Non sono stata educata all’arte: questa facoltà mi è fiorita nelle mani. Si è srotolata al divenire dei passi. Come spontaneo intimo spazio di quotidiana necessità. Quando non avevo consapevolezza alcuna attorno alle questioni dell’arte. Le tessiture del pensiero sono venute dopo, per indagare in quel mistero vissuto. Setacciando e gettando ebbri all’aria i semi che la mente ha germinato via via. Per setacciare ancora. Dipanando l’incanto. Al tempo di una clessidra che non ho mai terminato di capovolgere.

Il senso di stupore che si maturò, perdura tuttora intramontato. Come brivido. Spontaneo interrogare per l’impressione di meraviglia e di tremendo insieme. A chiedere l’inesausto azzardo di risposte, per pacificare lo smarrimento della mente. Dialoga da sempre la mia vita con l’immaginazione e la creazione e lo stupore. Come mentore, il processo creativo mi ha reso consapevole in ogni mio capillare, che vi è un fondo impalpabile che tutto sottende. Un invisibile. L’invisibile come un irriducibile alle nostre categorie e sistemi. Ho appreso a sostituire il concetto di Verità con quello di plausibile o verosimile.

Le prospettive si propongono come scorci possibili. Esperienze d’invisibile. Lo sguardo si fa generatore di frammenti. Verosimili esiti colti percorrendo la Via, al respiro del proprio passo. Il forno dell’esperire rimane sempre aperto. L’alambicco perennemente sul fuoco. Perpetuamente disponibile il suo stillare di ipotesi e di prospettive. Nel tempo. Al mio ritmo. Protagonista e testimone insieme sorveglio gli spazi acquisiti. Mantenendoli aperti. Solidi e liquidi insieme. A verità pre-definite, preferisco la convivenza esposta all’indicibile che sottrae le parole. Le rende suscettibili di inciampo. Prediligo che la ricerca sia soprattutto e fondamentalmente l’onorare ciò che è Segreto. Misterioso. Ciò che chiede silenzio: il serrare le labbra.

Inspiro ed espiro. Mi affaccio all’orlo dell’abisso e lo sguardo si fa visione. Sguardo misterico. Si trasfigura e si ri-vela un tratto di spazio plausibile. Accolgo. Respiro e creo. Quindi restituisco ciò che mi è sopraggiunto.
Lo sguardo elegge un caleidoscopio. Lo gira tra le mani ad osservare il disegno che compone. Inesauribili le possibilità. Stordimento. Estasi della visione. Se fosse stato di grazia sarebbe Oracolo. Il magma che si cristallizza nello sguardo si fa Visione.

Quindi compimento come preludio di altri inizi. Altri componimenti. Altre sinfonie di cristalli.
Quindi illusione per il tempo dell’ebbrezza.
Quindi verità nel suo limite di frammento.
Quindi epopea quando è il divenire dello sguardo.
Quindi ipotesi nella tensione verso la forma.
Quindi prospettiva come segno umano.

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Quindi rivelazione che è al contempo ri-velamento. Ma sarà il mio, solo sguardo arreso. Un cucire pensieri in un arazzo che preserva il limite del conoscere. Non come sua insufficienza, ma come condizione ineludibile del sapere umano. Limite che attraversa e abita la conoscenza e che, mi faccio vaso per accogliere e setacciare. Infinitamente. Il Mistero tesse il sapere tutto, e si annida in ogni mio pensiero. Si tratta ora di sbattere con le mani sulla superficie dell’acqua per incresparne il velo e guardare al di sotto. L’indicibile è sotto il pelo dell’acqua. E’ l’iceberg sommerso a determinare e a determinarci.

Le forme che costruisco, come le parole che ordino, le esperisco dal mio interno. Esalano dal magma ribollente. Millimetro per millimetro. Grumo a grumo. Sono state colte, quindi individuate o meglio, riconosciute, quindi dissolte e distillate per questa occasione di scrittura, ovvero di ripensamento. Rispondo alla vita, inevitabilmente, all’interno di abiti di risposta.

Racconta il filosofo Carlo Sini che ognuno risponde a partire da abiti propri che sono la scrittura della propria individualità, appoggiando su saperi precostituiti. Nonostante ogni remora di parola, indiscutibilmente Vero è il principio del solve e coagula. Questa la chiave intellegibile e l’essenza del segreto della vita tutta. Il ritmo primigenio che così bene ed essenzialmente l’Alchimia ha definito e propone. Alchimia enunciabile come logica sovrana del divenire. Nulla di umano e di Natura sfugge a questo dogma inflitto. A questo ritmo primordiale. A questa forza. A questa Legge che non conosce termine. Ogni atto del conoscere, quando si fa autentico, esposto, onesto è già operazione alchemica nella dinamica del solve e coagula e della sublimazione e distillazione di ogni frammento di pensiero concretizzato. Operare, scandagliare alla ricerca dell’oro filosofale. Estratto che rigenererà gli altri metalli rigenerando il nostro giardino psichico.

L’Arte da concepirsi come via per la conoscenza. Per l’umano conoscere. Arte che è declinazione dell’Essere. Arte che è filosofica nell’egida sensuale di Afrodite, e stimolo intellettuale in quella di Hermes. Sollevo in volo l’uccello mercuriale per suggerirmi questa tessitura di parole. Porgo l’orecchio. Il cuore, accogliendo le traiettorie delle ali. E’ la pittura la mia via verso il Segreto. Non conosco, se non per cenni teorici e ancor più per raccolta di impressioni, l’esperienza metafisica dell’operare alchemico, ma ho èpisteme come autrice e testimone insieme delle circostanze, delle condizioni e implicazioni che il processo artistico prevede o può prevedere.

Arte e Alchimia si fanno naturalmente parenti come pratiche del fare. Quindi entrambe enucleabili quali attività mitopoietiche. L’Arte così come la Poesia, così come l’Alchimia, conservano infatti, la prerogativa di creare un contatto privilegiato con l’inconscio. L’inconscio collettivo, secondo la nominazione di Gustav Jung. Momenti esperenziali essenziali. Necessari. Concepisco l’alchimia come fondativa pratica del pensiero. Pratico questo farsi e disfarsi distillando pensieri e affondando la mano nell’acqua, verso il fondo, per catturarne i riflessi.

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Germina nel mio vaso un riflesso e lo affido al mio alambicco. Consiste in una possibile riflessione. Forse uno scarto ravvisabile oltre le inopinabili similitudini tra la genesi di un’opera d’Arte, e ciò che è condizione specifica dell’Arte Regia. Si configura così il luogo dell’alchimista: un laboratorio fisico o metafisico. Qui elabora, osserva, medita e trae esperienza adoperandosi in un ambito di realtà materiale o simbolica definita. Ovvero il campo della metallurgia e della chimica seppur concepibili come archetipi.

Il luogo dell’artista invece è l’abissalità della non forma, del bianco della tela. Del vuoto. L’artista medita e contempla l’invisibile. Medita sulla luce che si è fata ombra per conservarsi. Oscura, indistinta. Ombra che si deve fare liquida. Dissolversi per rivelare la luce che avvolge e ri-velarsi attraverso il processo creativo. Maya vela e ri-vela al medesimo tempo. Ambivalenza. A lei è attribuito ciò che ormai nel suo nome si fa sinonimo di inganno. Ma l’assoluto è per definizione ineffabile, irrapresentabile ed è Maya con i differenti gradi del suo occultare a permettere all’Assoluto di rendersi imperfetto quindi immanente. Quindi percepibile, declinandosi nelle distinte forme che grazie a quest’illusione possiamo cogliere sensibilmente. Ed è per difetto, forse per errore, forse per Amore, che si dà la manifestazione. Comunque per rottura di un ordine dato. Per incrinazione della perfezione.

Nel processo creativo-artistico non vi è a mio avviso quella qualità di ordine che il processo chimico può prevedere o prevede. Non vi è principio di realtà alcuno a fissare i confini del plausibile. Dall’abisso non esalano i vapori gassosi nel processo metallurgico o chimico. Solo gli umori della propria psiche che vi si riflette, che vi precipita. L’artista si fa lui stesso forno. E’ nella sua psiche che accade il processo. In questo sprofondamento. Non vi ravviso le coordinate di un ordine naturale pre-figurato. Regna il nulla intorno. Nessuno spazio perimetrabile. Nessuna dinamica da contemplare. Solo abissalità di luce o di ombra. Indistinzione. Sprofondamento. Entusiasmo. Vertigine verso l’alto e verso il basso.

L’alchimia costituisce una possibilità di ordine che può assolvere alla necessità di creare un sistema strutturato e strutturante della mente. Mente umana che io esperisco, per propria natura sovrabbondante. Irregolare nei propri percorsi e itinerari. Eccedente. Eccedente rispetto a ogni ordine dato. L’artista di fronte alla tela è solo. Il vuoto intorno. Solo con il proprio abisso immaginifico. Contempla l’invisibile, l’indistinto per estrarvi, coagulare le forme sensibili che lo interpretino. Il linguaggio che ne catturi il segreto. L’inviolabile Segreto. Rinnovando e non mai riducendone la meraviglia. E’ difatti paradossale che il Trascendente si renda percepibile attraverso ciò che è immanente. Sublimando, trascendendo ogni forma. Ogni forma di Natura.

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Attraverso il processo alchemico, l’umano riconosce un ordine possibile nelle cose di Natura e specularmente in sè. Una possibilità elettiva di organizzazione ed espressione per delle proprie caotiche e controverse pulsioni. Nell’alchimia maestri si fanno i metalli. In arte chi?

Continua il 23 Agosto...