"Non voglio farti la predica, ma ti do un consiglio che ti servirà per sempre. Nella vita conoscerai molti stronzi. Se ti feriscono pensa che è la stupidità che li spinge a farti del male: ti eviterà di ripagarli con la stessa moneta. Perché non c'è niente di peggio al mondo del rancore e della vendetta. Resta sempre integra e coerente con te stessa".
(Persepolis, La nonna di Marjane)

Persepolis è un film di animazione, il soggetto è di Marjane Satrapi e lo ha realizzato insieme a Vincent Paromeand. La storia autobiografica inizia poco prima della rivoluzione iraniana e narra in che modo le speranze di un cambiamento democratico furono infrante quando presero il potere i fondamentalisti islamici, imponendo alle donne di coprirsi la testa, riducendo ulteriormente la libertà alla popolazione con particolare accanimento nei confronti delle donne e imprigionando migliaia di persone. La storia si conclude con Marjane, ormai ventiduenne che espatria. Il film ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes nel 2007. Marjane Satrapi dal 1994 vive a Parigi. In una intervista recente dice: "Dell'Iran mi manca tutto: il sole, la neve, le montagne, il deserto. Ma lamentarsi è indecente. La mia nostalgia non è niente rispetto alle difficoltà di chi ogni giorno deve combattere per la libertà" e ancora: "Il mio cuore è grande e ha tanti spicchi, francese, iraniano, americano, tedesco e svedese. Il mondo non è diviso tra Est e Ovest, ma tra stupidi fanatici e gente che usa l'intelligenza."

Ora per andare avanti torno un po' indietro e riporto parte del mio intervento Per necessità il caso pubblicato nel libro Arte Immateriale Arte Vivente a cura di Roberto Barbanti.

1988: Gli eventi minori

"Ecco quello che accadde. Ci furono le mostre alla Galleria delle Donne di Torino, nel 1988, di Mariella (Busi De Logu) e di Donatella (Franchi). L'incontro fu eccezionale. Rientrava (come ho già detto) in quel campo dell'eccezionalità che a volte investe le donne: il considerarsi reciprocamente...".
Da Percorsi di Navigazione 2

Questo incontro storico fu annunciato da eventi minori. Gli eventi minori sono come le formiche che in questo periodo hanno invaso la mia casa, come loro non demordono. Silenziosi e tenaci, in un lavoro continuo e anonimo, scavano e vanno in profondità, ritornano alla luce, a volte costruiscono, altre volte demoliscono, aggiungono o sottraggono a seconda delle necessità; sono una specie di manovalanza silenziosa che orienta il nostro essere, in questo caso, essere una donna. Gli eventi minori che mi riguardano nascono dal caso e dalla necessità. E questa particolare combinazione ha voluto che giungessi a Torino un giovedì sera, nell'inverno del 1988, con tre rotoli di scotch trasparente in tasca, equivalenti in lunghezza a 132 metri di trasparenza. A Torino deve tirare una cert'aria perché, per quanto ne so, in questa città hanno operato e operano persone davvero singolari. Quel tipo di persone, per intenderci, che hanno la caratteristica di capire "un po' prima" e di andare "un po' più a fondo". Se leggo un libro che mi piace, se vedo un'opera che mi colpisce, quasi sempre l'artista in questione è torinese.

E così è stato anche l'incontro di quel giovedì sera. Le Torinesi, l'ho capito subito, anche loro facevano parte di quel foltissimo gruppo di persone insolite: loro, insieme a Donatella (Franchi) di Bologna formavano un gruppo davvero geniale. Forse per quell'aria particolare che si respira a Torino - l'aria è l'unica cosa che le abitanti e gli abitanti di Torino condividono - le probabilità di incontrare l'eccezionalità sono inversamente proporzionali alle altre città. A Torino, per via dell'aria l'eccezione è la regola. Tanto per fare un esempio, prendo in esame la città nella quale apparentemente vivo, Ravenna.

A Ravenna per incontrare due persone eccezionali ci si possono impiegare trent'anni - tale è il tempo che ho impiegato per incontrare Letizia e Roberto. Loro c'erano, io pure; prima abbiamo 'sentito dire' a bassa voce l'una dell'altro e viceversa, poi ci siamo osservati da lontano e infine la somma degli eventi minori ha compiuto il miracolo. Adesso è come se ci conoscessimo da trent'anni, ma io ne ho impiegati trenta per conoscerli.

A Torino ci sono solo dovuta arrivare. Il viaggio Ravenna-Torino è molto intricato, forse, per l'esempio che ho riportato, l'aria torinese non gradisce l'aria assai pericolosa che tira a Ravenna. Non vuole residui di aria ravennate. Per questa ragione ho dovuto cambiare treno per ben tre volte e i movimenti ondulatori e sussultori che hanno scandito il tempo durante il percorso hanno fatto il resto; sono scesa a Torino priva di residui di aria ravennate. E lì, in stazione, c'era ad attendermi una misteriosa figura - non la dimenticherò mai - con niente di superfluo, bella di suo, essenziale, fiera e determinata. Sono stati sufficienti tre minuti a Torino e già iniziavo a immergermi nell'altrui genialità.

Caterina Furchì, questo è il nome della misteriosa figura: mi portò in quel regno che comprendeva, oltre lei, Gabriella Montone, Cristina Saurin e Milli Toja. Di fronte alla genialità che dire? - Nulla - al massimo, se ti riesce, contraccambi. Tra me e la genialità alla quale stavo assistendo, così ben organizzata, lucida e autosufficiente, c'erano vuoti profondi. Il loro esserci non faceva 'una piega', non una incrinatura, non un momento di smarrimento, un gesto o una parola fuori posto e tutto con una semplicità e una tranquillità sconvolgenti. Erano in procinto di ribaltare il senso e le regole del luogo dell'arte e contemporaneamente con quel loro esserci così, in quel modo, riuscirono a sciogliere i miei pensieri rattrappiti. Avevo ritrovato il mio territorio; erano trascorse appena due ore e già altre vite sconosciute mi comprendevano. Non c'è da meravigliarsi, quando la genialità ti prevede e ti comprende ti tranquillizzi e contraccambi come puoi. D'altra parte se un genio non ti prevede che genio è?

Per fortuna anche in quell'incontro gli eventi minori vennero in mio soccorso: i tre rotoli di scotch trasparente che tengo in tasca, frutto di solitarie quotidiane sperimentazioni lungo le pareti dello studio, mai furono tanto necessari. I tre rotoli di scotch rappresentarono il punto di unione tra me e le torinesi, poi care compagne di viaggio. Il giorno dopo, infatti, mi lasciarono alla Galleria delle donne di via Fabro e io iniziai a creare nelle pareti grandi insetti trasparenti. Quando rientrarono, il mio lavoro, dal niente, miracolosamente per loro, era fatto. Ma cosa intendo per "genialità"?

Ecco. Intorno al 1987 Milli decise di aprire il suo studio per trasformarlo in luogo di frontiera, luogo aperto all'esperienza delle altre. Trasportò le sue sculture in cantina e fece dono del suo studio ad altre sconosciute. Capì un po' prima di tutte noi che era tempo di distogliere lo sguardo dalla propria opera. Era presto, era tardi, era possibile un'operazione tanto rischiosa da essere confusa con 'il rifugio' o 'il ghetto'? Con il coraggio della preveggenza partirono. All'inizio Milli e Caterina, seguirono Cristina, Gabriella. Giovanna, della Libreria Librellula di Bologna, diede loro l'indirizzo di Donatella e il mio. Risposi subito, era quello che ci voleva; luogo e momento giusto. Quasi un miracolo per me che ero costantemente fuori tempo e fuori luogo. Fuori luogo nella scena di un'auto rappresentazione solitaria e mortifera, inadeguata ad accogliere Christy, quel silenzio carico di rumore che mi portavo addosso. Il silenzio carico di rumore da balbettio confuso, per questa via, si trasformò in un concerto a più voci.

Anche in questo momento il mio desiderio consiste nel registrare più voci attraverso la citazione delle altre, ma quando da un libro di Carla Lonzi, ad esempio, devo scegliere un brano, l'operazione mi risulta quasi impossibile. È il libro tutto intero che inserirei in queste mie parole. E per dire quel tanto che c'è da dire mi aiutano, oltre a Carla Lonzi, Luisa Muraro, Chiara Zamboni, Marina Cvetaeva, Clarice Lispector, Virginia Woolf, Christa Wolf, Adriana Cavarero e ancora Cristina, Donatella, Milli, Gabriella e Caterina. Allora con loro nella mente e nel cuore vado avanti, apparentemente sola: è sabato pomeriggio e qui nello studio non c'è proprio nessuno - ma per le regioni che ho attraversato ora, io siamo molte persone. Quindi vado avanti, apparentemente sola, e ritorno alla Galleria delle donne di Torino.

In quel tempo avevo deciso di non fare più mostre; il mostrarmi era divenuto insopportabile. Come accade ai funerali, così anche alle inaugurazioni, dopo avere sbrigato le formalità, - condoglianze ai parenti del defunto, occhiata veloce alle opere e complimenti all'artista - all'inaugurazione è tutto un brusio di voci, un parlare d'altro. La conversazione per lo più batte il territorio dei luoghi comuni, percorre il cosmo concreto e rassicurante degli accadimenti esterni. È l'unico modo possibile per allontanarsi, per prendere distanza da eventi che non si è più allenati a comprendere. L'addio corale - il funerale - ha smarrito la dignità grande di un dolore condiviso. E l'opera, per altre vie, anche lei ha smarrito il suo pathos, da sola è divenuta insostenibile.

Come la morte, anche l'opera, per essere condivisa necessita di elementi esterni forti e di un apparato di sostegno precostituito dall'ordine patriarcale: codificazione (la parola scritta, la più totalizzante, universale, ed estrema possibile) e sacralità del luogo (il museo che concettualmente si può anche smantellare, basta che in realtà rimanga solidamente in piedi). Queste strutture garantiscono allo sguardo immobile, sempre fisso su sé medesimo, la visione dell'opera. Lo sguardo così addomesticato vede ciò che dall'esterno gli viene ordinato di vedere. Vedere senza questi presupposti è pura chiaroveggenza ed è ciò che che ha voluto vedere Milli. Il suo desiderio realizzato - aprire lo studio - coincide con lo sguardo mobile di colei che in piena libertà e autonomia sa riconoscere l'altra da sé e nell'altra, di nuovo, si riconosce e si ritrova. Milli aprendo il suo studio ha compiuto il gesto grande e rassicurante della madre quando decide di "mettere al mondo il mondo".

E tra le altre sono venuta al mondo anch'io. È stato sufficiente un gesto e la deviazione dello sguardo per dare valore - autorevolezza - al nostro esserci, lì, in quel momento. Non mi chiedo che sarebbe stato di me se non fossi andata a Torino. Un eventuale "non esserci" non era stato neanche preso in considerazione dagli eventi minori. Ma cosa accade a Torino, a Bologna, a Milano e nelle altre città dove ci incontriamo? Prendo tempo, perché mi viene da dire "Nulla". Ma non posso, perché a quel "Nulla" dovrò dare in seguito il suo particolare valore. Quando ci incontriamo, ogni volta, prende corpo l'arte della politica e della relazione. Avviene sempre il desiderio di contraccambiare la profondità del dono.

Ora, se io scrivo quello che scrivo e se finalmente sono quella che sono e se con tanta disinvoltura percorro i viali dell'eresia e del paradosso, deviando anche negli oscuri sentieri del delirio - bene - la ragione è tutta nel gioco grande di quelle relazioni che di volta in volta svelano e danno valore alla mia/nostra necessità. E mi ci butto a capofitto - anima e corpo - con tutta la passione e il divertimento che lo svelamento di questa mia necessità crea. E se da una certa angolazione la mia necessità può apparire solo delirante, la cosa mi lascia del tutto indifferente. A quella certa angolazione posso dire che sono perfettamente cosciente del mio delirio. Anzi non dirò proprio "Nulla".

Testimonianze

Ora continuo a farmi testimone di ciò che accade anche in questo momento alle donne in un mondo che sento simile a un mattatoio. E noi spesso ne siamo spettatrici e spettatori passivi. Anche quando parlo della mia esperienza nel campo dell'arte porto con me questo nostro tempo e non lo posso dimenticare perché altrimenti dimenticherei me stessa. E allora eccomi qui. Io sono Loujain Hathloul e in Arabia Saudita mi hanno arrestata e processata per terrorismo perché guidavo la mia macchina. Io sono Tiziana Oliveri, una delle centinaia di donne vittime di femminicidio. Io sono una donna, lapidata in un paese islamico, perché ho riso, semplicemente. Io sono una donna del Kurdistan.

In questo mio primo intervento del 2015 desidero ricordare Monica Grady, che ha lavorato 10 anni per mandare il robottino Philae sulla cometa e Samantha Cristoforetti, la prima italiana nello spazio, Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, che governa la frontiera tra il Nord a il Sud, Maryam Mirzakhani, iraniana, professoressa a Stanford, prima donna ad avere vinto la medaglia Field, il Nobel per la matematica. Inoltre mi sono commossa per il discorso sulla violenza di genere, fatto da Emma Watson, alle Nazioni Unite. Infine il mio pensiero va alla scrittrice messicana, autrice de I demoni dell'Eden più volte minacciata di morte per le sue inchieste sul traffico di bambini in Messico, alle ragazze rapite in Nigeria che non sanno della campagna Bring back pur girls. E ancora una volta Malala Yousafzai, l'attivista pachistana gravemente ferita dai Taliban per la sua campagna per il diritto allo studio: la più giovane vincitrice del Nobel per la pace.