Guardate con attenzione intorno a voi: le cinque opere dell’artista italiano Alighiero Boetti qui esposte costituiscono un insieme eccezionale. Cinque lavori differenti, realizzati in momenti diversi della carriera dell’artista, tra il 1968 e il 1994, data della sua prematura morte: eppure, riuniti in tal modo, sembrano convergere in un paesaggio di grande coerenza. Due autoritratti delimitano la mostra: da un lato lo sdoppiamento fotografico dell’artista in fratelli gemelli, gesto che annuncia la lettera e che l’artista provvederà in seguito a far scivolare tra il suo nome e il suo cognome, Alighiero e Boetti. Perché tale gemellanza fittizia parla anche del decentramento interiore della sua opera, che, attraverso i viaggi, in Afghanistan in particolare, rappresenta una vasta deriva al di fuori di un’arte concettuale eurocentrica. “Io è un altro”, diceva Rimbaud, “Io è un collettivo”, dice giustamente Boetti – ed è corretto dire che tutte le sue mostre personali assumono sempre l’aspetto eterogeneo di una collettiva.

All’altra estremità di questa vita d’artista si colloca la famosa scultura Autoritratto, il suo ultimo lavoro, autoritratto in bronzo che evoca tragicamente il tumore al cervello che presto porterà alla morte una delle figure chiave – ma al tempo stesso marginale – dell’Arte Povera.

Tra questi due autoritratti è trascorso del tempo, come dimostra l’orologio 1984: dal 1977 al 1994 Boetti ha prodotto ogni anno 50 e 200 esemplari di questi Orologi annuali che mostrano l’ora insieme con precisione e genericità, opera al contempo splendida e piena di umorismo. Il tempo scorre in modo ancora diverso nelle ampie pagine di carta blu oceano ricoperte con la penna biro dello stesso colore (Mettere Al Mondo il Mondo), con piccole virgole a punteggiare la poesia di questa azione oziosa fatta opera. Anche in questo caso, si è di fronte al collettivo: il lavoro, parte di una serie di esemplari realizzati a mano, ma da diversi individui anonimi, a volte affidati addirittura agli allievi romani di Boetti, mette in discussione la figura tradizionalmente “singolare” dell’artista. Come dire che attraverso di esso, ciò che si mostra in questo insieme è l’idea molto evidente in Boetti che l’arte propone più che forme estetiche: forme di vita.

Guardate di nuovo con attenzione intorno a voi: non vi sorprenderà sapere che ci sono volute circostanze particolari per vedere queste opere riunite e rimesse sul mercato all’interno della galleria Frutta. È stato necessario il fallimento dichiarato di un museo d’arte contemporanea italiana negli anni di Berlusconi, costretto a rivendere diversi lavori delle sue collezioni, tra cui i pezzi bluastri di Mettere Al Mondo il Mondo.

Poiché Boetti regalava questi orologi annuali a conoscenti del suo entourage, è stato necessario che Jonathan Monk, in segno di amicizia, desse continuità a questo gesto, donando all’artista Gabriele de Santis l’orologio 1984 che egli stesso aveva ricevuto da Alighiero. Infine, è stato necessario che una commissione popolare (e populista) di Bergamo votasse la rimozione dell’autoritratto in bronzo dal parco pubblico di San Virgilio per ritrovarlo qui. Le opere supplementari sono state messe a disposizione dalla Fondazione Alighiero e Boetti.

A cura di Jean-Max Colard, Art Critic, Responsible for Talks Programme at Centre Pompidou.