Che cosa innesca il processo della perla? Nessuna epistemologia dell’arte ha esaurito le condizioni di quest’ultima. Nessun quadro clinico ha esaurito e spiegato perché non tutti i granelli di sabbia inseriti nella conchiglia si trasmutano in perle.
Proiettiamo l’infinito sul ricordo esterno ma l’infinità vera, senza limiti, perché origine di ogni limite, è nella mente umana. L’infinito è nella mente dell’uomo.
Ananda Coomaraswamy e Kapila Vatsyayan raccontano che prima della creazione, l’artista deve meditare sulla vacuità. Il solve dell’io per il coagula del collettivo. Ma, sottolineano, è necessario un Io. Un io, affinché si possa innestare il processo creativo di visione del mistero che ci trascende e ci richiama.
L’io affinché possa essere veicolo di trascendenza. Senza io non vi è possibilità di trascendenza.
Un io per solversi nella vacuità. Un io per coagulare la visione.
Il solve e coagula a tutto sottende. Ogni creazione sottende.
L’artista si fa vaso.
Processo di scavo nel fondo dello sguardo. Di sprofondamento.
L’artista-vaso emerge e riconosce per analogia ai propri archetipi figurati di istanza collettiva.
L’Universale riverbera nella biografia dell’artista per restituirsi come esito irripetibile, configurato secondo le qualità dell’io-vaso. Di riflesso agli archetipi con cui è impastato, e che lo presiedono. Lo inflazionano.
Analogie percepibili che collegano in una rete sottile le forme del visibile. I nodi sono gangli di rimandi. Punti germinanti. Fioriture di analogie.
Dal singolare, al valore collettivo.
L’io trascendentale sperimenta sistemi di memoria più complessi a cui accede attraverso le analogie o la rêverie.
Tutto è memoria. Memoria di realtà.
Memoria è sogno.
Memoria è realtà.
L’inconscio per l’artista è come una casa. Un ritornare a casa. Il sognatore è il chiaroscuro dell’essere pensante. Attraverso la rêverie ha sicurezza di esserci. E’ la rêverie stessa che lo ancora, lo radica. Lo risolve in quanto lo completa.
Processo del farsi attraversare dall’esperienza della cosa per mettere a fuoco uno sguardo unico e transpersonale al contempo.
Si dissolve la geometria del dentro-fuori.
Ritiro e concentrazione affinché avvenga l’espandersi. L’espressione. L’Arte.
La Via per l'Arte?
La contemplazione e il farsi fiamma.

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Saturazione e liberazione propone analogalmente Picasso.
Farsi fiamma accesa. Esercitarsi all’ascolto dell’incessante crepitio del movimento interno alla vita. Ovunque.
La via è una perpetua liturgia.
Il farsi casse armoniche. Farsi vasi di vuoto risonante in un processo che è liturgia perpetua del solve e coagula. Precipitare nell’abissale silenzio e ritornare in fioritura, con una pepita d’oro da eternamente trasmutare. Con cui, per immagine alchemica, irrorare gli altri metalli.
Chi è dunque l’artista?
Un vaso. Un athanor e un alambicco insieme.
E’ l’Androgine nella genesi dell’opera. Intuisce, come vaso-yoni che si apre al Sacro. Discerne come spada-lingam la Rivelazione che ne consegue.
Ma la relazione vaso-spada o yoni–lingam è circolare. Verosimilmente a ciò che è rappresentato nella carta della Temperanza, in cui ciò che è conscio si tinge di ciò che è inconscio e viceversa.
Egli si prodiga per la quadratura del cerchio. Esercitandosi nella conjunctio tra terra e cielo. In un procedere di mistica Sufi, danzando circolare con una mano rivolta alla dimensione ctonia e l’altra contemporaneamente rivolta agli spazi uraniani.
Arte prevede relazione. Danza.
E’ lo sguardo il vaso della Danza.
La danza del respiro.
IL vaso-occhio è l’hatanor per le danze. L’incavo del petto. Il cuore.
Vaso come rovescio dello sguardo. Ambito in cui si rivelano le polifonie.
L’arte si fa tensione inesausta, allucinata e illusoria da assecondare, balbettare e inseguire.
Il punto di incontro è l’occhio divino umano: il cuore.
Solo raramente si tratta di uno stato di grazia.
Arte-rito-ritmo-diritto in sanscrito contengono la radice rt.
L’artista pratica per intuito, il linguaggio alchemico. La via secca e la via umida insieme: la prima, maschile attraverso il fuoco, la seconda, femminile attraverso l’acqua.
Dice Marcel Duchamp, che nella contemporaneità, in arte, si può praticare l’Alchimia solo inconsapevolmente.
L’artista si può considerare un uomo più metafisico che storico.
E’ sì del Mondo ma non nel Mondo.
Respira esposto alla ricerca di senso, di oltrepassamento.
A egli è demandato di creare Mondo.
Creare mondo come vertigine che sfida la propria umana tragicità.
L’uomo, l’umano è costitutivamente esposto all’apertura. Ovvero alla ricerca del senso in vista della morte che implode ogni senso.
Si immola alle proprie facoltà di luce e ombra. Forma e caos. Creazione e abisso. Diviene consapevolezza che luce e tenebre convivono indissolubilmente.

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E’ colui che si espone ai sussurri del Segreto.
All’artista è preposta l’esposizione al Sacro.
Si definisce in questo il suo Talento. Il suo dilemma. Nella dynamis instillata come seduzione dell’abissalità.
A partire da questa fascinazione l’artista si può fare capace di reggere, sostenere attraverso la trasmutazione in opera, in immagine, tale sguardo rivolto all’indistinto.
E’ colui che è preposto a sopportare la visione.
Gli aborigeni credevano che lo sciamano, possedesse il segreto della creazione. A lui il trascendersi per configurare le sembianze dell’invisibile, del divino.
Sua facoltà il rovesciare gli occhi per leggervi oracolarmente il contenuto del vaso riverso.
Risponde a un richiamo l’artista. Come a un canto sirenide che dall’orecchio travalica e attiva il processo della creazione che si fa analogo a quelli dell’alchimia, nel perpetuo solvere del coagulatosi.
Per eterna trasfigurazione del sembiante in essenza o distillato.
L’artista è un esiliato. Auto-esiliato dalla forma data.
Maria Zambrano, filosofa spagnola, propone per il poeta l’esilio. La condizione dell’apolide. Del senza patria. La cui patria è ciò che crea esilio.
L’artista è quindi ogni uomo, quando la grande Opera è la propria vita. Se intrapresa, la vita, come percorso trasmutativo e sapienziale. Facendosi poeta lirico, infiammato dal più puro fuoco. Secondo le capacità del proprio hatanor. Perseguendo quello stato di vigor febbrile, quasi un’ubriachezza creativa.
La persona che è nell’esperienza metafisica coincide con il principio stesso dell’identità.
Identità come fuoco psichico.
L’esperienza metafisica dovrebbe essere il perno del nostro vivere. La realtà farsi in funzione dei sogni.
L’artista è un testimone. Si fa testimoniale pur essendo totalmente nell’ Essere.
Essere come Essente: un divenire incessante. Un’incessante relazione.
L’uomo è fondamentalmente un’apertura al mondo, come sostiene Martin Heidegger.
Un vaso che è mondo. Tutto il mondo intorno. Il mondo intorno e il mondo sotto, il mondo sopra a ribaltarsi continuamente. Eternamente. Infinitamente.
Vive l’artista con spirito inquieto soprattutto meravigliato.
Sbatte le ali sull’acqua, assolutamente irrequiete. Cerca pace. Cerca morte. Cerca trasmutazione. Rinnovamento. Cerca l’ebbrezza del silenzio che precede il canto. Canto che si compie e si rivela nel farsi voce. Offrendogli linguaggio.
Silenzio: la stasi che precede il vento. L’antitesi per formulare la tesi. Il silenzio che sognando si fa linguaggio.
Linguaggio quindi interpretazione. Ma l’interpretare essendo un tradurre, quindi un tradire, non è mai pago di sé e anela infinitamente alla completezza. Alla compiutezza. All’oltrepassarsi ancora.
Ancora. Ancora, dice Jacques Lacan, è parola dell’Amore.
Inesausto il Logos ricompone di giorno ciò, che del suo alter ego Dioniso, di notte, va tagliato a pezzi.
Eternamente si solve il Mondo. Eternamente si coagula.
E l’oro viene trasmutandosi negli occhi di chi guarda. Lo si può riconoscere ovunque, spillando gli occhi o socchiudendoli. Ovunque, come sapienza profusa.

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Ma occorre sapere per vedere. Distillare. Discernere. Il Sapere, dunque, come l’organo della vista.
Vista che è Anima.
L’anima è un occhio di fuoco che deve ricevere sostanza per bruciare e illuminarsi. Altrimenti si trasformerà in una valle tenebrosa e affamata. Deve, invece, potere brillare di volontà e immaginazione propria.
La facoltà immaginifica dell’uomo trova nei simboli alchemici la naturale organizzazione e configurazione. Allegorie e simboli risultano intimamente correlati con le strutture inconsce, quindi profonde dell’uomo per l’attingere, che le è proprio, agli elementi e alle condizioni di natura.
La Natura che è Libro sapienziale.
L’Alchimia si offre all’artista, quale catalogo di immaginario: corredo di simboli e allegorie. La ricchezza del suo linguaggio metaforico coagula l’essenza del travaglio umano e del proprio anelito al superamento della condizione di smarrimento che patisce.
Il lapis è la meta.
La Via si dà come metamorfosi artistica.
Ciò che è immaginario, ciò che è immaginazione non dovrebbe ricercare, preoccuparsi e aspirare ad alcuna conferma storica o scientifica. Tutto è linguaggio, dice Umberto Galimberti, e ha valore in sé e di per sé. Il linguaggio si appoggia ai pensieri del tempo per andare al di là del tempo, per questo bisogno umano di oltrepassamento.
L’immaginazione è una fiamma: la fiamma dello psichismo.
Immaginare non è sinonimo, equivalenza del fantasticare.
Immaginazione per vivere un’esperienza autenticamente umana.
Qualcuno sostiene che l’immaginazione sia un quinto senso.
Alchimia e Arte sanciscono la vittoria dell’immaginazione. Il suo primato.