Vi capita mai di pensare al vostro novantesimo compleanno?

Intendo dire di immaginare che aspetto avrete. O come vi sentirete. O come e dove vi piacerebbe festeggiarlo. Preferireste farvi una discesa con gli sci? Andare a pescare nel fiume? Salire in vetta ad una cima? Scrivere l’ultima parola di un nuovo libro? O festeggiarlo partecipando ad una maratona?

Lo so che è strano pensarci. E no, non si tratta di fantasie irrealizzabili. Per ciascuna di esse potrei citarvi una persona che ha festeggiato il proprio novantesimo compleanno proprio in quel modo. Eppure immaginare il proprio novantesimo compleanno risulta difficile perché sappiamo che l’aspettativa media di vita per gli abitanti dei paesi occidentali oscilla intorno ai 77 anni. E immaginare di trascorrerlo in modi così “dinamici” si scontra con la consapevolezza che la maggior parte degli anziani che conosciamo arriva a questa età solo grazie alla somministrazione di una gran quantità di farmaci, e comunque in precarie condizioni di salute fisica, psicologica e cognitiva.

Eppure, se andiamo a chiedere l’opinione dei migliori biologi molecolari o dei più autorevoli geriatri, ci confermeranno tutti che esistono studi attendibilissimi i quali dimostrano che - dal punto di vista biologico - l’uomo potrebbe vivere tranquillamente fino a novanta-cento anni in ottime condizioni, sia fisiche che mentali. Dunque, se questo è vero, significa che la maggior parte di noi “lascia sul tavolo” un lasso di vita importante equivalente a circa 13 anni! Tredici anni che potrebbero essere vissuti e goduti fin quasi all’ultimo giorno.

Dove sta il trucco? Quale elisir bisogna assumere per riuscire a vivere più a lungo e a mantenere energie sufficienti a far sì che la vita valga la pena di essere vissuta? E’ una delle domande più antiche del mondo, alla quale oggi siamo però in grado di rispondere. Per prima cosa voglio sgombrare il campo dalle possibili obiezioni: no, la genetica non c’entra gran che. Il Danish Twin Study, il più famoso studio esistente sui gemelli monovulari, ci dice che quando parliamo di longevità la genetica è responsabile solo del 15-20% del risultato finale. Il restante 75-80% è da imputarsi esclusivamente allo stile di vita (e al caso).

Dunque, se non è possibile vivere in eterno, qual è il segreto per vivere più a lungo in buona salute? Cosa bisogna fare per riuscirci? Se dovessimo dare a questa domanda la più semplice delle risposte possibili potremmo dire: fare tutto ciò che ci permette di mantenere il nostro metabolismo in condizioni ottimali. In altre parole, cercare di evitare il più possibile di seguire stili di vita che possono danneggiarlo, dato che questi è il vero responsabile dei livelli di energia che ciascuno di noi ha a disposizione per vivere. E in secondo luogo di cercare di proteggere il più possibile il proprio DNA da possibili danni (fisici, chimici o biologici) implementando stili di vita che ne stimolino la riparazione. Ed infine scegliere stili di vita che permettano di attivare quelle funzioni auto-fagiche (la capacità di distruggere cellule alterate) di cui ciascun tessuto del corpo umano è naturalmente dotato.

Sembrano cose molto difficili a dirsi, ma raggiungere questi obiettivi è in realtà tutto sommato facile, a patto di essere disposti a modificare radicalmente certe cattive abitudini che ciascuno di noi acquisisce fin da piccolo per il solo fatto di nascere e crescere in questo settore del pianeta. Prova ne sia il fatto che anche nei paesi occidentali esistono alcune isole felici in cui la longevità è conseguita dalla maggior parte degli abitanti (le cosiddette Blue Zones). In Italia abbiamo ad esempio il paesino di Ovodda, in provincia di Nuoro, da molti anni crocevia di studiosi interessati a questi argomenti. Ma ne esistono molti altri nel mondo. E la cosa interessante è che quando si vanno a confrontare gli stili di vita di queste fortunate popolazioni, si riscontra un’incredibile concordanza di fattori.

Per esempio:
• non vivere in zone economicamente sviluppate e non godere di particolare benessere economico
• seguire diete tradizionali dove gli alimenti industriali sono pressoché assenti
• restringere periodicamente la quantità o la qualità dei cibi consumati
• condurre una vita molto attiva pur senza frequentare palestre o fitness clubs
• avere molte passioni ed interessi
• vivere in zone dove gli anziani vengono rispettati e sono considerati un plusvalore della società e dove si vive nel rispetto delle tradizioni

Se è vero che non tutti questi fattori possono essere “imitati” da chiunque, certo è che alcuni di essi possono essere riprodotti senza grandi difficoltà. In questa serie di articoli mi soffermerò principalmente su questi ultimi, che riguardano la nutrizione e l’attività fisica, i due elementi che oggi sono ritenuti i principali responsabili della tutela di un metabolismo sano. Già, perché, come già detto, il livello di salute del metabolismo è il vero indicatore dei livelli di energia di un individuo.

E purtroppo nei paesi industrializzati un individuo su tre soffre di una patologia metabolica (spesso senza esserne nemmeno a conoscenza). Dunque non è strano se nei paesi industrializzati è così difficile trovare anziani pieni di energie, ma è piuttosto vero il contrario. Eppure di tutti i fattori che possono contribuire ad accelerare l’invecchiamento dell’uomo quest’ultimo sarebbe il più facile da controllare in quanto basterebbe mangiare un po’ meno frequentemente, limitare l’assunzione di prodotti alimentari industriali (in particolare quelli artificialmente addizionati di zucchero, sale e grassi innaturali) e fare un diverso tipo di attività fisica.

Proprio come fanno i centenari di Ovodda, i quali si nutrono di una dieta molto ricca di vegetali, addizionata di modeste quantità di formaggio e di carne provenienti da pecore cresciute al pascolo, e innaffiate da un vino rosso (il Cannonau) che contiene tre volte più polifenoli di qualsiasi altro vino prodotto sul pianeta. O come fanno tutti quegli animali (marmotte, orsi, balene, pinguini, oche, colibrì, rane, etc.) che la natura ha predisposto a sviluppare periodicamente una sindrome metabolica a scopo di sopravvivenza, che però non travalica mai i limiti della fisiologia né si trasforma in patologia, come accade invece nella specie umana.

Ma di questa storia vi racconterò i dettagli nel prossimo articolo.