all’apertura nei confronti di altre culture. Ho cercato di esaltare e capire col tempo quali fossero le caratteristiche del ‘vivere’ artisticamente questa città che possano essere di ispirazione per un musicista di jazz; su tutte spicca il fatto che c’è la possibilità di esporsi a influenze culturali di tante “minoranze” presenti che agiscono e cooperano alla vita sociale della città. Restare con le orecchie aperte in una città come questa, ascoltando i vari linguaggi musicali, credo sia un valore aggiunto.

Come si è formato il gruppo con cui lo hai inciso?

Parliamo ormai di una collaborazione pluriennale visto che i musicisti di questo disco erano presenti anche nelle precedenti produzioni. Era normale, dunque, chiamare Vittorio, Michele e poi inserire come guest Antonello e Veronica. Con questi musicisti ho stabilito una continuità avendo collaborato nelle mie precedenti produzioni da band leader (“Limesnauta” e “Carpet Stories”) e in lavori precedenti co-prodotti (“Rite of Passage”).

Come ti sei scoperto musicista e quali sono stati i tuoi riferimenti?

Mi sono scoperto musicista quando ho compreso la possibilità di trovare nell’improvvisazione un mezzo di espressione valido per esternare il proprio linguaggio artistico. Nel linguaggio del jazz è senza dubbio metodo di espressione fondamentale per mettere a nudo il proprio spirito creativo. I musicisti che per me sono stati fondamentali sono quelli dell’epoca d’oro del jazz americano e poi i grandi contrabbassisti moderni come Dave Holland, Avishai Cohen, John Patitucci, senza escludere i grandi musicisti che hanno fatto la storia di questa musica in Italia.

La musica è un linguaggio universale e fa reagire ognuno di noi secondo un modo personale e specifico: se ti chiedessi per te cosa è la musica, tu cosa mi risponderesti e nel suo tramite quali sono gli obiettivi che ti sei prefissato?

La musica è un mezzo di espressione che ti offre la possibilità di prendere da questa grande conoscenza alimentata con il tempo da elementi di armonia, ritmo ed esprimere. La sua particolarità sta nel fatto che è uno strumento a disposizione con cui si possono materializzare le idee da voler comunicare. Gli obiettivi cambiano a mano a mano che si matura, soprattutto quando si comincia a capire anche il valore sociale di questa forma d’arte. Scrivere, comporre, produrre cultura attraverso concerti e dischi ha anche il ruolo di far riflettere, ragionare e porre dei quesiti. Senza la musica e senza l’arte ci troveremmo tutti in balia del mero meccanismo di produzione e consumo. Queste forme di espressione ci servono infatti per alimentare un altro lato del pensiero e del nostro vivere.

Come possiamo farci un'idea del tuo processo creativo?

È un processo riflessivo. In generale lavoro sulle cose che posso raggiungere facilmente senza complicarmi la vita. Nel caso di Hortus del Rio riflettevo sulla mia permanenza a Roma. Bisogna fare musica partendo da quello che si ha, dalle esperienze del quotidiano e nel mio caso ho voluto valorizzare il fatto che dopo vari viaggi e vari tentativi di trasferirmi sono rimasto in questa città. Mi sono chiesto in che modo Roma mi stimolasse e così è nato il disco: partendo da luoghi, posti e situazioni in cui sono immerso.

Ho letto di una tua connessione con alcuni dei migliori musicisti brasiliani, quali sono secondo te i più interessanti ed originali strumentisti contemporanei anche al di fuori di quelle latitudini?

Oltre ai musicisti di cui ho parlato sopra senza dubbio mi hanno ispirato Hermeto Pascoal, Airto Moreira, Joao Donato ed Egberto Gismonti. Andando verso altre latitudini, invece, posso citare Ralph Towner e Tigran Hamasyan.

Quali difficoltà trovano i giovani musicisti in Italia?

La difficoltà in Italia sta nel fatto che fare il musicista non viene ancora riconosciuto come un lavoro a pieno titolo. Nell’immaginario e nella cultura comune la musica sembra qualcosa di sensazionalista legato solo ai “grandi palchi” ma non ci si rende conto che oltre alle grandi produzioni e ai mass media c’è tanto altro. L’uomo però ha l’esigenza di fruire di musica ovunque e ‘quell’ovunque’ necessita sempre figure professionali che lo possano alimentare. Ci si dimentica che in realtà esiste tutta un’altra grande ‘domanda’ culturale per cui è sempre richiesta la figura di un artista: pensiamo ai teatri, ai locali, o alla musica applicata, all’importanza dei circuiti underground. La musica non è per forza collegata alle grandi occasioni, ma è spesso presente in tanti momenti del nostro quotidiano. Ovviamente sto parlando di musica di qualità.

Quale ritieni sia stata la maggiore soddisfazione della tua carriera sino a qui?

La soddisfazione reale è quella di avere la possibilità di fare musica propria e lo stimolo di poter proporre le proprie idee o i propri progetti artistici e potere farle ascoltare. A questo si collega senza dubbio la possibilità di poter continuare a scrivere le proprie cose.

Cosa hai in agenda per i prossimi mesi?

Per quanto riguarda i prossimi appuntamenti, in marzo suoneremo in trio a Roma presso il circolo arci ‘Il Palco” e poi al Bourbon Street a Napoli. Ad aprile invece avrò una residenza artistica a città del Messico presso l’Istituto Italiano di Cultura dove prevedo di fare concerti, masterclass e di cominciare a lavorare sulle prossime uscite discografiche.