Nel panorama artistico contemporaneo esistono autori di ogni genere, dalle più disparate esperienze di vita e di formazione. Ognuno con un diverso grado di tensione ed un percorso individuale che rispecchia un carattere unico e che si confronta quotidianamente con le varie peculiarità del proprio settore. Tuttavia ogni tanto appaiono sulla scena artistica, figure inaspettate che scelgono e percorrono strade in solitaria, che aprono nuove vie. Genialità nuove, libere dagli stili e dagli obiettivi del momento ma legati profondamente alla convinzione della propria opera quasi profetica che sa scuotere il presente, mostrando ciò che non si è ancora rivelato.

Mario Vespasiani appartiene a questa rara categoria di pionieri che senza clamori tracciano un varco sul versante dello sconosciuto. Esprime di sé, nelle sue opere, la sua stessa vita in totale fedeltà al percorso da compiere, prima nella storia personale e contemporaneamente in quella dell'arte. Un pittore trentasettenne, che in diciassette anni di lavoro ha dato vita a una visione dagli ardui riferimenti, da ricercare nella coerenza di una fede incrollabile che, come egli stesso afferma, gli indica di compiere quello che semplicemente va fatto. Fin dall’esordio ha documentato con grande attenzione ogni fase del suo operare e ad oggi sono ben 37 le pubblicazioni che racchiudono i passaggi essenziali della sua impronta manifestatasi non solo nelle tecniche o nelle modalità espositive ma anche nel rinnovare tutta una serie di linguaggi dentro la matrice pittorica. Installazioni, mostre in luoghi suggestivi quanto isolati e fuori dalle rotte più battute dal flusso specialistico, happening, conferenze e performance sono state affrontate sottolineando il valore emotivo di ogni scelta, che ha visto la partecipazione non solo di critici d'arte ma anche di studiosi di varie discipline che vanno dalla filosofia alla letteratura, dalla musica all'antropologia, dalla poesia all'astrofisica.

Vespasiani come pochi, nell'interdisciplinarietà realizza l'impronta decisa del suo lavoro, non diviso in settori stagni, ma che è tutt'uno con la vita e che sa rivolgersi agli addetti ai lavori e ad un pubblico più vasto. Sperimentando materiali inusuali, le sue opere nel tempo sono diventate bagagli e bandiere, hanno preso forma dall'ecopelle, per poi brillare nelle sete, attenuarsi nei velluti, fino a rinascere dentro sagome archetipiche come lance, scudi e canoe per citarne le più recenti. Con la naturalezza di maestri è passato dal figurativo all'informale, dalla fotografia al video e a partire dal 2013 dedica alla sua musa, un ciclo di opere e di libri dal titolo Mara as Muse, diventando un caso unico che ha influenzato non solo l'arte ma anche la moda.

La sua estetica si fonda sul concetto di aggregazione, ossia sulla costruzione di ciò che costituisce senso e che identifica nell'opera la grinta di chi l'ha pensata e il luogo o la persona che l'ha ispirata. Vespasiani ritiene l'artista un uomo d'azione, colui che ha vere viscere e che ha dunque l'obbligo di dire e di intervenire, e a differenza di quegli autori che scelgono operazioni provocatorie è colui che sa mettere al primo posto il valore simbolico della creazione e della sua sacralità. Afferma: "A me interessa essere testimone dell'esistenza, che è insieme bellezza e mistero e perciò la mia opera si esprime non attraverso l'allegoria, lo shock o la smaterializzazione del senso, bensì percorrendo la via dell'incarnazione: infatti tutti i soggetti ritratti, dai volti ai paesaggi, dal figurativo all'astratto, alludono sempre ad una dimensione che li oltrepassa, che non li trattiene, per aprirsi allo stupore, al segno primordiale".

Anche la sua ricerca interiore, che coniuga la spiritualità cristiana alle filosofie orientali, si esprime nell'essenzialità del gesto quasi fosse un monaco Shaolin, che sa impiegare tutta la sua energia nel combattimento (contro la tela) così come nella meditazione, giungendo alla focalizzazione dell'opera, purificata ma sempre intrecciata nel reale. Non è un caso che nelle sue "scoperte" dal chiaro connotato mistico, ha spesso fatto riferimento all'arte come il corso di un fiume sempre mutante. In ambito storiografico il suo percorso è stato collocato in quel sentire comune che unisce le intuizioni di Mark Rothko e Cy Twombly sia nel rapporto colore-luce-segno che nel richiamarsi alle emozioni fondamentali, quali l'amore, l'ignoto, il mitico.

In uno dei loghi più rappresentativi del liberty italiano, il Caffè Meletti ad Ascoli Piceno, è andato in scena un progetto senza precedenti: riprendendo l'idea del caffè filosofico, Vespasiani si è confrontato in pubblico con la letteratura, coinvolgendo due protagonisti della lirica contemporanea (baritono e soprano) nell'interpretazione di alcuni brani presi dal suo primo libri di scritti intitolato Planet Aurum, che racchiude 40 racconti riferiti ad altrettanti quadri che però non ha dipinto, conducendo attraverso le suggestioni date dalle sonorità delle parole, all'immaginazione del quadro. Scegliendo di non leggere personalmente i testi e di non pregiarsi di un attore professionista, ha lasciato la scena a due interpreti della lirica, richiamando la musicalità dei versi evocando nella mente degli spettatori quegli scenari e atmosfere che esistono nel suo inconscio prima di mettersi al lavoro.

Se per ogni autore è naturale sentirsi chiedere delle spiegazioni di fronte ad una sua opera, è altrettanto vero che il pubblico odierno ha affievolito la capacità di immaginare e di fantasticare oltre ciò che esiste, per cui va accompagnato: così Vespasiani è riuscito a spostare l'attenzione da sé a ciò che è invisibile e che di colpo affiora: in questo brilla il suo sguardo aureo, perché non abbaglia ma illumina. Planet Aurum è dunque un passo in avanti nella storia, è una mostra vera e propria con la differenza che i quadri non sono dipinti ma da immaginare nell’abbandono al proprio flusso interiore, seguendo la metrica e le suggestioni date dal linguaggio.

Testo di Stefania Pasquali