Il Complesso Museale Chiostri di Sant’Eustorgio a Milano, fino al 25 giugno 2017 accoglie la personale di Adrian Paci dal titolo The Guardians. La mostra, curata da Gabi Scardi, presenta un imponente nucleo di video, foto, sculture e mosaici che toccano i diversi periodi creativi dell’artista e coinvolge luoghi di straordinaria importanza storica come il Cimitero Paleocristiano, la Cappella Portinari in Sant’Eustorgio e la Sala dell’Arciconfraternita del Museo Diocesiano.

Albanese di nascita e italiano di adozione dal 1997, Adrian Paci vede nella migraticità la condizione più propria dell’uomo e dell’artista, un continuo stimolo per immaginare nuovi modi di vivere e nuovi linguaggi con i quali esprimersi e le sue opere sono un modo attivo di pensare la contemporaneità.

The Guardians rappresenta una mostra personale che raccoglie le opere più significative della tua produzione?

“Più che di sintesi del mio lavoro, quello che mi interessa rappresentare qui è la dimensione del dialogo che i lavori creano uno con l’altro e con lo spazio. Ovviamente in questo dialogo c’è una voglia di toccare anche vari momenti del mio lavoro e di presentare un percorso che mi rappresenti. E dall’altra parte è fondamentale il rapporto dei lavori specialmente in questo luogo, uno spazio che non è solo fisico ma possiede una carica simbolica, culturale, spirituale e artistica, importante per Milano e per l’Italia. Ho cercato di portare un gruppo di lavori anche nuovi - sono quattro i lavori che presento per la prima volta - insieme ad altri lavori del passato per sottolineare il percorso e pensando al dialogo che i lavori possono suggerire nel rapporto con quello che c’è attorno.

Home to go, la scultura a grandezza naturale in polvere di marmo e resina nella Sacrestia Monumentale raffigura l’artista in veste di viandante, spoglio di tutto con un tetto sulle spalle come se fosse un paio di ali?

Più che l’artista è l’uomo che viaggia e che porta con sé qualcosa e questo qualcosa è un tetto rovesciato che rimanda all’idea della casa come accumulo di memoria che viene rovesciato fisicamente ma anche simbolicamente diventando così quasi un paio di ali che portano via e l’uomo porta su di sé il peso concreto della memoria. Più che significati le mie opere vogliono suggerire suggestioni.

Da un lato l’opera video The Guardians che racconta di un cimitero cattolico a Scutari, dismesso durante la dittatura in Albania e ora animato da bambini pagati per prendersene cura, un fenomeno che rispecchia la contraddittoria ma inarrestabile rinascita del paese. E dall’altra Malgrado tutto, una serie di foto di graffiti tuttora presenti sulle pareti delle celle di un antico monastero francescano che, durante il regime, funse da prigione.

Sono due lavori che non sono nati uno accanto all’altro, ma anche questo fa parte di una mostra e dimostra il dialogo tra i lavori e per me è importante che i lavori stessi abbiano delle aperture perché proprio nel momento in cui li incastri con altri lavori l’apertura diventa uno spazio di un dialogo. E in tutti e due i casi mi interessava comunque questa delicatezza del gesto, soprattutto nel lavoro fotografico, queste tracce sono drammatiche se ci pensiamo ma sono leggere per i nostri occhi e non urlano. Hanno bisogno di attenzione per essere viste. Come la presenza dei bambini nel cimitero, questo prendersi cura, questo quasi giocare nel cimitero , senza alcuna profanazione. E i bambini in qualche modo sdrammatizzano la storia di un luogo dove sono state fucilate decine e decine di persone.

Il video Rasha nasce dall’incontro di Adrian Paci con Rasha, una donna palestinese che viene dalla Siria ed è recentemente approdata a Roma grazie ai corridoi umanitari. Rasha viene ripresa mentre racconta la propria storia. Le immagini che scorrono nel video, però, corrispondono ai momenti in cui, tra una frase e l’altra, la donna tace, in attesa che le sue parole vengano tradotte e, in queste fasi di silenzio, la sua postura, i gesti e le espressioni che le si alternano sul volto comunicano la tensione e la forza dell’esperienza vissuta.

Dal dialogo con Rasha è nato il girato. E questa traccia può raccontare e può far riflettere come l’esperienza e la storia possono incidere sul nostro corpo e come il nostro corpo diventa testimone di questa storia oltre la parola.

La tua arte vuol essere uno specchio della contemporaneità?

Certo, ma converge verso il senso del linguaggio artistico. Non importa una semplice descrizioni di fatti ma capire come un ritratto di questo tipo, (come quello di Rasha per esempio) attiene alla storia dell’arte che è piena di ritratti. E, in qualche modo, quando vedo questo volto che mi ricorda i dipinti di Masaccio, penso che rappresenti anche un’urgenza del presente. Nello stesso tempo, invita alla contemplazione ogni volta che lo vedi e l’invito alla contemplazione appartiene all’Arte.