Anche se la società in cui viviamo si professa estremamente attenta al mondo dell’infanzia, e superbamente premurosa nella gestione del processo di crescita, di fatto notiamo indicibili lacune e clamorosi errori strutturali:
• l’iperprotezione
• l’iperstrutturazione
• l’eliminazione degli ostacoli
• l’eccesso di stimolazione
• l’utilizzo della tecnologia a scopo vicariante
• la proiezione dei timori all’esterno.

Tutti questi elementi concorrono a disegnare un quadro in cui, a dispetto della verità che si professa, la sostanza rivela un’assenza di responsabilizzazione del ruolo genitoriale. In altre parole, il genitore non si fa carico del compito educativo, ma cerca surrogati e oggetti vicarianti all’esterno. Non assume su di sé la gestione del rischio, l’educazione alla relazione con il limite, con il divieto, con la difficoltà, non insegna al bambino che cosa significhi il pericolo, né tantomeno come lo si eviti e lo si gestisca.

La negazione e l’assenza di ruolo, oggi sostanziali a dispetto di una facciata di attenzioni di superficie, determinano nella nuova generazione rilevanti difficoltà nell’assunzione di sé, nella capacità di autodeterminarsi, nell’espressione di un atto creativo, nella sana inventiva. Del resto, se ci mettiamo nei panni di un bambino di oggi, per quale motivo dovremmo fare lo sforzo di inventare un gioco, di assumere un ruolo propositivo, attivo, di lanciare un’idea creativa? Tutto è già impostato, pre-confezionato in base ai presunti bisogni, strutturato apposta per il mondo dell’infanzia. E per quale motivo dovremmo conoscere che esistono dei pericoli nel muoversi nello spazio, nel relazionarsi agli altri, nel conoscere e frequentare altri bambini, nel provare nuove cucine, nuove abitudini? Tutte le scelte sono già stabilite, le novità e gli imprevisti vengono sempre accuratamente evitati, le esperienze filtrate, i pericoli evitati dal saggio mondo degli adulti.

Ma che ne è della prova, dell’avventura, della sfida, della scoperta della novità, in altre parole dove è andato a finire il normale e fisiologico processo di autonomizzazione e affrancamento? Come si può pretendere che chi non ha mai conosciuto niente davvero, niente in maniera autonoma, non ha mai sperimentato che cosa voglia dire fare una scelta, esprimere un desiderio e soffrire nella frustrazione del tempo di latenza che ne precede la soddisfazione, eventuale e non garantita, possa un giorno, di punto in bianco, essere propositivo nel mondo della scuola, nel mondo del lavoro, nell’espressione dei propri gusti e nella scelta del proprio percorso? Questa situazione crea degli adulti che spesso vanno alla ricerca di che cosa vogliono, che chiedono una psicoterapia perché non conoscono i propri gusti, obiettivi, in altre parole perché non sanno che cosa significhi l’azione autonoma.

La causa prima di questa situazione è da ricercarsi nel livello di ansia – sociale – molto elevata e diffusa, ossia non focalizzata su singoli elementi specifici, bensì spalmata sull’intera esistenza, sul mondo e sulla visione di esso. Poiché il mondo adulto è in ansia – per il futuro, per l’economia, per il traffico, per la pedofilia, per la violenza, per la mancanza di sostegni sociali, per l’assenza di modelli di valore e di etica – allora decide che tutte queste cose rendono impossibile una crescita nel mondo, e pertanto non si assume il rischio di insegnare al bambino a conoscere il pericolo, a capire dove mettere il limite, come gestire le difficoltà che si presentano. Su tutte queste cose, l’adulto decide di farsi modello di evitamento. Ebbene, l’evitamento è il contrario del superamento, di quella che, in fisica come in psicologia, viene chiamata “resilienza”.

In psicologia la resilienza è la capacità di affrontare, gestire e superare le difficoltà, mostrando forza, flessibilità e tenacia. Se un bambino vede che l’adulto gestisce in prima persona le difficoltà, impara che queste si possono superare, viene aiutato a superare le paure. Se invece un bambino vede che l’adulto evita le difficoltà – lo porta sempre in macchina, lo accompagna sempre ovunque, gli struttura dall’alto tutta la giornata, gli organizza perfino il tempo libero in attività sempre organizzate e gestite – allora impara che le difficoltà sono enormi, terribili, insuperabili, e per così dire “si siede sugli allori” del precostituito, si adatta a evitare di essere attivo e propositivo.