"Odio l’arroganza, ma non devo essere banale". Questo si disse l’architetto Carlo Terpolilli quando, vinto il concorso internazionale per progettare il Museo degli Innocenti di Firenze, capì che lo aspettava una conversazione fitta con Filippo Brunelleschi il quale rappresenta "quello che oggi chiamiamo architetto".

Dialogare con Filippo di ser Brunellesco non è difficile perché, stando a Giorgio Vasari che lo ritrae nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze, 1550), il super genio fiorentino nato nel 1377, autore della Cupola più cupola del mondo, fu “[…]sparutissimo nella persona, ma di ingegno tanto elevato, che ben si può dire che e’ ci fu donato dal cielo per dare nuova forma all’architettura, già per centinaia d’anni smarrita […]” e anche molto simpatico in quanto il solito cielo: “[…] Adornollo altresì di ottime virtù, fra le quali ebbe quella dell’amicizia, sì che non fu mai alcuno più benigno né più amorevole di lui […]”.

Ed ecco che, per evitare l’arroganza di inserirsi brutalmente nell’arte di un sommo artefice, con le proprie idee attuali, ma non volendo nemmeno frustrarle, preferendo idee striminzite tanto per stare al sicuro, Terpolilli ha adottato come fa sempre, e ancora di più, il sistema di annullare il tempo. “Intanto, questi Brunelleschi, Giuliano da Sangallo, Raffaello, questi, non so come chiamarli, insomma costoro… Mi rapporto con loro come se fossero contemporanei. Certo, non li conosco, sono del passato, ma le loro opere sono coeve, le interrogo per scoprirne il segreto. Che cosa sono, che cosa sono state, che cosa sono diventate? Vivono la vita della città, non sono quadri. La responsabilità che abbiamo è quella di trasformare, ma nel rispetto del significato profondo dell’opera”.

L’Istituto degli Innocenti, che difende da sei secoli i diritti dell’infanzia, non con timbro pietistico, ma pedagogico, è stato concepito nel 1419 grazie a un cospicuo lascito testamentario del mercante Francesco Datini per la costruzione di un grande ospedale destinato ai trovatelli. L’Arte della Seta, individuata per la gestione dei lavori di costruzione ottenne nel 1421 la conferma del Comune di Firenze e l’attribuzione di tutti i privilegi degli altri enti ospedalieri fiorentini. Affidato il progetto a Filippo Brunelleschi, iscritto alla corporazione come orafo, l’Arte aumentò la somma iniziale con altri introiti, sostenuta anche dal governo fiorentino e da singoli benefattori. I piccoli vi furono accolti già dal 1445. Dal verone, che fu delle balie, si vede una Firenze rara che include il timpano della chiesa dell’Annunziata, voluta dai Pucci, antenati dello stilista Emilio.

“Nell’Ospedale degli Innocenti c’è il concetto di innovazione della fabbrica. Prima di questo edificio - spiega Terpolilli - c’erano degli ospedali per i bambini e i conventi che li accoglievano, ma chiusi in sé, come la Nunziatella di Napoli. Brunelleschi invece mette a punto un edificio pubblico che si rappresenta come pubblico e in questa dimensione aperta realizza l’ideale dell’epoca per il quale l’edificio appartiene alla città. La costruzione dell’Istituto inoltre fa da detonatore alla trasformazione di piazza Santissima Annunziata che è l’ideale della piazza rinascimentale”.

Brunelleschi è l’architetto per antonomasia?

Sì, ha in testa il progetto, lo disegna, segue il cantiere come direttore dei lavori. Gli artefici della fabbrica erano trecentisti, pare che dai documenti emerga il conflitto fra loro e l’architetto innovatore, ma Brunelleschi vince. Non solo nello stile, nemmeno saprei dire gli elementi del passato, forse alcune bifore, ma nella tipologia edilizia, nell’invenzione della tipologia urbana. È il valore dell’architettura nella sua consistenza fisica, organizzativa. La scrittura del nuovo edificio è nell’impostazione di base: Brunelleschi stabilisce una quota interrata, un metro e venti circa da scendere (ma dopotutto, ci sono più gradini a salire che a scendere n.d.r.) e questo è il luogo dei servizi, tutti i flussi che in termini ospedalieri chiamiamo sporco-pulito avvengono qui: lavanderia, arrivo delle merci, rifiuti. Si rifà alla romanità, al principio della razionalità, della semplicità stilistica dell’organizzazione spaziale.

Per questo l’Ospedale degli Innocenti è così bello?

Non mi dilungo su Vitruvio, firmitas utilitas, venustas, ma la convergenza di tutto è fondamentale. In architettura immaginazione significa prevedere prima. Il pro-getto è prima dell’oggetto. Se noi italiani riuscissimo a far convergere tutto potremmo sperare in un rinascimento. Brunelleschi nacque a Firenze, non in Africa. Bisogna tutti coltivare l’humus nel quale crescono quelli che parlano per tutti. Nell’ultimo decennio, dopo un lungo buco nero, dovuto anche alla corruzione, che durava dalla fine degli anni Settanta, anni fino ai quali l’architettura italiana era stata protagonista nel mondo, c’è un riscatto, ci sono molti giovani che hanno una straordinaria capacità espressiva, ma i problemi, fra i quali leggi e vincoli, non li facilitano.

Il Museo degli Innocenti, nell’Ospedale degli Innocenti. Ci racconti.

Il mio studio ha vinto un concorso internazionale nel 2009, i lavori sono cominciati nel 2012 e il museo è stato inaugurato prima dell’estate 2016. Un progetto virtuoso della Regione Toscana e dell’Istituto degli Innocenti che hanno creduto nello strumento del concorso. Se ne fanno pochi in Italia, ma Firenze è stata costruita sui concorsi, anche Brunelleschi li ha fatti. Siamo stati dentro la spesa, con circa 1200 euro al mq. Adesso la Sovrintendenza sta restaurando la facciata e il cortile. Il Museo degli Innocenti non c’era. Possiede opere importanti di Ghirlandaio, Luca della Robbia, Neri di Bicci, Piero di Cosimo, che lì hanno il sapore delle pitture di casa, per le quali abbiamo studiato una struttura espositiva che sembra un libro da sfogliare, ma il suo capolavoro è la vita quotidiana. Come rendere plausibile tutto ciò e raccontarlo ai fiorentini e al mondo? L’opera di Brunelleschi dà forma e sostanza a una cosa alta: l’aiuto sociale, il welfare, a chi ha bisogno, in questo caso i bambini. Ho scelto la trasformabilità, la leggerezza. La scala dell’ingresso, per esempio, sembra sollevata da terra. Con cautela, ho portato il contemporaneo nell’antico soprattutto nel riparare ciò che era stato danneggiato nei secoli.

Si entra nel museo e nell’istituto, che è ancora attivo, attraverso porte d’oro che si aprono verso l’alto.

Sono state criticate da qualcuno. Per me con la macchineria che le rende leggere e l’oro abbiamo dato un accesso più importante a un’umanità fragile di bambine e bambini. Tutte le mattine le carrozzine le attraversano e provo commozione a vedere come è stato trasformato l’ingresso agli asili nido, agli sportelli anti-violenza.

All’Istituto degli Innocenti, i neonati venivano lasciati nella ruota per la miseria della madre o perché frutto di amori illeciti nell’aristocrazia, ma spesso con il sogno di riprenderli, in un giorno fausto. Quindi molti pupi avevano addosso un segno di riconoscimento. Terpolilli racconta che il coinvolgimento provato alla vista di queste mezze medaglie magari preziose, con i nastrini impregnati da polvere secolare, o di testimonianze più umili, è stato potente. Gli architetti hanno deciso di esporre questi simboli dell’abbandono straziato in una serie di cassetti che il visitatore del museo può aprire a piacimento, trovando l’oggetto illuminato e il nome del bambino al quale apparteneva. A tutti i bambini veniva dato un nome e dignitoso. Se i segni di riconoscimento sono ancora lì, vuol dire che nessuno si riprese mai la creatura che lo portava con sé.

"Ci siamo chiesti come mettere in mostra queste cose. In un’enorme teca? Sarà che io, come visitatore le teche non le guardo neppure" - confessa Terpolilli -. "L’idea è nata da una cassettiera ereditata dal suocero avvocato: abbiamo fatto uno schedario della memoria".
Per trovare, bisogna aprire.

Nuovo Museo degli Innocenti, Firenze
Progetto architettonico, allestimento e coordinamento generale: Carlo Terpolilli, Ipostudio Architetti.
Gruppo di progettazione: Lucia Celle , Roberto Di Giulio, Carlo Terpolilli, Elisabetta Zanasi Gabrielli, Panfilo Cionci, Luca Belatti, Mariagiulia Bennicelli Pasqualis, Beatrice Turillazzi (Ipostudio Architetti) con Pietro Carlo Pellegrini e Eugenio Vassallo
Strutture: Favero e Milan ingegneria _ aei progetti
Impianti: Consilium servizi di ingegneria

Direzione lavori: Carlo Terpolilli
Ufficio Direzione Lavori: Paolo Pietro Bresci, Leopoldo D’Inzeo (Consilium), Niccolò De Robertis (aei)
CSP e CSE: Elisabetta Zanasi Gabrielli (Ipostudio)
Collaboratori: Jacopo Carli, Elena Fei, Silvia Scarponi, Agnese Cacciamani, Dania Marzo, Daniele Bitossi, Leonardo D’Inzeo, Ilaria Brogi, Barbara Vanni, Luigi Vessella.