Tuonerà la voce di Dio e tutti gli uomini saranno giudicati per le azioni che hanno commesso: i buoni e i giusti verranno accolti in Paradiso, i malvagi vedranno spalancarsi le porte dell'Inferno e non avranno più scampo.

È il Giudizio Universale, la fine di tutti i tempi, la conclusione di una storia che nella religione cristiana era cominciato con la nascita di Adamo ed Eva e con il peccato originale. Un racconto che ha stimolato la fantasia dei pittori di tutti i tempi e soggiogato l'umanità che dalle loro immagini traeva la conoscenza, ma anche subìva il terrore della punizione divina. È appena tornato al suo posto, lì dove era nato e rimasto per secoli, il Giudizio Universale di Buonamico Buffalmacco, tragicamente danneggiato durante il bombardamento del 27 luglio 1944 su Pisa, città dove americani e tedeschi si fronteggiarono a lungo.

Tre giorni e tre notti durò l'incendio del Camposanto Monumentale, su un lato della storica piazza dei Miracoli, portandosi via inesorabilmente 500 metri quadrati di affreschi dipinti nei secoli dai più grandi maestri del tempo e danneggiando il resto, altri 2000 metri quadrati, in maniera violenta e dolorosa. Ci sono voluti oltre 70 anni di restauri, ma oggi il grandioso "Pantheon" è tornato a vivere: il Giudizio Universale è di nuovo sulla "sua" parete dalla fine del 2016, ricongiungendosi così all'Inferno, già collocato alcuni mesi fa. Entro il 2017 anche l'ultima delle grandi opere di Buffalmacco, lo splendido Trionfo della Morte, potrà riprendere il suo posto nel Camposanto Monumentale e un pezzo importante di storia dell'arte sarà di nuovo una gioia per gli occhi di tutti.

Tra Arte e Storia

"Guardate i volti dei beati e dei dannati. Nonostante il fuoco e grazie al restauro questi sono ancora perfettamente leggibili, ci parlano come fossero Dante nella Divina Commedia o il Boccaccio nel Decamerone. Guardate i volti di quegli uomini e vi leggerete lo stupore, il terrore, l'ira, la paura, la compassione; tutte le sfumature delle emozioni sono lì, vivono ancora e in queste possiamo riconoscerci anche noi, uomini e donne del XXI secolo". Ora è Antonio Paolucci, storico dell'arte e Soprintendente dei Musei Vaticani, a tuonare nei capannoni-laboratorio dell'Opera del Duomo di Pisa dove è stato presentato per la prima volta il Giudizio Universale appena restaurato. Proprio a Paolucci è affidata la direzione dei lavori realizzati dalle stesse maestranze dell'Opera con la supervisione di due grandi restauratori, Carlo Giantomassi e Gianluigi Colalucci, quest'ultimo a capo del team di esperti che si è occupato della Cappella Sistina.

Ed è ancora Paolucci a raccontare: "Erano i primi giorni di settembre del 1944 quando Cesare Brandi, giovane direttore dell'Istituto Centrale del Restauro di Roma, arrivò a Pisa dopo tre giorni di viaggio con mezzi di fortuna, grazie ai camion americani che si spostavano verso il Nord sulle strade dissestate. Si trovò davanti l'orrore del Camposanto Monumentale che aveva bruciato tre giorni interi e dovette constatare come alcuni capolavori, tra cui quelli dipinti da Benozzo Gozzoli, fossero andati completamente distrutti. Ma alcune parti erano state risparmiate e su quelle cominciò subito a lavorare". Cesare Brandi era arrivato con una valigia di foto, documentazione degli affreschi che ancora oggi è alla base dei restauri. Da allora sono trascorse tre generazioni di storici dell'arte, di soprintendenti e di professionisti, i quali hanno dato il via a un processo di salvataggio che ha avuto lunghe pause di indagini, riflessioni e consultazioni dovute alla difficoltà dell'intervento. A partire dal 2008 il coraggio di un'impresa che ha portato a recuperare ferite che sembravano non rimarginabili.

Le sfide del restauro

Il primo problema da risolvere era la rimozione degli affreschi dai vecchi supporti di eternit su cui vennero installati nel periodo post-bellico usando leganti come caseina, grassello di calce e colle di varia natura, leganti che negli anni avevano subìto processi di degrado al punto di mettere a rischio la salvezza stessa degli affreschi. "I restauri sono stati eseguiti con tecniche all'avanguardia, unite a metodi tradizionali", ha spiegato Carlo Giantomassi. "I supporti di eternit dovevano essere staccati evitando di polverizzare l'amianto e lo abbiamo fatto senza usare alcun sistema meccanico, attraverso l'applicazione di una serie di tele e impacchi. L'ultimo vecchio supporto è stato tolto un paio di mesi fa su una porzione del Trionfo della Morte, ancora in corso di recupero. Ora gli affreschi sono installati su pannelli di aerolam, cioè alluminio stretto tra due fogli di vetroresina".

Questo non basta, tuttavia, a salvare i fragili personaggi che popolano le storie raccontate da Buffalmacco. La particolare esposizione del Camposanto e l'area in cui gli affreschi sono collocati ha contribuito nei secoli al loro degrado. Infatti il rapporto tra la temperatura delle superfici pittoriche e l'umidità che si forma in quell'ambiente, saturando l'aria di vapore acqueo, ha da sempre creato gravi fenomeni di condensa. Immaginabile il danno sugli affreschi. Per evitarlo d'ora in poi è stata fondamentale la tecnica, dalla quale è arrivata una soluzione di avanguardia unica al mondo: un pannello fatto a sandwich al cui interno si trova un tessuto contenente fibre di carbonio che sviluppano calore al passaggio della corrente elettrica a basso voltaggio. In pratica è di un sistema di riscaldamento che innalza dal retro la temperatura di superficie degli affreschi di 2 o 3 gradi sopra la temperatura dell'ambiente. Ogni 10 minuti un sistema di sensori rileva l'umidità e, in condizioni critiche, mette in funzione il dispositivo facendo produrre il necessario calore.

Batteri ammaestrati

Anche le ultime ricerche della microbiologia hanno avuto una parte importante nel recupero del ciclo di affreschi del Camposanto Pisano. Poiché la caseina, usata nel dopoguerra per fissare gli affreschi ai supporti di eternit, provocava rigonfiamenti, crepe e perdite di strato pittorico, era assolutamente necessario rimuoverla. Ma come? I solventi tradizionali apparivano insufficienti e in qualche caso anche pericolosi per il mantenimento dei colori. Ci hanno pensato i batteri "ammaestrati", coltivati e addestrati nei laboratori di Campobasso dal microbiologo Giancarlo Ranalli, dell'Università del Molise. Lì sono stati nutriti solo con acqua e con caseina e colle varie, di cui sono diventati "ghiotti". Una volta inviati a Pisa i batteri, "liberati" sul retro e sul davanti degli affreschi, sono stati capaci di eliminare totalmente il materiale organico, senza danneggiare il colore originale. Solo tre ore per ogni porzione di affresco: la loro voracità ha piacevolmente stupito tutti

Chi era Buffalmacco?

Non si poteva sperare di più dalla conoscenza scientifica. Salvare un patrimonio artistico significa mantenere la propria identità e le proprie radici, oltre a difendere una bellezza che è anche sostanza, frutto di tempi in cui alla cultura veniva riconosciuta un ruolo importante. Dovremmo considerare quel passato come un monito alla nostra temibile "distrazione". In un panorama sconfortante di patrimoni storici e artistici lasciati in balìa del tempo, operazioni come quella dell'Opera del Duomo di Pisa, ente proprietario della piazza dei Miracoli, sono un evento così virtuoso da apparire troppo bello per essere vero. Sei milioni di euro in totale, di cui uno iniziale finanziato dalla Regione Toscana e il resto proveniente dalle casse dell'Opera, sono il prezzo del necessario coraggio che ci ha risarcito di un'enorme ferita dell'ultima Guerra Mondiale. "Purtroppo il Camposanto Monumentale non potrà più tornare ad essere quello è che stato, ma ciò che è rimasto ed oggi finalmente restaurato ci fa capire quella che deve essere stata l'Italia del Trecento, un secolo d'oro della nostra arte".

È ancora Paolucci a parlare davanti al "miracolo" appena concluso: "In questi affreschi c'è ancora la pelle: i personaggi sono ancora vivi e ci mostrano la grandezza di questo Maestro, il Maestro del Trionfo della Morte. Dobbiamo stare qui e guardarli per ore uno ad uno, perché ci aiuteranno a capire tutto...". Ma chi è il Maestro del Trionfo della Morte? Per lungo tempo la sua identità è stata incerta fino a quando, nel 1974, Luciano Bellosi sciolse l'interrogativo attribuendo l'importante ciclo di affreschi (Trionfo della Morte, Giudizio Finale, Inferno, Tebaide, Resurrezione, Verifica delle Stimmate, Ascensione) a Buonamico Buffalmacco, pittore nato a Firenze, ma girovago e "dissidente" rispetto agli insegnamenti di Giotto, come dimostrerebbero alcuni elementi grotteschi e quasi "blasfemi", figli della sua ironia e impertinenza. Perché Buffalmacco altri non sarebbe che il pittore burlone delle novelle del Decamerone del Boccaccio, quello che fa da spalla a Bruno e Calandrino. Di lui non sembrava fossero rimaste opere, ma la storia dell'arte a volte ci regala scoperte e recuperi di personalità artistiche che non ci saremmo aspettati.

La ricerca di Bellosi ha convinto gli studiosi contemporanei. Paolicchi compreso. "È un'attribuzione accettata e anch'io la condivido", conferma. "In ogni caso, che quegli affreschi siano usciti o no dalle mani di Buonamico Buffalmacco non mi interessa poi così tanto. Ciò che è certo è che siamo davanti a un grandissimo Maestro del primo Trecento. È questo è l'importante".