Quando un'amica mi chiede come sto rispondo che non lo so. Non lo so...

Alla fine dell'estate faccio progetti per le serate invernali. Mi dico che dopo cena non crollerò più davanti alla televisione ma uscirò tutte le sere per fare almeno una passeggiata (abito in una zona buia e desolata) andrò al cinema e frequenterò il Mama's con le sue serate artistico culturali. In giugno, guardando la valle nei suoi tramonti dorati sono sicura che in luglio farò il giro delle sue vie d'acqua in barca o in canoa.

Quando preparo le valigie per il trasloco estivo penso di realizzare la piccola rivoluzione della mia vita: portare solo lo stretto necessario. In realtà in inverno, dopo cena non esco quasi mai; semi sdraiata scrivo in una posizione scomodissima e come sotto fondo la televisione va.

In estate sono anni che la valle me la guardo dallo stesso punto di vista e di traslochi ne faccio uno enorme a inizio e fine stagione e altri, più piccoli, nei fine settimana quando rientro a Ravenna perché la spiaggia si riempie di gente e Marina Romea diventa un paese di automobili. E mi porto appresso sempre l'inutile. Quando tento di modificare, anche minimamente la mia vita e sono sicura di riuscirci, in realtà non mi conosco. Quindi mi aggiro quotidianamente con la mia sconosciuta in stato confusionale e non so dire proprio come sto. Non lo so...

Mentre scrivo il sottofondo di un programma radiofonico parla della sessualità della terza età. Le attività che vanno seguite sono la danza, il movimento, la tango terapia, l'innamoramento. Bene. Da vecchie bisogna essere giovani, anche questa cosa mi crea un certo spaesamento. Lo dico io che pur essendo un'accanita ciclista e una brava e resistente nuotatrice sono inesorabilmente anziana. A volte vecchia.

Vecchia... La parola stessa terrorizza.

Da quando ho compiuto settant'anni ho accelerato i miei ritmi creativi. Mi accorgo di accumulare impegni. Ho una certa fretta perché sento il dottor Alzheimer alla porta. Non ricordo più i nomi di amiche, amici e parenti. A volte tendo a ripetere gli stessi lavori e gli stessi discorsi. Quando Manlio e io conversiamo non ricordiamo luoghi, date, titoli di libri e di film. Le parole interrompono il loro percorso logico; inciampano. La memoria torna a tempi lontani e arretra dinnanzi al passato prossimo e al presente. Sento di avere a mia disposizione tempi brevi e d'altra parte esiste in me la dignità di mantenermi in discreta salute psico fisica per non rimanere, rincoglionita, in balia dell'amorevole sacrificio di figlie, parenti, medici e badanti.

In questa mia età si consuma un distacco. Una lontananza che mi porta ad accogliere il vivente che mi circonda. In un'aria diversa vedo le metamorfosi della natura e con loro mi confondo. Il corpo si piega e diventa una spiga di grano maturo e contemporaneamente la mente produce le sue idee. In questo intimo rapporto prendono forma le mie opere. Non mi sono ritirata, sto andando per altre strade. Ho preso il largo. Per me, ora, abbracciare un albero o una persona è la stessa cosa. Stessa emozione e stessa intensità.

Cerco così di restituire alle relazioni il carico di nuove appartenenze. Lo posso fare solo ora. Ieri, poco tempo fa, ero distratta. Il mio era uno sguardo ravvicinato che non mi permetteva di vedere l'insieme. Ero attratta dal particolare e dal momento.

Se non fosse per le visite mediche, per le analisi del sangue, per una discreta quantità di medicine da ingerire e per gli appuntamenti in genere, la vecchiaia non sarebbe un brutto periodo. Nella mia vita ne ho avuti di ben peggiori. Forse...

Forse è aumentato il mio stato confusionale ed è arrivata l'ira funesta di mia madre che era la sua caratteristica primaria e ora per via diretta è qui da me. Forse un'altra caratteristica di questo mio tempo è l'eccessiva apprensione. Sono costantemente preoccupata. La preoccupazione parte dall'ascolto psicosomatico della mia persona, si concentra poi su problemi reali o immaginati di figlie e nipoti.

Si dilata a parenti, amiche e amici, ai mutamenti climatici, alla insopportabile devastazione del territorio - con particolare sofferenza per i muretti di cemento che crescono ovunque e mi impediscono la visione del mare-. La preoccupazione si trasforma in ansia insostenibile. Irrompe nella mia vita con violenza inaudita e la trascina in un vortice ingovernabile. È come se avessi esaurito tutte le riserve di umana sopportazione. Non riesco a sostenere più neanche uno spillo. In questo momento ad esempio, ho la nausea come mia figlia Valentina che è in attesa della sua terza creatura. Il mio stato di empatia non ha più difese ma queste sono cose che devono rimanere nel buio e nel silenzio del non detto.

All'esterno ci sono grandi manovre che tentano di rimuovere l'essere vecchi e vecchie come se fosse un male innominabile, un bubbone osceno. La peste. E così le vie d'informazione rimandano della vecchiaia, una immagine giovanile; salta, balla, innamorati, fai sesso, fai sparire le rughe e altro ancora; insomma rimani giovane.

Circola la grande paura di essere quello o quella che ciascuno e ciascuna di noi è. In questo caso io che ho settantuno anni e a volte mi sento vecchia e a volte bambina. Sono stata un fiore di ragazza. Al mattino, ora, lo specchio rimanda una immagine che non riconosco. Però cerco di capire questa mia età che risuona come un tabù innominabile. L'età.

Ma che cosa è l'età? Esternamente è la misura delle fasi della nostra vita. Esternamente.

Ma la vita esterna non mi appartiene. Non arriva a me, semplicemente. Una vita esterna è assenza di me. L'età, per appartenermi, è condivisione interiore, è mia presenza. E ora, come altre volte nella mia vita, oscilla.

Quando, in bicicletta, corro verso il mare o lungo l'argine del fiume o nuoto per ore, il mio è un corpo di ragazza agile e potente. Quando invece mi alzo dal divano, spesso mi inchiodo. Anche in questa età si compiono metamorfosi.

Nella realizzazione degli acquerelli la mano corre veloce alla ricerca della perfezione. La stessa mano poi è offesa da un'artrite deformante che mi crea dolori lancinanti.

Ecco l'oscillazione, il controcampo, il dritto, il rovescio. Da una parte fisico e mente che ancora rispondono alle passioni, dall'altra le mutazioni che conducono inesorabilmente verso una fine.

Sono ancora solo campanelli d'allarme ma sono segni ben visibili destinati ad aumentare in tempi brevi. Si parte da una mente distratta, sempre altrove, si procede verso un viso in perdita di connotati e si arriva ad un corpo in caduta libera. A questo sfacelo cerco di opporre resistenza cercando di mangiare molta frutta e verdura, come consiglia il professor Veronesi; nella nostra cultura ormai rappresentano un dovere quotidiano per tutte le età. Se mi abbandono al piacere di qualche altro cibo mi vengono i sensi di colpa ed è così che frutta e verdura mi sono diventate cordialmente antipatiche; ci fanno troppo bene.

In questo mio tempo nel quale tutto sembra crollare e sparire, persiste una realtà a temporale, invulnerabile che ha le sue radici in quel processo creativo ed esistenziale che si realizza quotidianamente, qui nello studio e nei percorsi nella natura.

Mentre scrivo ogni tanto osservo le pareti. Non più muri ma fiori, antiche scritture, grandi pagine, valli, acqua marina, pettirossi, scudi, il cavallo della memoria. E così tra una caduta e una resurrezione mi sento una donna fortunata. Anziana abbastanza da sentirmi proprio vecchia ma anche bambina e giovane ragazza. A volte...

Oggi è il 24 luglio 2014. Piove. Come ho già scritto in Splendore, Oscurità a volte nella mia vita qualcosa o qualcuno si mette di traverso, io inciampo, cado e per un po' la mia anima vola via. Due settimane fa, mentre ero impegnata a decifrare la sacra geometria in Ildegarda di Bingen, i giovani vicini di appartamento parlavano come al solito a voce alta. Da tempo sono circondata da gente che urla. Perché in spiaggia, in città, nei negozi, al bar, al ristorante, al cinema, le persone mi devono informare di loro fatti personali? Con l'età purtroppo credo mi sia aumentato l'udito. Sono forse come il conte Dracula che sentiva il galoppo del cavallo ancor prima che questo partisse e ne era furiosamente infastidito? Non lo so.

Ma so che i toni alti e sguaiati di quei giovani mi infastidivano. Nei giorni precedenti li avevo pregati di abbassare i toni, senza alcun risultato. Mi sono aggrappata allora a Rai radio tre. Anche quella sera l'ho accesa per disperazione mentre andava in onda un concerto di musica classica. Ho subito pensato che quei suoni di rara bellezza sicuramente li avrebbero irritati. Al mio pensiero è seguita immediatamente l'azione di uno di loro che come una mina vagante è schizzato nel basso muretto che separa i due terrazzi e mi ha inchiodata con una raffica di offese tutte orientate sul tema della vecchiaia.

La vecchiaia usata come l'insulto peggiore, come peste, insomma come la più grande della sfortune e delle sventure. E come appestata dovevo andare a vivere da sola in cima a un monte.

Non so litigare. Mi escono balbettii confusi. Ho detto solo che facevamo parte di due mondi troppo lontani per riuscire a vivere così vicini e che avrei chiesto immediatamente di cambiare appartamento. E così ho fatto un nuovo trasloco.

Ora l'unica variante riguarda il terrazzo dei nuovi coinquilini che invece di essere a destra si trova a sinistra. Rimangono i toni "alti" che provengono da una simpatica famiglia romana. Ho riacceso la radio e questa volta mi sono affacciata al loro terrazzo e ho chiesto se il volume disturbava. Abbiamo conversato amabilmente e mi sono resa disponibile per indicare loro percorsi nella valle e in pineta. Ma molto gentilmente mi hanno risposto che erano venuti da Roma per andare a Mirabilandia.

Come sto? Forse sto male.