1
Un balbettare
Un lancio di dadi nel vuoto. La stessa mano, sul fondo, a raccoglierli. Il medesimo silenzio sospeso a leggerli
Come l’avvitamento di un seme scendendo danzante
Come un canto di cigno nel suo svelarsi e morire per farsi uovo e uovo ancora
Come un àugure per volo di uccello
Come il segreto sillabare fresco di sangue
Come una copula tra la lingua e la cattedrale che la ospita
Come un bacio che affonda nel ventre di se stesso
Come una capriola
Come un canto senza canovaccio di melodia. Senza fissa partitura
Come un precipitare nella scacchiera delle eccedenze
Un distaccarsi dal tutto originario in qualità di frammento
Come un rovesciamento dello sguardo
Un muovere passi con i piedi voltati all’indietro
Un ritornare al principio dei sogni. Alla fonte dei desideri. Nel punto di cominciamento
Un ritorno nel luogo della separazione e dell’unione. Tra chiarori e adombramenti
Un tuffo nel chiaroscuro
Un esercitarsi al niente fino allo sgovernarsi del gesto e del segno
Come scorticarsi la pelle dai lacci che recidono nella gola e giù. Giù fino alle risa e allo spavento
Come camminare affidando al buio i nostri occhi ciechi
Un incespicare e proseguire. Fino all’incanto dei piedi. Al loro vedere
Come sbrecciarsi le unghie grattando polvere di terra. Affondandovi le mani per impastare e alitare. Alitare e alitare ancora fino a quando l’amalgama si dischiude e ci parla. Si rivela. Ci sussurra
Ancore si fa parola dell’amore.

2 Si tratta di ricercare la voce umana nel respiro
Si tratta, srotolandosi, di dire sì
Si tratta di ri-avvolgersi nel salvifico no
Si tratta di eventuarsi attraverso lo sconfinarsi
Si tratta di buttarsi di là. Nell’oltre
Si tratta di sporgersi in quel al di là in cui è sconosciuto il registro del non bello e del non buono
Si tratta di dischiudere le labbra offrendosi come demenza. Situandosi nella zona tra luce e oscurità e lì attendere.

3
Ovunque uno schioccare di battenti. Robusti devono verificarsi i cardini
Si attende la venuta del folle
Il folle
Il folle è il demone che disordina. Che scompagina e seduce. Ci invita a tentare un differente noto
Ci propone di esporci all’ulteriorità
Procede il folle stonando le nostre leggende
No. Non si tratta di emorragia di senso. È promessa segreta
Il folle nella raccolta delle lamine è situabile all’inizio. Prima di ogni gioco di figura. Figura priva di numerazione si presenta nell’avvio. Nel momento della disposizione che è apertura ad ogni riflesso plausibile. Oppure lo si ritrova nel finale di ogni itinerario intrapreso. Facendosi di nuovo inizio e inizio ancora privo di lettera
L’ordine è occulto. La stesa da tentare
Creatura della soglia. Dell’azzardo. Folle. Come solo i folli d’amore
Perché l’amore si presenta come un demone. Con qualità demoniche e divine al contempo
Rifugge il dio ad ogni riduzione per manifestarsi nei gradi della nostra facoltà di radianza.

4
La creazione è quel balbettio che non puoi processare. Che non puoi vivisezionare. Che puoi solo accogliere Puoi sollevare le vesti e farlo entrare. Dall’ombelico. Dall’omphalos
Creare è collocarsi prima del pensiero. Un ritornare
Creare è un ritornare all’eccesso antecedente ogni formazione
Creare è spoliazione
Creare è erranza
Creare è oracolare
Oracolare è farsi sorgente
Oracolare è farsi magma
Oracolare è l’immaginare prima di ogni espressione che si dia compiuta
Oracolare è farsi evento di ri-nominazione del mondo intero
La parola oracolante è parola discontinua
pioggia di rizomi come primeve sillabe
È superamento e brusco arresto
È caduta
È caduta e volo
È umbratile
È luce nera
È suono non udibile con orecchio disinnamorato
È gemma che cadendo a terra si dischiude nel palmo bucato della mano.

5
Al principio di ogni principio affondo la mano nella cavità di un sogno e attendo che venga morsa. O forse solo afferrata. Ritraendola dalle tenebre, rastremo il suo guscio vuoto per annoverare le scabre perle depositate. Eredito semi acerbi. Non risposte ma nuovi enigmi da masticare. Da masticare e sputare
Sputare e contemplare
Contemplare e poi danzare
Danzare…
Danzare con la propria ombra e non scoprirsi soli. Fare esperienza che non vi è solitudine mai, finché sappiamo rivolgere lo sguardo all’indietro. Quell’indietro che è sopra e sotto.

6
Si accende un filo. Un indizio. Serpenteggia un bandolo di matassa
Poi l’infiammamento e la tosse. E alfine la visione come lampo di ordine
La qualità dell’opera riflette l’altezza del capogiro. Del dissolverci in vertigine. In schianto. In fragore
Così quella del silenzio
Dipende il suono emesso, dalla abilità al resistere. Al farsi scompigliare
Dalla disponibilità a farsi vaso del pianto. Del ridere
La salvezza è in noi ma avremmo bisogno di un dono di grazia. Di un risveglio in forza dell’arrendevolezza
L’arte come l’oracolo può essere il luogo della dismisura. Del dismettere
Non si tratta invero nemmeno di un radicale capovolgimento bensì di espanso accoglimento
Potrebbe così accadere l’immensa esperienza che infine è l’essere
Ciò che si darebbe è l’umano
Ovvero l’essere tale e il puro sentire
Non una entità di altra ineffabile sostanza, bensì ciò che a noi mortali appartiene e ci costituisce pur trascendendoci
L’essere quindi e il farsi da questo sorprendere
L’accogliere come esperienza di riempimento di una mancanza
Come apertura al mistero custodito nel fondo dell’abissale vaso che noi siamo
C’è un regno esteriore e c’è un regno interiore. Sull’orizzonte intermedio si colloca l’uomo. Qui si smarrisce Tirato da tutte le parti come un telo dilatabile all’infinito
Una creatura duale che è celeste e terrestre insieme e stante nel mezzo
Nel centro di ogni ambivalenza
Ora inflazionandosi di cielo. Ora di terra
E così viviamo esiliati
Stranieri senza trascorso di immigrazione
Noi così immensi e così smarriti cercando non il bagliore della rivelazione, ma una menzogna nella quale abdicare.