Imran Qureshi è un artista pakistano che per molti anni ha studiato la complessa tecnica della miniatura tradizionale pakistana dei maestri Mughal del 16° secolo reinterpretandola in chiave contemporanea.

Qureshi raggiunge il successo internazionale con la partecipazione alla Biennale di Sharjah nel 2011 in occasione della quale crea l’installazione site-specific Blessings Upon the Land of My Love, di grande impatto emotivo e artistico. Il cortile del museo era ricoperto da una fitta trama floreale di colore rosso scuro che evidenziava senza dubbio la virtuosità dell’artista, ma guardando l’opera dai piani superiori del museo i nostri occhi non percepivano più quella meticolosa decorazione ma solo macchie di colore rosso scuro che ricordavano il sangue delle rivoluzioni di quell’anno nel Nord Africa.

Da allora Qureshi ha esposto i suoi progetti in tutto il mondo, dal Metropolitan Museum in New York al Barbican Centre in London, arrivando fino a Siena ospite del Siena Art Institute. In realtà Qureshi aveva già esposto alcuni anni fa in Italia, al Macro di Roma, dove era stato esposto il progetto creato per la Deutsche Bank, quando questa stessa nel 2013 lo nominò artista dell’anno. In ogni caso qui ci troviamo in un contesto diverso poiché Qureshi è stato invitato dal Siena Art Institute a realizzare un’opera site-specific che l’artista ha deciso di realizzare a San Gimignano. "Chi si avvicina a San Gimignano resta colpito dallo sviluppo verticale delle torri, costruzioni così alte, imponenti e dal forte valore simbolico" – dichiara l’artista visuale Imran Qureshi – "La prima volta che sono venuto qui, accompagnato dalla direttrice del Siena Art Institute, sono rimasto colpito perché la torre è un soggetto simbolico, ritratto in moltissime miniature tradizionali del Pakistan: esse sono belle e gloriose, ma riflettono anche l’importanza dell’autorità e del potere e il bisogno di difesa e protezione nel mondo violento in cui furono costruite". Così fino al 31 gennaio 2017 al Museo di San Gimignano presso la Torre Grossa, è possibile vedere opere interessanti e bellissime nate dal confronto tra due territori con antiche tradizioni: Siena e la Toscana da un lato e il Pakistan dall’altro. Ho parlato con Imran Qureshi, Miriam Grottanelli (direttore SART) e Manuel Bertin (PR SART) in occasione dell’inaugurazione ponendo loro alcune domande.

Quando è nata l’idea di questo progetto e come l’hai sviluppata?

Imran Qureshi: La prima volta che abbiamo iniziato a parlare di Siena fu quando alcuni anni fa mi scrissero dal Siena Art Institute. A loro piacevano molto i miei lavori e mi contattarono affinché realizzassi qualche progetto a Siena o in Toscana. Così nel 2013 conobbi Jane South, direttore associato del SART. Ci incontrammo quando esponevo al Metropolitan Museum di New York e mi offrì la possibilità di venire a Siena per realizzare alcuni progetti sul posto. Così venni lo scorso anno per visitare il luogo, incontrai Miriam Grottanelli de Santi e iniziammo a pensare a come sviluppare l’intero progetto. Sono stati molto disponibili offrendomi qualsiasi luogo in Toscana. Mi hanno portato in giro e mostrato diversi spazi. Mi piacque molto questa torre e il suo Museo Civico. È la più grande torre della Toscana e di San Gimignano. Mi è piaciuta molto per la sua storia e per i legami con l’approccio tipico della miniatura tradizionale perché anche nella miniatura c’è l’idea di realizzare ritratti di persone differenti in base alla loro posizione nella società, come per esempio il Re che è dipinto più grande della gente comune e dei ministri, o questi stessi che sono dipinti più piccoli del Re, ma più grandi della gente comune. Così ho capito che questa torre simboleggiava uno status symbol, simboleggiava chi era ricco a quel tempo, chi aveva più potere ma allo stesso tempo era stata creata per difesa. Questa è l’informazione completa che spiega perché troviamo questa grande torre dipinta in questo bellissimo paesaggio.

Puoi vedere molte miniature con il Re nel paesaggio. Non trovi nessun’altra persona nel paesaggio anche se ci sono altre persone legate alla torre e alla sua creazione. È per questo motivo che ho deciso di mostrare tutte le informazioni nascoste creando un tipo di approccio diverso dalla mia pratica artistica ordinaria. La visita dell’installazione inizia con una serie di carte accartocciate. Sembrano pezzi di carne o pezzi di carta accartocciati sporchi di sangue ma quando ti avvicini puoi vedere una texture simile a quella del dipinto pavimentale di Sharjah. Puoi vedere sangue e fiori insieme. Su quei fogli di carta stropicciati che sono stati inseriti nelle fessure della costruzione puoi vedere dei dipinti. L’idea riguarda tutte quelle persone che hanno sacrificato la propria vita per realizzare questa enorme, monumentale e storica torre e del contributo delle quali nessuno parla limitandosi solo alla monumentalità e alla grandezza di questa architettura storica. Pertanto ho voluto rendere omaggio a quelle persone che hanno sacrificato la propria vita inglobandole nella costruzione.

La seconda parte dell’installazione riguarda le miniature. Ho realizzato alcuni dipinti su carta. Sono dipinti scolastici collocati alle pareti dello spazio. Ci sono miniature della performance che servono ad attirare l’attenzione sull’ultima che è una miniatura molto piccola. Nelle miniature ho dipinto la torre con dettagli bellissimi e molto particolareggiati introducendo anche alcune scene di violenza intorno alla torre, richiamando così l’idea del potere. Pertanto puoi vedere molto sangue, molto potere nelle mie miniature. Quando arrivi infine sul tetto della torre capisci che stai guardando dentro queste miniature. Il tetto della torre è realmente dipinto con un intervento pavimentale come quello che hai visto a Sharjah. Sul tetto non hai pareti, non hai porte. C’è uno spazio aperto sotto il cielo, circondato da un paesaggio aperto. È uno spazio aperto ma allo stesso tempo molto privato. È nascosto. Ed è il campo di un altro atto di violenza che si è consumato lì. Ho dipinto le miniature allo stesso modo con cui ho dipinto il pavimento del tetto. Pertanto quando sei sul tetto della torre capisci che sei parte di quelle miniature e che stai camminando in quei dipinti. Questo è il racconto completo dell’installazione ed è solo l’espressione di una prospettiva che mi auguro porterai ovunque con te quando sarai uscito dalla torre.

Spesso nelle tue opere è presente un’azione di decostruzione e ricostruzione di immagini stereotipate. Nel caso di Siena e San Gimignano su quali stereotipi hai lavorato?

IQ: stiamo parlando di vite umane in questa bellissima architettura. Poiché non potevo spostare nulla all’interno della costruzione, non potevo mettere un solo chiodo sulle pareti di questa costruzione, ho dovuto produrre tutto qui, sul luogo. Eppure mentre io lavoravo nessuno parlava di vite umane. Nessuno aveva la consapevolezza di quanti fossero morti o avessero partecipato alla costruzione della torre. Pertanto è stato piuttosto interessante notare come tutti parlassero della costruzione e nessuno parlasse delle persone che vi avevano lavorato. Questo è quello che ho provato nel mio cuore. C’era un interessante legame tra ciò che le persone raccontavano sulla costruzione e la storia racchiusa nella costruzione. Non so in quale senso parli di stereotipi. Penso che questo sia riferibile anche agli stereotipi. Le mie miniature sono tipicamente e formalmente simili a quelle della Toscana e delle torri di San Gimignano. Io ho la mia personale interpretazione di questa torre, come puoi vedere. Sono partito dallo stereotipo della torre e ho dato forma alla mia idea. Ho provato a portare le persone a pensarla in un modo diverso.

Nelle tue opere c’è sempre la combinazione di un immaginario relativo alla violenza e un altro più poetico che richiama l’idea di rinascita. Secondo te l’arte può avere una funzione rigenerativa del comportamento umano?

IQ: Certamente. Ti faccio un semplice esempio a tale proposito. Tu sei stato a Sharjah dove avevo dipinto il cortile del museo. Si è trattato di un’opera davvero molto emozionante. Dunque non ho realizzato quell'opera perché le persone reagissero ad essa. Era bellissima e la realizzai seguendo le modalità con cui l'arte può risultare attraente. Alcune persone piangevano all'improvviso mentre altre stavano sedute in un angolo e piangevano anche loro. Ognuno aveva la sua personale interpretazione dell'opera. Ognuno aveva il suo personale dialogo con l'opera. Alcuni la guardavano collegandola all'attualità quindi alla violenza che accadeva in quelle zone, altri la guardavano in un modo molto religioso, altri ancora ritrovavano altri legami con il mondo. Pertanto funzionava a diversi livelli. Vidi una signora giapponese che piangeva e le chiesi perché stesse piangendo. Mi rispose che pensava allo tsunami e stava collegando l'opera con esso. Gli Indonesiani avevano una diversa interpretazione collegandola alle guerre, ai conflitti. Russi e Americani avevano altre differenti interpretazioni. Pertanto ognuno aveva la sua interpretazione, dava all'opera il suo personale significato collegandolo alla loro prospettiva in quel luogo. Pertanto non c'è un unico significato o prospettiva. Ecco, questa è la mia reale esperienza su come l'arte possa influenzare le persone.

Differentemente dalle altre realtà internazionali presenti in Toscana e sempre legate al mondo occidentale (Stati Uniti e Inghilterra) la vostra istituzione guarda a Oriente, perché?

Miriam Grottanelli: Noi già come mission cerchiamo di essere il più internazionali possibile. In particolare in questo momento ci interessa il Medio Oriente, il versante arabo e anche asiatico del mondo perché riteniamo che quello attuale sia storicamente il momento più opportuno per intavolare un dialogo costruttivo ma anche creativo, vista la natura stessa del Siena Institute. Quindi il nostro specifico desiderio è quello di invitare a Siena degli artisti di questi paesi e che una volta scelta una location appropriata, che ha un particolare significato per la nostra comunità, sia Siena sia la Toscana, come in questo caso San Gimignano, possano attraverso un progetto esprimere una prospettiva su temi correnti. Infatti il lavoro di Imran ha molto a che vedere con il binomio violenza/speranza, violenza/pace. Non c'è messaggio più importante in questo momento di quello che lui ci dà all'interno di questa torre, che è anche uno status symbol medievale con tutto quello che significa farlo all'interno di questo edificio. Speriamo di aver iniziato con lui un rapporto che andrà avanti negli anni con la città di Lahore e con l'Accademia d'arte da cui lui proviene. Speriamo di avere altri artisti che verranno a lavorare con dei progetti e anche degli studenti. Il prossimo semestre avremo 3 studenti dell'Accademia in cui Qureshi insegna. Anche quello sarà un grande arricchimento per la scuola perché loro lavoreranno, studieranno e vivranno con noi per 4 mesi integrandosi con gli altri studenti che provengono sia dall'Europa che dagli Stati Uniti. Quindi il nostro obiettivo è portare prospettive molto differenti da quelle che solitamente si percepiscono all'interno del territorio toscano, in modo da attivare una conversazione creativa tra le due parti del mondo e poi anche per fare rivedere Siena e la Toscana ai senesi e ai toscani, in modo che percepiscano delle differenze.

Gli artisti invitati oltre a realizzare il loro progetto interagiscono con la città e gli studenti? Avete organizzato incontri pubblici?

MG: Ci sono stati diversi momenti. Per noi tutto il processo che porta alla creazione di un'installazione è lavoro dell'artista. Dal momento in cui l'artista viene a scegliere la location comincia già a interagire con Siena. Quando poi viene ad abitarci per realizzare il progetto ancora di più. Ad ogni modo abbiamo avuto dei momenti formali di interazione con la città e con la comunità toscana, perché lui ha presentato il suo lavoro due settimane prima dell'apertura del progetto e sono venute tantissime persone che hanno avuto modo di conoscerlo e di vedere il suo lavoro ancor prima che completasse il progetto di San Gimignano. Ha interagito molto con i nostri studenti perché è stato invitato a fare delle “critics” cioè a commentare il lavoro fatto dagli studenti fino ad oggi, quindi anche loro hanno beneficiato della sua presenza, e questo per me non è assolutamente da sottovalutare. Ci sono stati poi tutta una serie di rapporti né controllati né decisi dell'istituto di riferimento. È molto importante la presenza a tutti i livelli sia dal punto di vista formale, che possiamo organizzare noi a livello di progetto o di presentazione, ma anche informale, nel momento in cui l'artista attraversa Siena e si ferma a prendere un cappuccino sta comunque interagendo con la comunità locale. Non sono momenti da dimenticare. È tutto un progetto in costruzione.