L’obiettivo di questo testo è quello d’introdurre alla fotografia in Cile e la sua evoluzione storica per coloro che non sono grandi eruditi, e promuoverne, approfondirne la conoscenza per la sua qualità, densità e unicità. La fotografia in Cile ha una storia alquanto simile a quella che ritroviamo in Europa o Stati Uniti, con alcune sfasature temporali e alcune differenze contestuali, come per esempio i movimenti Pittorialista e quello Surrealista, che nel caso cileno, compaiono piuttosto negli anni ‘30 e ’40.

La fotografia cilena si distribuisce su due ramificazioni: una molto sviluppata e ricca di autori, di carattere sociale e documentale, l’altra più contemporanea e variegata nella sua pratica, aperta a tutte le sperimentazioni, a cui si aggiungono certe particolarità del contesto specifico, che sono più volte ritenute antiche tradizioni che perdurano nel tempo. Molte di queste appaiono vincolate alla colonizzazione del territorio, soprattutto riguardo la fotografia di paesaggio e la fotografia etnologica; altre, anche in relazione all’industrializzazione del paese ed in ultima istanza, come pratica molto radicata, il ritratto di tendenza sociale o familiare.

Con l’avvento della dittatura nel 1973, si verifica una frattura tra la realtà sociale e quella artistica; ciò che a partire da questo evento si produrrà nella fotografia è, a nostro parere, completamente innovativo. Un piccolo esercito di soldati equipaggiati di camere fotografiche appare in prima linea col nome di Associazione Fotografi Indipendenti (AFI).

In mezzo a queste dinamiche, nelle aree in via di sviluppo l’oscillazione che si produce è tra arte e testimonianza storica come manufatto plastico, senza privilegiare una o l’altra istanza.

Possiamo citare Antonio Quintana (1904-1972) come il primo che ha prodotto la tecnica del primo piano in fotografia. Professore di fisica, chimica e geografia, fotografo, membro del Partito Comunista cileno e responsabile sindacalista; è uno dei primi a produrre una fotografia di forte predominanza sociale, militante e impegnata, rafforzata da un’estetica innovativa, in sintonia con la sua epoca. È obbligato ad andare in esilio durante il mandato di González Videla, prima in Argentina e dopo in Uruguay, in seguito al divieto del Partito Comunista cileno e della promulgazione della ‘Ley maldita’ (‘Legge maledetta’). Nel 1954, alla fine della dittatura, Quintana ritorna in Cile e nel 1960 implementa con il suo amico fotografo, Roberto Motandón, nello spirito di Edward Steichem, (The family of Man, 1955), l’esposizione “El rostro de Chile” (“Il volto del Cile”). Questa mostra gira il mondo fino al 1969, e tra i fotografi che partecipano a questa missione, annoveriamo la presenza dell’artista Sergio Larraín.

Ai funerali di Quintana nel 1952, Allende lo elogia dicendo: “Con Quintana, scompare uno dei migliori tra i nostri concittadini”, e con la sua morte, si volta una pagina importante della storia della fotografia sociale e documentale in Cile.

Un altro importante fotografo per le stesse tematiche sociali e documentali è Marcos Chamudes (1917-1989), leader studentesco, fotografo, giornalista, corrispondente di guerra e giramondo… Deputato del Partito Comunista, in seguito ripudiato alla fine degli anni ’30, Chamudes opta per l’esilio negli Stati Uniti, dove fotografa per vent’anni scene della vita quotidiana a New York. Quando gli Stati Uniti entrano nella Seconda Guerra Mondiale, Chamudes con la sua nuova cittadinanza americana, si arruola come soldato- fotografo dell’Esercito degli Usa e segue il conflitto fino in Europa. È durante questi anni, che si produce la sua famosa opera che ritrae il Generale Patton e le immagini dei campi di concentramento; nel 1947, s’impiega alle Nazioni Unite, dove lavora come reporter della commissione di vigilanza nei Balcani. Ritorna in Cile, tra il 1951 e il 1952, diventando corrispondente dell’agenzia Magnum, per la quale produce rapporti sulle attività del Movimento Nazionalista Rivoluzionario Bolivariano. Finisce la sua carriera come giornalista di carta stampata. Il libro “Il Fotografo Marcos Chamudes” di Karen Berestovoy, pubblicato nell’anno 2000, narra la biografia del fotografo, i suoi archivi fotografici vengono conservati presso il Museo Nazionale di Storia.

Con un percorso alquanto diverso, da considerare come figura centrale, precedente al colpo di Stato, è Sergio Larraín (1931-2012). Come scrittore apprendista, firma un libro che comprende alcune sue fotografie: “El rectángulo en la mano” (“Il rettangolo nella mano” 1949), sui bambini, che vivono lungo il fiume Mapocho. Successivamente parte per studiare all’Università di Berkeley, in California, viaggiando spesso in Europa e in Medio Oriente e al suo ritorno in Cile, nel 1953, decide di diventare fotografo professionista, e di nuovo viaggia tra Londra e Parigi.

Larraín entra nell’agenzia Magnum, tuttavia si dirige verso altre direzioni, presto abbandona la fotografia per seguire la vocazione della chiamata personale di Dio. A partire del 1971 vive ritirato nella Valle del Elqui, fino alla sua morte nel 2012, diventato una specie di sciamano, vicino alla natura, ma ormai lontano dalla fotografia. La maggior parte dei suoi archivi sono proprietà dell’agenzia Magnum eccetto un fondo, che appartiene ad una raccolta collettiva “El rostro de Chile”, fotografie realizzate tra l’Antartide e la Patagonia, conservate negli archivi fotografici della U del Cile.

È da aggiungere alla fotografia sociale e documentale, anteriore agli anni ’70, l’alter ego più strettamente concepito come interprete della Fotografia d’Arte.

Durante gli anni ’30, viene avviato il Foto Cine Club (1937), la prima istituzione nel Paese, dedita a promuovere la fotografia, come forma artistica. Occorre evidenziare la singolare partecipazione di Gertrudis de Moses, una delle fondatrici. Nata a Brandeburgo, nel 1901, di origine ebraico-tedesca, arriva in Cile con il consorte e i loro quattro figli nel 1939. Lei praticava la fotografia dai 13 anni, ma è solo quando si sistema a Santiago, nel suo atelier del quartiere Ñuñoa, che la sua passione veramente si trasforma in un lavoro professionale. La sua opera abbraccia diversi registri, dalla denuncia sociale al ritratto, dal nudo alle richieste istituzionali e commerciali, fino ad una fotografia di tipo sperimentale profondamente influenzata dal surrealismo e dall’espressionismo.

Per sua iniziativa personale pubblicò 2 libri, uno dei quali edito nel 1991, alcuni anni prima della sua morte avvenuta nel 1997. La sua opera è conservata, in seguito ad una donazione ed al disinteresse della sua famiglia, sotto l’egida degli archivi fotografici della U del Cile.

È agli inizi degli anni ’80, che rinasce una fotografia d’autore, che si alimenta dei drammatici eventi vissuti sotto la dittatura di Pinochet a partire dal 1973. L’Associazione dei Fotografi Indipendenti (AFI) si crea nel 1981 e riunisce in modo eterogeneo una trentina di soci fondatori, uniti dalla contingenza del momento. Tra questi fotografi troviamo diversi autori, ognuno con le sue rispettive preoccupazioni: Luis Navarro, Juan Domingo Marinello, Caludio Bertoni, José Moreno, Helen Hughes, Rodrigo Casanova, Alvaro Hoppe, Leonora Vicuña e Paz Errázuriz.

L’AFI accoglie, durante gli anni ’80, diverse generazioni di fotografi ed al gruppo iniziale si uniscono Claudio Pérez, Kena Lorenzini, Alvaro y Alejandro Hoppe, Oscar Wittke e Héctor López.

Questa situazione permette di offrire in collaborazione con “La Vicaría de la Solidaridad”, in questi anni difficili, una ‘protezione’ ai fotografi più minacciati a causa del loro impegno contro la dittatura. È inoltre, com’ è ovvio, un territorio d’ incontro e di scambio, che porterà dei vantaggi a un buon numero dei suoi autori, la maggior parte autodidatti: sul piano della costruzione di un’estetica personale e della propria riflessione intorno all’immagine.

Malgrado il grande interesse, che ha una simile associazione di artisti, nel 1994, nello scontro interno tra alcuni con l’idea di continuare con l’AFI e di trasformarla in un’agenzia, l’associazione si scioglie e ciascuno intraprende la propria strada.

Più di 20 anni dopo la sua scomparsa e 35 anni dopo la sua creazione, abbiamo a disposizione documenti, scritti multimediali e video che ripercorrono le vicissitudini di questa struttura fuori dal comune.

Il lungometraggio documentale “La ciudad de los fotógrafos” (“La città dei fotografi”), realizzato nel 2006, da uno dei figli di questa generazione, Sebastián Moreno, figlio di uno dei fondatori dell’AFI, José Moreno (ex direttore degli archivi fotografici della U del Cile), rende un vibrante e sensibile omaggio ai fotografi combattenti.

Questi fotografi si sono formati in strada, al ritmo dei movimenti sociali e delle proteste, dato che per loro la fotografia rappresentava poter esercitare le proprie libertà, era un modo di poterle promuovere, le loro immagini sono servite, come prove per i testimoni delle vittime della dittatura e sono state fondamentali, per permette l’apertura ai processi giudiziari. Alcuni di questi fotografi sono stati oppressi in modi veramente crudeli, altri assassinati, ma la maggior parte sono sopravvissuti.

Dopo la fine della dittatura e la ricostruzione della democrazia, una specie di vuoto si fa sentire, e sembra che gli anni gloriosi di lotta per l’immagine, appartengano al passato. Tuttavia, la storia della dittatura non è completamente conclusa (lo sarà forse un giorno?) e questa vena documentale non si è esaurita, si continua a fotografare e a lavorare alla ricostruzione della memoria. La prova concreta è il “Mural de la Memoria” (“Murale della Memoria”), realizzato nel XXI secolo dall’agenzia IMA (Immagine Memoria d’Autore), a partire da un’idea di Claudio Pérez, che riceve il finanziamento da un ‘Fondart’ (servizio culturale integrato da parte del Ministero dell’Istruzione dell’epoca). Viene allestita anche l’esposizione “Cile, treinta años” (“Cile, trent’anni”), organizzata dalla stessa agenzia IMA, riunendo gran parte dei fotografi dell’AFI, con le testimonianze sulla dittatura; oltre alla recente edizione dei libri degli ex membri della AFI, Luis Navarro, Juan Domingo Marinello, Marcelo Montecino, Paz Errázuriz, Claudio Pérez, Leonora Vicuña e Alvaro Hoppe.

La serie di omaggi a Rodrigo Rojas de Negri, giovane fotografo e cronista indipendente cileno, bruciato vivo all’età di 19 anni per mano dell’esercito e morto a causa delle ferite riportate (6 luglio 1986), si vede rafforzata dalla creazione di un premio che vuole rappresentare questa sete di memoria e di raccoglimento. Istituito nel 2006, il Premio a la joven fotografía chilena Rodrigo Rojas de Negri (Premio alla fotografia giovane cilena Rodrigo Rojas de Negri), è attribuito ogni anno alle migliori promesse della fotografia contemporanea del Paese.

Nel 1988, Susan Meiselas (1948), fotografa americana, arriva a Santiago per osservare e testimoniare sul referendum democratico, a favore o contro Pinochet. È inviata dalla prestigiosa agenzia Magnum, dove è socio membro dal 1980. A Santiago, prende contatto con diversi fotografi cileni con l’idea di pubblicare una raccolta d’immagini sul Cile sotto la dittatura con uno sguardo dall’interno; chiede ai fotografi di farle vedere il loro lavoro, scegliendo 16 fotografi e 75 fotografie in bianco e nero. L’anno successivo, Meiselas viaggia di nuovo in Cile e realizza le copie necessarie per pubblicare il libro, così come tre serie di fotografie, formato 40x50cm, per la mostra. La prima presentazione di questo lavoro avviene a Rochester (città nella quale la Kodak fu fondata, nello Sato di New York) nel dicembre 1989, l’esposizione si sposterà in seguito per le città di tutto il mondo, tra le quali: San Diego (California, Usa), Houston (Texas, Usa), Perpignan (Francia) e Toronto (Canada). Nel 1990, il libro “Chile form Within”, si pubblica per la prima volta a New York, con testi di Ariel Dorfman e di Marco Antonio de la Parra. Tra il 1993 e il 1995, 300 esemplari di questa edizione si diffondono in Cile e, successivamente, viene fatta una nuova tiratura limitata. All’inizio si tratta di un’esposizione di circa 60 fotografie in bianco e nero, rappresentando momenti di tensione drammatica, ritratti emblematici della dittatura, il giorno dopo le proteste e la repressione, le notti di coprifuoco e le celebrazioni in strada subito dopo il plebiscito del 1988. Ristampato e celebrato all’inizio del 2015, con una grande retrospettiva nel Centro Gabriela Mistral (GAM) a Santiago, “Cile dall’interno” (o “Chile from Within”, dalla sua prima edizione nel 1990), concentra in sé l’essenza dell’epoca ed è dedicato alla memoria dei fotografi Cristián Montecino (1946-1973) e Rodrigo Rojas de Negri (1967-1986).

Se ci rivolgiamo ora, brevemente alla giovane fotografia documentale contemporanea cilena, possiamo distinguere almeno due correnti: da una parte abbiamo una fotografia pensata come eredità, strettamente in relazione con la generazione della decade degli anni ’80, questo è in parte il caso di autori, come Alexis Díaz, Javier Godoy o Miguel Navarro; dall’altra abbiamo una fotografia documentale d’autore di tipo internazionale, com’è il caso di Tomás Munita (recente vincitore del premio World Press Photo), e quella di Andrés Figueroa (selezionato dal Museo Quai Branly per il festival Photo Quai) e di Rodrigo Gómez, fondatore con Claudio Pérez della piccola e già scomparsa “Magnum” cilena, l’agenzia IMA e più di recente direttore-fondatore del Festival Internazionale della Fotografia di Valparaiso (FIFV).

La convivenza di diversi registri, sociali, sperimentali, barocchi o concettuali, non è di certo assente nello spirito del lavoro di alcuni fotografi degli anni ’80, soprattutto nel lavoro di Leonora Vicuña, Oscar Wittke o Paz Erráuzuriz; così come nella produzione di fotografi più giovani come Andrea Jösch, Carla Moller, Jorge Grönemeyer, Verónica Soto, Pilar Cruz, Cristóbal Traslaviña, Mauricio Toro e, naturalmente Zaida González. La fotografia è stata anche ampiamente usata in molti settori di creatività artistica contemporanea in Cile. Di fatto, la fotografia è in questo Paese fortemente radicata nelle prospettive politiche e sociali, nella volontà della memoria e della testimonianza, è anche diffusamente utilizzata dagli anni ’80 all’interno di logiche contigue ad artisti contemporanei del gruppo CADA, come ad esempio Lotty Rosenfeld; Alfredo Jaar, che è attualmente l’artista cileno con i maggiori riconoscimenti a livello internazionale, di cui si avvantaggia formalmente il suo lavoro; anche artisti come Enrique Zamudio o Eugenio Dittborn ricorrono alla fotografia trasformandola, ciascuno secondo le proprie espressioni e linguaggi. Diverse generazioni di artisti visionari come Nancy Gewölb Mayanz, Francisca García, Mario Navarro, Voluspa Jarpa, Marcela Moraga, Cristóbal Palma, Paola Caroca, Patricio Vogel, Cristian Kirby o Rodrigo Flores la integrano, in modo naturale nelle loro sperimentazioni e, in molti di questi casi, si tratta di una produzione plastica che si articola per buona parte attraverso l’armonia delle regole dell’Arte internazionale, strutturate intorno all’uso di “tecniche miste”.

Nel 2016, il panorama fotografico cileno è, allo stesso tempo, in totale allestimento e consolidamento.

Non possiamo non rallegrarci per l’esistenza di iniziative private, che concentrano i loro sforzi nel far emergere il proprio lavoro di fotografi, come lo è il Festival Internacional de Fotografía de Valparaíso (Festival Internazionale di Fotografia di Valparaiso) e il FFCCO di Coquimbo, e molti altri, che lottano per preservare il patrimonio artistico, come il Centro Nacional del Patrimonio Fotográfico (Centro Nazionale del Patrimonio Fotografico) fondato a partire dagli Archivos Fotográficos del Museo Histórico Nacional (Archivi Fotografici del Museo Storico Nazionale) nel 1980 (diretto da Samuel Salgrado e Andrea Aguad), senza tralasciare gli archivi dell’Università del Cile e della Biblioteca Nazionale del Cile.

Gli sforzi dei governi cileni, la creazione del Consiglio Nazionale per la Cultura e le Arti sono stati molto positivi per la fotografia: numerosi Fondart (aiuti alla creatività) si avvalgono di fondi, principalmente destinati ai fotografi e finalmente nasce un progetto locale dedicato esclusivamente all’immagine con il Centro Gabriela Mistral (GAM). Tutti i fotografi e gli appassionati al suo sviluppo hanno potuto organizzarsi e mettere in discussione, in modo dinamico, quelle tematiche che li riguardavano, aggregandosi alle diverse associazioni e gruppi. Si è inoltre continuato a soffrire per una preoccupante mancanza di risorse, già assegnate a certe collezioni patrimoniali, soprattutto quella degli archivi dell’Università del Cile. Tale disinteresse per il patrimonio e il valore artistico dell’immagine fotografica ci ha indirizzato, esplicitamente, alla costruzione di un mercato, perché aver poche gallerie che espongono fotografie significa che pochi fotografi riescono a vendere le proprie immagini ai collezionisti. Per anni, la mancanza di considerazione verso l’immagine fotografica si è dovuta in parte alla scarsità di teorie relative alla ricerca fotografica. Attualmente le cose si sono trasformate in maniera positiva, anche se non bisogna ignorare che è stato grazie alla qualità del lavoro di analisi storiche e teoriche orientate da accademici e critici, tra gli altri: Gonzalo Leiva, Nelly Richard, Mario Fonseca, Rita Ferrer, Montserrat Rojas, José Pablo Concha o Claudia Donoso.

La legittimazione e il pieno riconoscimento per quest’arte è sul punto di vedere il successo. La fotografia in Cile, intesa come pratica d’autore, osservata nella sua dimensione artistica, risale fin dalle sue origini a considerazioni con gradimento alterno. Questa fruizione estetica si costruisce in maniera discontinua, ad esempio possiamo menzionare la crescente forza della fotografia dagli anni ’80 (in parte dovuta alla contingenza della politica dell’epoca), seguita durante gli anni ’90 da un apparente “silenzio” creativo.

Tuttavia, dall’inizio del XXI secolo, la fotografia in Cile viene favorita da un percettibile riconoscimento da parte delle istituzioni pubbliche e private, in base alla crescita dei propri rappresentanti locali e, seguendo gli effetti del bagliore, del quale gode quest’Arte in campo internazionale. Alcuni dei fotografi più rappresentativi degli ultimi 20 anni pubblicano oggi il loro primo libro o presentano una mostra personale retrospettiva.

In parallelo, si può trovare l’immagine fotografica sempre più integrata, con le diverse proposte plastiche delle giovani generazioni di artisti contemporanei cileni. Pertanto, non possiamo se non mantenere vivo l’entusiasmo dinanzi a questo suo dinamismo e diversità, augurandoci che prospettive passate, ancora in bozza, nel prossimo futuro possano venire alla luce. Patrice Loubon