Non è davvero facile scrivere di un personaggio che sa adoperare a menadito penne e obiettivi sempre più sofisticati. Soprattutto se si vuol dire in poche righe di un giramondo impenitente. A contratto con la Televisione italiana già dal 1968, Giorgio Moscatelli si è interessato di sceneggiati, inchieste e servizi televisivi con registi che hanno scritto la storia del cinema e del teatro italiano: Alessandro Blasetti, Edoardo De Filippo, Franco Zeffirelli, Nanni Loy... Da cineoperatore nel Tg2 dal 1978, ha realizzato servizi di cronaca estera in teatri di guerra in ogni latitudine: Libano, Cambogia, Iran-Irak, Somalia, Polonia, Albania, Sarajevo, Croazia, Ghana, Kuwait, Afghanistan, Cile, Israele, Eritrea, Etiopia.

Ecco, dire della sua vita non è facile, parlare delle sue esperienze è un turbinio. Iniziare con il racconto dei servizi su calamità naturali, come i terremoti dell’Irpinia, dell’Umbria e delle Marche? O ricordare le alluvioni nel Polesine, in Lombardia, nel ferrarese? O con i servizi per fatti di cronaca in Italia e all’estero, o ancora con i dossier raccolti in Svezia, Unione Sovietica, Polonia, Ungheria, Stati Uniti, Cuba, Spagna, Libia, Marocco, Israele, Inghilterra, in molti Paesi africani, in Vietnam, Cina, Urss, Germania Orientale? Per tutto questo non può bastare un articolo, occorre un tomo. Né sarebbe più facile, passato al TG3 sempre della RAI in funzione di inviato speciale, ricordare la realizzazione dei suoi tanti servizi di cronaca o ‘di Esteri’: il decennale del disastro di Chernobyl in Ucraina, l’arresto di Brusca in Sicilia, l’incendio del Teatro La Fenice a Venezia o il non tanto misterioso assassinio di Ilaria Alpi in Somalia.

Ogni tappa una storia, a volte curiosa spesso drammatica: come lo diventò il corso per la sopravvivenza in zona di guerra del 1994, essendo stato assegnato alla Brigata alpina Julia. La RAI, dopo la morte di tre inviati della sede di Trieste sotto un bombardamento a Mostar durante la guerra nella ex Yugoslavia, decise di istituire dei corsi di sopravvivenza: furono operazioni di addestramento diurno e notturno per i giornalisti. Quella sera Giorgio partecipò alla prima esercitazione di controllo notturno del territorio. Così me ne ha narrato l’esperienza:
Dopo circa mezzora di una strana passeggiata, dietro di noi arrivò una vettura nera e in un momento accadde tutto. Davanti a noi, sulla strada illuminata dai nostri fari, un camion militare invase la carreggiata, bloccando di fatto ogni via di fuga. Dalla vettura che ci seguiva scesero uomini armati e coperti da passamontagna neri, urlando ordini in una lingua incomprensibile; i fari delle auto proiettavano ombre lunghe sul pietrisco bianco rendendo la scena più irreale e drammatica. Io, che mi sentivo più furbo dei nostri assalitori, pensai bene di fuggire verso il bosco e saltai dal mezzo con l'intenzione di raggiungere il buio sotto gli alberi, per fuggire da quello, che avevamo capito, era la simulazione di un sequestro, ma non avevo fatto i conti con i miei avversari: erano uomini del Colmoschin, i reparti speciali dell'esercito. Fui fermato a mezz'aria da un uomo che mi bloccò, mentre l’altro mi prese alle spalle. Gettato a terra e con un ginocchio sulla schiena, mi spinse il viso sul terreno: sentivo il sapore della terra, vedevo tutto appannato perché gli occhiali erano schizzati via durante la colluttazione. Mi girai e vidi un mio collega sdraiato a terra, nelle mie stesse condizioni. Strattonandomi senza tanti riguardi, mi tirarono le mani dietro la schiena e con una fascetta di plastica mi strinsero i polsi, anche in questo caso senza delicatezza, poi con del nastro telato mi chiusero gli occhi e la bocca, quindi mi trascinarono per un bel pezzo per quella strada coperta di pietrisco. Mi fecero inginocchiare e armarono il loro mitragliatore accanto alle mie orecchie. Con quell'atto intimidatorio l'esercitazione era finita. Confesso che, anche se solo per una frazione di secondo, pensai che mi stessero sequestrando sul serio. Se la cavò con la frattura a una costola.

Il primo viaggio del Nostro, da inviato speciale, fu nel Ghana, un Paese povero, sfruttato e prosciugato dalla colonizzazione; quel giorno era diretto verso Tamale, piccolo centro del Nord, dove era previsto l'incontro con Kofi Busia, il leader del Progress Party: questi era atteso dalla popolazione per un comizio. Giorgio vi arrivò nella tarda mattinata; la folla, nella piazza, si strinse subito attorno al pulmino e i volti-di-persone-arrabbiate che lo circondarono non gli davano davvero sicurezza. Rimase interdetto sul predellino e si vide fissato da un uomo con un largo cappello di paglia e una maglietta rappezzata qua e la; era più alto della media e aveva uno sguardo molto duro: Non vogliamo che tu ci guardi con quegli occhi da bianco, gli disse. Lavorava in Rai da un anno, viveva ancora in casa dei genitori, era al suo primo viaggio importante: rimase impietrito. Arrivarono per fortuna gli uomini del servizio d'ordine che gli aprirono un varco e lo scortarono all'interno della capanna di fango, dove lo aspettava il leader del partito (che poi vinse le elezioni). In quell’occasione Giorgio comprese cosa significasse razzismo… quella volta però al contrario.

Un altro episodio, ma curioso, lo vide testimone il 30 giugno 1971, in occasione dell’inaugurazione della Sala Nervi in Vaticano. In due stavano girando le immagini per un servizio speciale per la RAI sull’inaugurazione della grande sala e avevano il compito di attendere, all’inizio del percorso, Papa Paolo VI che sarebbe passato tra due ali di folla, entrando nella grande sala sulla sedia gestatoria, portato a spalla da dodici inservienti. Il Papa era vestito di bianco, benediceva e salutava la folla con quel lento gesto della mano destra. Mentre i fedeli lo osannavano, gli operatori lo precedevano aprendo il corteo e girando le immagini, quindi camminando all’indietro; ormai il Papa era a pochi passi da loro. I sediari avanzavano con il loro incedere dondolante e finalmente si fermarono, poggiarono a terra la sedia gestatoria e si spostarono di lato. Il Papa cominciò ad avanzare a piedi benedicendo a destra e a manca e - arrivato a meno di un metro da loro - li fulminò inutilmente con un severo sguardo, mentre continua a benedire. Giorgio era affascinato dalla presenza del Santo Padre così vicino e felice per quella benedizione quasi personale, quando si sentì sollevare di peso da una guardia svizzera che tentò di spostarlo di lato: stessa sorte toccò al collega. Purtroppo però erano legati dal cavo di alimentazione della cinepresa. Tutto questo accadeva a meno di un metro dal Pontefice che continuava imbarazzato a benedire, pur non potendo procedere perché aveva ai lati i due pali che reggevano il trono mobile e, davanti, loro che gli sbarravano il tragitto. Comprese finalmente l’inconveniente Giorgio: staccò il cavo dalla batteria di alimentazione che li teneva saldati come coppia gemella, permettendo alle guardie svizzere di riaprire il percorso. Papa Montini passò accanto sorridendo, probabilmente divertito per l’insolito spettacolo ma continuando a muovere la sua mano benedicente.

Non voglio qui ricordare episodi tristi o truci, come quanto avvenne nella guerra del Golfo o della tragedia di Vermicino né degli avvenimenti cileni alla caduta di Pinochet. Preferisco chiudere questa finestra sul personaggio con una curiosità sulla onnipresenza dell’humour nostrano nei più impensati angoli del mondo.
Nel 1967, fra il 5 e il 10 del mese di giugno, gli israeliani con la cosiddetta guerra dei 6 giorni si erano impossessati della penisola del Sinai, della Cisgiordania, della striscia di Gaza e parte delle alture del Golan. Intorno al 1970 la RAI inviò in Israele un’équipe per realizzare un dossier sulla situazione del Paese in seguito a quel breve conflitto. Già registrate immagini e interviste a Gaza, in Cisgiordania e, in quei giorni, a Tiberiade, i componenti l’équipe programmarono una escursione verso il Golan. Pur se ormai lontana la guerra, i siriani di tanto in tanto bombardavano i territori israeliani dalla parte delle colline del Golan ancora in loro possesso; pertanto, dopo essere stati negli avamposti militari d’Israele su quelle alture, volevano riprendere le zone siriane dal lago. Per far questo dovevano attraversare il grande specchio d’acqua, quel lago di Tiberiade che nel nuovo testamento è chiamato il lago di Galilea, lo stesso dove Gesù predicò a lungo, e dove scelse, tra i pescatori, alcuni suoi discepoli, come Pietro, suo fratello Andrea, Giacomo e suo fratello Giovanni.

Partirono da Tiberiade con un piccolo motoscafo, attraversando il lago in due ore. Dal punto di osservazione raggiunto si vedeva quanto erano vicine le postazioni di artiglieria siriane. Eseguite le riprese chiesero di rientrare ma il “comandante” del motoscafo spiegò loro che, per il vento, si era alzato il movimento del lago e non si poteva rientrare percorrendo la stessa rotta; l’alternativa per il ritorno era la circumnavigazione del lago in sei-otto ore. Decisero di tornare via terra, con l’autostop, mezzo di trasporto molto usato in quel periodo in Israele. L’accompagnatore li condusse all’approdo più vicino, all'inizio del fiume Giordano: Giorgio si commuoveva al pensiero che in quelle acque era stato battezzato il Messia e lo ricordava ai colleghi. Mentre ad alta voce sviluppava il concetto, passavano accanto a una motovedetta israeliana. Dal bordo del mezzo navale arrivò loro una voce, tutt’altro che biblica, che disse: “A li mortacci vostraaaaa”, ma che sete italiani? Era un marinaio d’Israele, di origine romana, combattente volontario che, avendoli sentiti parlare, diede loro il benvenuto in romanesco. Quel marinaio distrusse il misticismo. Tornarono a Tiberiade con l'autostop, a bordo di un camioncino insieme ad alcuni militari israeliani, tra cui un sergente donna: di questa, Giorgio ricorda ancora la rara bellezza e l’accattivante sorriso.