Dall’urgenza espressiva di condividere qualcosa con il mondo (“Il punto di partenza è la mia biografia, il filo conduttore, le biografie degli altri”) alla sperimentazione del linguaggio della performance art coniugato all’arteterapia (“L’obiettivo di questa modalità di lavoro detta performance terapia è di stimolare più profondamente il processo creativo di chi partecipa, coinvolgendo nell’azione lo spazio e gli oggetti, oltre la propria dimensione corporea che si fa strumento di comunicazione con l’altro”): l’intenzionalità artistica di Mona Lisa Tina vibra con potenza, favorendo l’emergere dei nostri sentimenti insieme a una delicata consapevolezza della nostra fisicità, affinché “semplicemente accada”, per ognuno di noi, la presa di coscienza della capacità che il processo creativo ha di ripristinare il nostro di Ben-Essere.

Mona Lisa Tina, chi sei?

Sono una persona semplice che ha deciso di fare dell’arte l’unica ragione della propria esistenza, mettendola al servizio degli altri, compatibilmente con le esigenze del contesto, come strumento di comunicazione, di ascolto e di cura. Nella mia indagine artistica ho scelto di privilegiare il linguaggio della performance. Nella dimensione clinica esercito come arte terapeuta anche in contesti di estremo dolore. Attualmente sto mettendo a punto una modalità che coniuga il linguaggio performativo alle tecniche di arte terapia. Lo scopo è riuscire a farne un metodo strutturato e valido di mediazione artistica nella relazione d’aiuto.

Come sei approdata all’arte, e in che modo l’arte ti si è presentata?

Ho sempre vissuto a contatto con l’arte fin dai primi anni di vita. Mio padre faceva l’artista (autodidatta) e il restauratore di statue religiose. Se chiudo gli occhi per un solo momento, mi sembra quasi di vederlo: concentrato al cavalletto di fronte a tele e statue di grandi dimensioni, la tavolozza colma di colori in una intensa atmosfera sospesa o, per meglio dire, metafisica e creativa. Però la scelta di intraprendere studi artistici più approfonditi la devo all’incontro felice con Massimo Guastella che, durante il percorso di formazione al Liceo Artistico Edgardo Simone di Brindisi, è stato il mio docente di Storia dell’arte. In un periodo buio della mia adolescenza è stata l’unica persona che abbia sostenuto e valorizzato le mie potenzialità espressive. Attualmente insegna Storia dell’arte contemporanea e metodologia della ricerca nel Corso di laurea in Beni Culturali dell’Università del Salento, Lecce. Pensa che tutt’oggi continuiamo a scriverci e a sentirci. Ho una grande considerazione di lui, tant’è che lo tengo sempre aggiornato sulle evoluzioni che riguardano il mio lavoro, come faccio costantemente con molte persone care del mio stesso settore.

Perché l’arte è importante per te?

Perché mi ha permesso e continua a permettermi di “dare voce” attraverso il Corpo (inteso come strumento principale di comunicazione con l’alterità e il mondo) a immagini interne universali. In ogni intervento performativo propongo riflessioni e suggestioni profonde sui temi che da sempre coinvolgono l’esistenza stessa dell’essere umano in una “danza” simbolica e circolare perenne: il mistero della vita, delle sue trasformazioni rigeneratrici e della morte.

Cosa, in questo momento della tua vita, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare te e la tua ricerca artistica?

Sicuramente il dolore delle persone di cui la nostra epoca è testimone speciale. Quest’aspetto può essere di stimolo per la realizzazione di un nuovo lavoro, dove però l’obiettivo è quello di proporre al fruitore un’esperienza artistica ampia e riflessiva.

Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi al come la ricordi?

Di un’esperienza passata, ricordo prima di tutto le emozioni che mi hanno attraversata; se l’esperienza è stata particolarmente coinvolgente, può succedere che percepisca tali emozioni esattamente come quel determinato giorno, localizzandole addirittura in particolari settori del corpo come nella zona del petto o dello stomaco. Ma vorrei aggiungere che anche lo sguardo dell’altro ha in ruolo importante nella dimensione del ricordo.

Quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca e quanto è imputabile, invece, all’imprevedibilità nei tuoi progetti artistici?

La ricerca e lo studio sono due costanti fondamentali per l’evoluzione di qualsiasi progetto artistico. Nel caso della realizzazione di una performance, una parte è pianificata, l’altra, quella inaspettata e più interessante, dipende dall’atteggiamento del fruitore il quale, nel decidere di parteciparvi attivamente, può modificare in modo più o meno radicale il progetto originario. In altre parole: in una performance bisogna avere chiaro in mente un determinato progetto e al tempo stesso essere in grado di accogliere e tollerare gli aspetti di imprevedibilità dell’”altro” che, in ogni caso, determineranno lo svolgimento e la “forma” dell’opera. Credo che qualcosa di simile accada nella vita di tutti i giorni: sai cosa ti piacerebbe fare e dove vorresti andare ma non puoi sapere se gli incontri che avrai, modificheranno il percorso esistenziale che avevi deciso per te.

Che approccio hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue performance?

Le tappe che proponi, nel mio processo creativo, in realtà si susseguono in un ordine diverso: in primo luogo c’è l’intuizione e il delinearsi di un’immagine mentale, poi la sua “trascrizione” nella stesura di un testo che lo descrive sul piano teorico e più propriamente pragmatico e infine la concreta materializzazione. In questa fase mi attivo nella ricerca dei materiali tecnici e specifici di cui ho bisogno per la realizzazione generale del lavoro.

Intimità, Presenza, Consapevolezza, Tempo, Luogo, Mutamento... che accezione hanno per te e nella tua ricerca artistica?

Gli elementi a cui fai riferimento sono i perni di orientamento espressivo su cui si articola la mia indagine artistica e perciò ritengo che siano di fondamentale importanza per stimolare riflessioni complesse rispetto ai temi all’identità di genere e del Corpo: come certamente saprai, sono temi che mi interessano molto.

Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un’artista oggi?

Credo che ciascun artista abbia motivazioni e spinte diverse a seconda della propria biografia, del proprio contesto culturale, sociale e politico di cui è testimone. Sicuramente l’elemento comune che unisce le indagini della maggior parte degli artisti sta nell’urgenza di stimolare una riflessione profonda e critica sul mondo contemporaneo. I limiti a mio avviso riguardano gli aspetti economici dell’operato artistico: mi sono sempre domandata, infatti, come sia possibile attribuire uno specifico valore monetario al pensiero dell’artista e perché solo alcune opere raggiungano valori a volte astronomici. Immagino che le regole del sistema del mercato dell’arte siano molto complesse e io stessa non ho le idee molte chiare in merito. Lavorare con i linguaggi estetici e artistici significa, almeno nel mio caso, investire tutte le proprie energie, accettare il fatto che si è spesso in giro per il mondo, e ciò può condizionare profondamente la propria vita privata. Per il resto credo che l’attività artistica sia il “lavoro” più gratificante che esista.

Qual è la visione alla base delle tue intenzioni e delle tue azioni nel contesto artistico contemporaneo?

Nelle mie azioni propongo uno spazio di riflessione interattivo che a livello artistico si completa solo in presenza del fruitore; mi auguro che ciò possa essere percepito dagli addetti ai lavori come modalità espressiva specifica che si aggiunge alle poetiche estetiche e concettuali del contesto artistico contemporaneo.

A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?

Spero che l’arte possa essere nella sua specificità un canale privilegiato di comunicazione e di stimolo riflessivo per il mondo, suscitando nelle persone, consapevolezza di azione e pensiero.

Quali delle tue performance ci proporresti come fondamentali punti di snodo nel tuo percorso?

Sicuramente le performances: Into the core (2011), Io non ho vergogna(2015), Per la tua carne (2015). Si tratta di tre progetti che propongono riflessioni apparentemente differenti nelle loro specificità ma in realtà profondamente interdipendenti. In tutte e tre gli interventi cerco di stimolare nel fruitore un’attenzione profonda sul tema della sacralità del Corpo come contenitore di significati ancestrali, dove la dimensione carnale dell’individuo incontra, completandosi, quella della sua evoluzione spirituale e psichica; riflessioni che solo recentemente ho integrato con maggiore consapevolezza nella mia indagine artistica.

Wittgenstein afferma: "Il Corpo umano è la migliore immagine che abbiamo dell'anima umana"; che cosa desideri che le persone sentano quando entrano in contatto con la tua anima?

Che non c’è nulla di cui temere nell’incontro profondo con l’altro e che attraverso questa dimensione è possibile accedere a esperienze trasformative e livelli di consapevolezza importanti, funzionali alla crescita emotiva di ciascuno.

In seguito alla tua esperienza di vita, alla tua esperienza dell’esistenza umana in senso ampio, qual è la tua concezione della vita?

Penso che nonostante tutte le sue difficoltà… la vita possa offrire momenti di preziosa e rara felicità che permettono di apprezzare tutto quello che di difficile l’esistenza ti pone davanti.

In che senso il fatto di essere donna ha determinato la tua vita? Quali possibilità ti sono state offerte, e quali rifiutate? Che destino possono aspettarsi le nostre sorelle più giovani e in che direzione bisogna orientarle?

Con molta sincerità, il fatto di essere donna non ha determinato più di tanto le scelte o le opportunità che mi sono state offerte. Tutto quello che ho realizzato nasce da una forte predisposizione e passione verso l’Arte. In generale la mia forma mentis, si relaziona al mondo con un pensiero che non prevede particolari atteggiamenti femminili, anzi, più faccio esperienza nel mio ambito, più ho certezza che il mio pensiero si propone con un’assoluta lucidità oltre qualsiasi caratteristica di genere specifico, nonostante sia donna. Alle giovani colleghe, suggerisco di essere curiose, di avere un’opinione critica sul mondo, di approfondire la propria indagine e di avere molto, molto coraggio.

C’è un momento o un’esperienza alla quale colleghi quella sensazione intensa che fa dire “Io sono viva!”?

Sì, ogni mattina al mio risveglio.

Dubiti mai di te stessa?

Sempre, soprattutto nelle relazioni affettive.

Qual è il desiderio del tuo cuore?

Anche se può sembrare una risposta più narcisistica che poetica, il mio cuore desidera lasciare “qualcosa” che possa tornare utile ai posteri.

Che progetti hai in cantiere?

Sono stata selezionata al premio D’arte Fondazione Vaf – Posizioni attuali dell’arte italiana - da un comitato scientifico Internazionale – per l’edizione 2016/2017. La prima tappa è prevista al Macro di Roma, la seconda e la terza in due musei d’arte contemporanea in Germania. Prenderò parte con un mio progetto performativo alla quinta edizione del Festival der Philosophie di Hannover e a una serie di convegni di settore. Tra i miei desideri nel cassetto… Beh, spero di poter portare a termine il progetto Centrum Naturae in collaborazione con il performer Giovanni Gaggia, in un museo internazionale che sia in grado di sostenere la nostra ricerca.

Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...

Se il sistema politico fosse gestito dagli artisti, credi che le cose in Italia funzionerebbero meglio?

Mona Lisa Tina è nata a Francavilla Fontana (BR) nel 1977. Vive e lavora a Bologna.
www.monalisatina.it