Paolo Fresu vive tra Parigi, Bologna e la Sardegna. Dal 1980 il jazz è nella sua vita, sopra e sotto la pelle che sembra vergata dal vento e dal tempo della sua isola natia, musicalmente molto cambiata in questi ultimi tre decenni. Con il suo ultimo album dal titolo 30! festeggia altrettanti anni di una carriera intrisa di sfide e successi, scoperte e conferme, viaggi del corpo e dell’anima racchiusi e soffiati nel suo strumento prediletto, la tromba, che suona da quando aveva 11 anni. E su di essa, sul palco, si raggomitola per farne uscire nastri di note, fili di seta che avvolgono l’anima ferita dal rumore del mondo.

Una lunga carriera, concerti e progetti con tanti musicisti ma un riferimento che dura da una vita…

Sì, il mio quintetto, una formazione storica del jazz europeo. Sicuramente ci sono altri gruppi altrettanto longevi ma al cui interno nel corso degli anni è cambiato uno o due musicisti. Nel nostro caso siamo nati assieme e oggi siamo ancora noi cinque: io, Roberto Cipelli, Tino Tracanna, Attilio Zanchi ed Ettore Fioravanti. Insieme abbiamo fatto un migliaio di concerti di dischi e continuiamo a volerci bene, a stupirci quando suoniamo e andiamo fieri di questo traguardo. Io allora iniziavo a suonare e quindi avevo pochissima esperienza sul lavoro, sulla composizione e il quintetto è stata la mia palestra. Questo è un disco che si porta appresso molti significati che sono documentati con un booklet particolarmente ricco di immagini create apposta da Alessandro Sanna, un illustratore italiano molto bravo e anche caro amico. Il disco esce con la mia etichetta discografica, la Tuk Music, inaugurata 4 anni fa con un doppio cd, proprio del quintetto. Abbiamo davanti un anno intenso, un tour con molte tappe in Italia e in tutto il mondo, persino in Asia con Omar Sousa.

Suonare per così tanti anni insieme vuol dire “vivere” anche insieme…

Un sardo che decide di fare un gruppo chiamando un romano, un cremonese, un livornese trapiantato a Bergamo e un milanese. Alla fine quello che è uscito fuori è una realtà che continua a darci soddisfazioni, ancora non abbiamo esaurito l’energia e la passione. Ci unisce una grande stima ma soprattutto un grande rispetto reciproco. Ci sono molti gruppi che non riescono ad andare oltre un tot di anni, non perché non funziona la musica ma perché non funziona qualcos'altro. Spesso si creano degli egocentrismi, lo scavalcare il prossimo. Nel nostro quintetto questo non è mai successo, è democratico, c'è grande rispetto, grande fiducia reciproca e ognuno partecipa all'evoluzione del gruppo, alla composizione dei brani. Alcuni anni fa abbiamo realizzato un progetto per la Blue Note: cinque dischi, ognuno dedicato alla musica di ciascun musicista. Il nostro è un gruppo che basa la sua longevità e dinamicità su questa relazione umana, poi arriva anche la musica ma se manca questo primo aspetto la musica non è sufficiente.

Molte copertine dei tuoi album sono delle vere e proprie opere d’arte…

Io sono un appassionato d’arte, tutta l’arte, in particolare di quella contemporanea. Effettivamente andando a guardare la mia produzione, quando ho potuto mettere le mani sulla parte grafica l’ho fatto con grande piacere. Ho molti amici che sono pittori, scultori. Curo personalmente la parte grafica e tutto il concetto grafico dell’album perché credo che sia una cosa molto importante in quanto è la rappresentazione di quello che si è e che si ama. In Ossi di Seppia la copertina è di mio fratello, poi ne ho fatta un’altra con Salvatore Davo. Oggi con la mia casa discografica posso coronare il mio sogno: siamo già partiti dal primo disco con un’idea precisissima, una grafica molto rigorosa, riconoscibile. Tutti i dischi delle Tuk Music hanno un pensiero grafico, che è sempre lo stesso, che ingloba opere d’arte di illustratori. La copertina di 30! riporta quelle di Alessandro Sanna, che lavora particolarmente per l'infanzia ma anche per gli adulti. Per questo album ha disegnato i quadri immaginando la vita del quintetto, una sorta di racconto per immagini. Ci sono poi le fotografie di Roberto Cifarelli, che ci ha seguito negli anni. Con Alessandro Sanna e il grande scrittore Bruno Tognolini ho collaborato in Nidi di Note, un libro per bambini, un progetto che nasce per recuperare fondi per finanziare i laboratori musicali nelle scuole elementari.

Il tuo rapporto con il conservatorio è stato di conflitto con il jazz. Quanto è cambiata la Sardegna musicale per i giovani?

La Sardegna è sicuramente cambiata molto, come è cambiato molto l'ambiente dei conservatori. Oggi sono molto più aperti e la difficile situazione che ho vissuto io era di uno in particolare, non me la sento di generalizzare. E' una terra che ha una buona tradizione musicale che ne fa una delle regioni più ricche e dove c'è un pubblico numeroso per il jazz. Non dimentichiamo che in Sardegna ci sono dei festival internazionali molto seguiti, tra cui quello che organizzo a Berchidda. La gente trova una relazione tra la radice del jazz che è popolare, e quella della nostra musica tradizionale. La Sardegna esprime anche degli ottimi artisti anche nei giovani: nei seminari di Nuoro, che ho diretto per 25 anni, sono passati tantissimi giovani di grande qualità. Quindi direi che è una terra molto musicale, che negli ultimi 30 anni si è aperta anche nei confronti del mondo pur preservando quella radice di musica popolare ed etnica che la contraddistingue è che ne è uno degli aspetti più importanti.

Anche il festival di Sanremo è una parte di musica popolare. Quali sono i tuoi commenti a ciò che è stato presentato quest’anno?

Ho seguito solo i primi due giorni. Sanremo rappresenta solo una parte della società che è, invece, molto variegata. L'Italia è un paese molto vasto e anche molto diviso. Esiste un nord e un sud, esistono mille influenze diverse, mille lingue e dialetti, mondi gastronomici ed enologici diversi tra di loro, pensieri e volontà completamente diversi. Io credo che uno degli scopi della musica sia quello di raccontare queste diversità. Io credo che la nostra musica popolare, quella di Sanremo, sia in grado di raccontare solo una parte di questa società. Ma fino a quando il nostro Paese non si metterà in testa che esistono anche delle altre musiche, quelle che vengono definite di nicchia e che passano in televisione solo nelle ore tarde, non si può avere l'aspirazione di poter raccontare l’interezza della nostra società. Se avessimo l'opportunità di aprire anche ad altri linguaggi sarebbe un racconto vero, fatto anche dal mood, oltre che dai testi e dalle note. Di questo festival ho apprezzato comunque molte cose, prendendole per quello che sono... alla fine "sono solo canzonette", per quanto, anche nelle canzonette, ci sono opere d'arte capaci di raccontare con poche parole concetti difficili.