Inaugura sabato 14 febbraio alle ore 16 nella Sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio la mostra Antonio Mazzotti, a cura di Renato Barilli e organizzata in occasione del centenario della nascita dell’artista bolognese, scomparso prematuramente nel 1985.

Antonio Mazzotti, il quale negli anni della ricostruzione post-bellica aveva messo il proprio rigore nel disegno geometrico a disposizione di alcuni importanti architetti bolognesi, primo fra tutti Alberto Legnani (stringendo rapporti di amicizia anche con Luigi Vignali e Enzo Zacchiroli, suo mentore e collezionista), si avvicina successivamente alla pittura, prima post- impressionista, poi post-cubista, cominciando a creare quel suo “mondo immaginario” di labirinti fantastici, percorsi incantati a metà tra l’optical e l’astratto-architettonico, in cui perdersi. Nasce qui l’idea di concepire un mondo diversamente strutturato, forse per un bisogno congenito dell’artista di scavarsi tunnel, vie di fuga, uscite di sicurezza, in una serie di innumerevoli varianti di linee e costellazioni.

Forme immobilizzate sulla tela, associate ad un cangiantismo cromatico, ad un succedersi ritmico di perfette campiture di colori brillanti ora caldi e solari, ora freddi e notturni. Quello di Mazzotti è un astrattismo geometrico sereno e meditato, libero e allo stesso tempo calibratissimo, debitore alla figura di Mondrian, non tanto per la scansione degli spazi troppo rarefatta di quest’ultimo ma piuttosto per la produzione più tarda dell’artista olandese, maggiormente libera e sciolta.

Accanto alle linee artificiali e alle figure inorganiche, ossessivamente costruite, agglomerate, incastrate le une nelle altre, è pure largamente presente la componente iconica: corpi di donne, o di altri oggetti preziosi, da collezione, forse residui passivi di cui Antonio Mazzotti non sapeva, o non voleva, disfarsi.

Intenso è l’interesse di Mazzotti anche per i sistemi di scrittura: segni, simboli, monogrammi, intrecci semantici, che ricordano quella che sarà la produzione dei graffitisti newyorkesi, i cosiddetti Writers.

Alla produzione di opere pittoriche Mazzotti affianca una vivace attività grafica. I suoi dipinti a olio, infatti, sono spesso il risultato finale di idee che trovano il loro sviluppo iniziale in lavori di formato più ridotto ma del tutto autonomi.

Il legame fortissimo con Bologna, da cui raramente si allontanava, e la sua indole riservata hanno portato l’artista a tenersi volutamente lontano dai riflettori della scena artistica sua contemporanea, senza però mai interrompere i rapporti intensi e costanti con i molti amici artisti e intellettuali come Giuseppe Raimondi, Marcello Venturoli, Renzo Biasion, Giovanni Ciangottini.

Dopo una lunga carriera di insegnante di disegno ed educazione artistica, con incarichi a Venezia e Bologna dal 1934 al 1972, Antonio Mazzotti inaugura la sua prima mostra personale nel novembre 1972 presso la Galleria Forni di Bologna, con la presentazione di Francesco Arcangeli. Dal 1973 espone in mostre personali e collettive in varie città italiane ed europee. Nel settembre 1979 viene organizzata presso il Palazzo dei Diamanti a Ferrara la prima retrospettiva in uno spazio istituzionale, intitolata “Dalla figura alle forme inventate”, dove sono raccolte 31 opere dipinte da Mazzotti fra il 1963 e il 1979. Il testo critico è firmato da Franco Solmi, dal 1972 al 1987 direttore della Galleria d’Arte Moderna di Bologna.

Fra l’aprile e il maggio 1983 la Galleria d’Arte Moderna di Bologna ospita la prima grande mostra antologica: la più importante per dimensioni e per ampiezza del progetto espositivo, a cura di Marilena Pasquali, autrice anche della presentazione. Gli ampi spazi della G.A.M. accolgono circa 80 dipinti e circa 20 disegni dell’autore.

Dopo la sua scomparsa vengono organizzate mostre personali e collettive a Bologna e provincia, Udine, L’Aquila.