Cabinet inaugura Venerdì 21 Aprile 2017 la doppia personale di Brian Calvin e Wendy White a cura di Maria Chiara Valacchi.

Nella gestazione di un’opera cinematografica l’importanza dell’attore principale è spesso sottolineato dal numero di close-up assegnati; un campo di ripresa stretto su un primo piano che trascura il contesto e ne amplifica l’efficacia descrittiva. Un particolare dotato in realtà di una struttura complessa, ma spesso obliata, che in pittura può essere inteso sia sotto il profilo fenomenologico che ontologico. Brian Calvin e Wendy White si soffermano sull’ontologia del peculiare, tramutando un dettaglio iconico nell’oggetto “rivelatore” e scompaginando il dispositivo della rappresentazione.

Brian Calvin (Visalia, CA, 1969) non è interessato ad uno sviluppo narrativo ma alla luce e al realismo che trasferisce nell’esecuzione di grandi volti dai caratteri abnormi e dalle espressioni imperturbabili. Nella definizione di profili, labbra e occhi c’è un estrema semplificazione dei tratti e delle campiture che, mutuando un’estetica pubblicitaria, lascia spazio ad una lettura empatica e libera. Eseguiti ad olio e ad acrilico e ancorati ad un immaginario culturale e iconico prettamente americano, i suoi soggetti mutano in vere e proprie astrazioni sperimentali grazie a un processo di rielaborazione per mezzo di ampi salti di scala, interpolazioni di texture e vuoti cromatici.

Wendy White (Deep River, CT, 1972)presenta un'opera permeata di caratteri iconografici, scritte cubitali e marchi sportivi, metabolizzati e utilizzati dall’artista quali archetipi di un personale codice pittorico. Il colore fluorescente steso a pennello e ad aerografo, insieme ad elementi solidi come reti o forme 3D, si articola in una sovrapposizione di layers per sfuggire alla dinamica classica del supporto bidimensionale e trasformandosi sovente in vera e propria scultura. I suoi lavori ricchi di contaminazioni ed elementi street, coniugano temi alti a citazioni di sotto-cultura sociale in un processo di selezione di segni “pop” da elevare all’arte.

Per Cabinet, i due artisti, costruiscono un corpo di opere inedite connesse da una comune riduzione dell’immagine ai suoi principi necessari. White realizza sagome piatte in dibond nero raffiguranti cuori “pixelati”, nuvole piangenti e arcobaleni stilizzati, che si articolano nello spazio centrale della galleria; sospesi dal soffitto e complanari ai muri perimetrali, costruiscono un contrappunto aereo e cromatico con i tre grandi close-up pittorici di Calvin. Come asseriva il critico Aby Warburg “il buon Dio si annida nel dettaglio” e qui lo spettatore è obbligato ad esaminare da vicino spazialità, temporalità e materialità del lavoro proiettandolo verso un percorso d'osservazione vergine ed analitico. I due artisti prendono le distanze dalle pratiche tradizionali svelando subito l’elemento incognito, discordante e singolare, che il critico Daniel Arasse ci insegna ad interpretare come la chiave per scoprire che l’opera “non racconta solamente una storia” - ma - “la pensa”.