Splendidissima era la vita accanto a lui sognata. / Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava. / E nella realtà? / La realtà non c’era, era abdicata. / Splendidissima regnava la vita immaginata.
(da Il Signore d’oro)

Tienimi ancora un po’ preziosa / mangiami / a Natale.
(da Teresino)

Se sono stati capaci tutti / sarò capace anch’io / nessuno è stato bocciato / tantomeno quaggiù rimandato / (magari essere rimandati sfuggire!) / capaci tutti proprio tutti, / di morire. (da Poesie 1972-2002)

Queste tre brevi, semplici, profonde poesie, che hanno il meraviglioso dono di raggiungere tutti e di essere capite e godute in maniera personale e specialissima da chi le avvicina, tanto da creare con ogni persona un impatto intimo e unico, sanno entrare nel cuore, nella mente, nei sensi e lì si depositano a livelli differenti a seconda dell’età, dell’identità, della storia di ciascuno; queste strofe, delicate e graffianti, ingenue e sapienti, dunque, mi sembra siano il modo più diretto e immediato per presentare Vivian Lamarque perché ne sono la sua espressione. In questo senso mi piace corredare l’intervista di alcuni suoi versi come se fossero l’illustrazione per dare corpo e anima alla sua storia attraverso la magia della sua poetica. L'essenzialità emotiva connota i suoi scritti, le parole colorano il paesaggio interno e diventano specchi riflettenti di sentimenti e sensazioni in cui ci si trova catapultati come Alice through the looking glass e provocano terremoti nell'anima. Sembra proprio che Vivian si muova con agevolezza e naturalezza nei meandri della verità ultima, come se non ne avesse troppa paura, come se potesse darle del “tu”. Forse c'entra l'aver dovuto, da subito, fin da bambina, fare i conti con una realtà molto dolorosa…

Mangiavo dormivo / facevo la brava-bambina / per conquistarti “mammina”. / Corteggiamento vano / a nove mesi mi hai preso per mano / mi hai lasciata a Milano.

È tremendo essere abbandonati a 9 mesi e perdere all’improvviso l’odore di mamma, i suoni di mamma, i colori di mamma. E il rapporto col materno e con la separazione, così come cantata in La signora dell'ultima volta, è davvero struggente:

L'ultima volta che la vide / non sapeva che era l'ultima volta che la vedeva / … / Allora non fu gentile quell'ultima volta? / Sì, ma non a sufficienza per l'eternità

L’esperienza d’analisi, quella relazione così intensa come si legge nelle sue poesie, sembra aver avuto una parte fondamentale nella sua vita…

Sì, l’analisi junghiana è stata fondamentale per me. Con una bianca gomma avevo cancellato l’inutile linea di confine tra sogno e vita reale, la realtà non c’era / era abdicata / splendidissima regnava la vita immaginata. Il Dottor B.M. riuscì a ridisegnarmi la frontiera, la per niente inutile linea di confine. Potei riprendere in mano la mia vita che si stava facendo pericolosa. Il percorso analitico è stato felice e doloroso, felice e a tratti difficilissimo, come testimoniato dalla trilogia Il Signore d’oro, Il Signore degli spaventati e Poesie dando del lei.

Credevo non mi amasse / perché è vietato / invece forse non mi ama / perché non è innamorato!

Le era entrato nel cuore. / Passando dalla strada degli occhi e delle orecchie le era entrato nel cuore. / E lì cosa faceva?/ Stava. / Abitava il suo cuore come una casa.

La sua casa sembra essere la poesia. Si sente che la abita bene. Lì sta. Come è successo questo felice incontro tra lei e la poesia?

Ho iniziato a scrivere poesie a dieci anni. Dopo aver scoperto, da sola, casualmente, che la mamma con cui vivevo non era la mamma che mi aveva messo al mondo. Ho tenuto questo segreto per me, ma poi forse pesava, si è fatto parole di carta, versi, e ha pesato meno. Le fiabe sono venute molto più tardi. Quando ero già madre, in anni bui, scrissi di getto La bambina che mangiava i lupi, almeno sulla carta io e la mia bambina eravamo diventate fortissime. E scrissi Il Libro delle ninne-nanne, nella tradizione la ninna-nanna cullava il bambino ma anche la mamma.

Ha scritto dunque anche fiabe, impresa non facile che molti scrittori evitano accuratamente perché i bambini sono dei critici implacabili.

Comincerei, per sorridere, dalla considerazione circa la “implacabilità” critica dei bambini. Con una mia fiaba, non ricordo quale, vinsi un premio assegnato da giurati bambini. Nella motivazione scritta lodarono la fiaba ma con una riserva: che era “un po’ infantile” !!! Loro avevano sette-otto anni, io una sessantina! Questo può forse giustificare come mai all’esame che si doveva superare al termine della quinta elementare per accedere alla prima media, proprio io che avevo sempre fatto temi molto lodati, fui rimandata in italiano per “tema puerile”! Se lo sono ancora a settant’anni, figuriamoci cosa dovevo essere a dieci, anzi a nove perché avevo iniziato le scuole a cinque anni. E ancora un altro giudizio (opposto però!) di qualche anno fa: ero appena entrata in una scuola elementare dove dovevano interrogarmi sull’ultimo mio libro. Mentre mi guardavo attorno per trovare la classe, mi si è avvicinato un bambino e mi ha detto “tu sei Vivian Lamarque?” “Sì, sono io” “Come sei veeecchia!” . Da allora quando vado in una scuola inizio raccontando questo aneddoto, loro ridono e il ghiaccio è subito rotto.

Ha scritto qualche fiaba o poesia che racconta Milano?

Sì, ho scritto una fiaba su Milano, Stella dei Pirenei. Parla di un cucciolo di pastore dei Pirenei che, nato in montagna, viene portato a Milano, ma che non smette di cercare le sue origini. E crede di trovarle tra le guglie del Duomo, le crede cime dei Pirenei, e i piccioni li crede sue pecorelle, e le stelle le sue perdute stelle (anch’io sono nata in montagna e a nove mesi fui traslocata a Milano, anch’io incominciai presto la caccia alle mie origini, anch’io confondevo mele e pere, ogni vaga somiglianza mi illudeva). Tra i miei libri di poesie, uno è in dialetto milanese, è intitolato La gentilèssa e contiene una poesia intitolata Milan brűta bèlla. Così sento la mia città d’adozione (adozione in senso letterale): brutta e bella, tutt’e due. Quest’anno che con la rinata Darsena ha ritrovato un po’ delle sue antiche acque, merita un voto con un più in più. Le città con mari o fiumi sono le mie preferite. Che le altre abbiano almeno dei canali! Poi amo le città sotto la neve e Milano tanti anni fa d’inverno diventava tutta bianca. Anzi, prima diventava grigia come una perla, era fatta di nebbie incantate, ora ha purtroppo perso quasi del tutto l’una e le altre.

Nessuna coperta al mondo sa ricoprire come fa lei / la neve è la mamma / che vorrei.

E sulla mia città scrivo tutti i sabati nelle pagine milanesi del Corriere della Sera; gli articoli sono stati raccolti nel libro Gentilmente Milano.

La bella fiaba Stella dei Pirenei sembra scritta dalla Vivian grande alla Vivian piccolina, diventata favolista per medicare le ferite. Cosa ne pensa degli scrittori per l’infanzia attuali? Che caratteristica deve avere un libro per bambini?

Gli scrittori per bambini oggi sono numerosi e bravi. Per esempio Bruno Tognolini. Sono assai diversi tra loro e questo è un bene, perché la fame di fiabe dei bambini è insaziabile e onnivora, più siamo e più diversi siamo, meglio è. E il bambino ha fame di immagini, invidio gli scrittori che sanno illustrarsi le fiabe da sé. Anch’io qualche volta disegno ma i miei disegni, figuriamoci, sono ancora più infantili delle mie parole e di me! Uno fa da copertina al mio Oscar di poesie, rappresenta due case, una grande diurna e una piccola notturna, collegate tra loro da una scaletta a pioli. E’ un disegno che feci nei primi anni di analisi junghiana, volevo disegnare lo studio del mio adorato Analista, il Dott. B.M., studio che era sotto il livello stradale di qualche gradino (proprio come l’inconscio). L’altro disegno è sulla copertina di Poesie per un gatto, ho scritto la parola gatto con orecchie e baffi e coda.

Fai l’agguato / a una piuma di merlo / l’intero manca / anche a te / senza saperlo.

Un altro mio disegno, non pubblicato però, è un autoritratto, un autoritratto che mi rappresenta com’ero all’inizio dell’analisi: nessun corpo, solo una testa e un viso merlati come merlate sono le torri dei castelli. Ero un castello in aria vivente, lontana anni luce dalla realtà. Tra le torri avevo però disegnato una sentinella con un fucile in mano. E sulla fronte una cicatrice a forma di luna che mi feci da piccola camminando con la testa in dietro per salutare il mio grande babbo adottivo che si chiamava Dante come Dante e che purtroppo persi subito, io avevo 4 anni e lui 34. Invece il mio babbo naturale non mi riconobbe. Era il preside di mia madre (che anche lei poi non mi tenne). Un giorno lo cercai, lo trovai, gli dissi “scusi mi hanno detto che lei è mio padre”. Come dico in una poesia hai fatto un salto indietro / hai fatto un salto indietro.

Suo nonno, pastore valdese, la considerava illegittima, ma “illegittima” è anche una sua bellissima poesia, dunque Vivian è la poesia.

Quelle sera che ho fatto l’amore / mentale con te / non sono stata prudente. / Dopo un po’ mi si è gonfiata la mente. / Sappi che due notti fa, / con dolorose doglie, / mi è nata una poesia illegittimamente. / Porterà solo il mio nome / ma ha la tua aria straniera. Ti somiglia. / Mentre non sospetti niente di niente, / sappi che ti è nata una figlia.

Le sue poesie sono storie d’amore che vibrano e toccano profondamente, sono essenziali come i disegni dei bambini che con poche linee rappresentano l’universo e, in questo senso, diventano emotivamente universali. Alcune sono brevissime, però dicono tutto.

Sto ferma immobile: / sono commossa di te.

Può pensare al suo raccontare con poesie o fiabe anche come un modo per proseguire il lavoro psicoanalitico, di incontrare la sua verità? Come scopre quelle parole così leggere e così pesanti?

Sì certo. E mi piace la domanda sulle mie parole che sono leggere e pesanti. In genere le definiscono “lievi e profonde”, ma “leggere e pesanti” è più bello. Dà meglio l’idea del peso sul cuore che la penna riesce a volte un poco a sollevare, a rendere di qualche milligrammo più distante e leggero.