In questo tempo di notte fonda mi sono identificata nella vita di donne ravennati del passato e del presente per riportare in luce un'altra storia. E queste vite verranno lette da una voce maschile perché solo insieme sarà possibile ritrovare grazia e bellezza. Forse. Contemporaneamente voce, azione di più corpi e suono danno forma a uno spazio fisico e mentale che risuona nell'essere interiore come forza trasformatrice. Il principio, la fonte d'ispirazione del mio lavoro è stato il bel libro Strada alle donne a cura di Claudia Giuliani, Sandra Dirani, Cristina Fragorzi. Infatti ho riportato in prima persona alcuni episodi delle vite narrate da Claudia, Sandra, Cristina. Da questi racconti ho ripreso e interpretato quei brani che rivelano le ragioni delle scelte fatte da donne che hanno segnato la loro e le nostre vite.

Ritratti in bicicletta

Sono Silvana e abito a Novi Ligure. La prima volta che sono venuta a Ravenna ciò che più mi ha colpita è vedere tutte queste donne che andavano in bicicletta con tanta fierezza. Mi sono sembrate tante regine a cavallo. Sì, a cavallo della loro bicicletta. Così mi sono detta che Ravenna è la città delle donne. E ancora oggi quando ritorno ho sempre la stessa impressione.

Mi chiamo Argia Drudi, sono nata a Castiglione di Ravenna nel 1901. Per lungo tempo ho percorso una ventina di chilometri in bicicletta per andare a lavorare all'essiccatoio di Savio. E mentre andavo in bicicletta pensavo che non era proprio quella la vita che volevo. Non solo, in quei venti chilometri la mia mente costruiva il mio futuro: come l'avrei voluto e come in realtà l'ho realizzato. Una cosa da niente. Lavorando di giorno e studiando di notte ho ottenuto il diploma della scuola media e la maturità classica. A quarant'anni mi sono iscritta alla facoltà di Farmacia. Ma potevo fare di più e così mi sono laureata anche in Medicina e Chirurgia. All'università sono andata veloce come quando da ragazza volavo al lavoro in bicicletta. Forse avvertivo che la mia vita avrebbe avuto tempi brevi. A 46 anni divento la dottoressa di Santa Teresa. E lavoro, lavoro, lavoro. Sempre. Dormo lo stretto necessario, poco e niente. Mangio in piedi, poco e niente. Devo alleviare il dolore delle persone che stanno qui dentro. Ma anche fuori, le persone che soffrono hanno bisogno di me e così, in bicicletta o con la topolino, se abitano troppo lontano, corro da loro. Per loro non ho limiti. Non mi chiedo neanche perché lo faccio; so che non ho tempo". Solo la morte mi ha fermata: il 28 aprile 1957.

Sono Isotta Gervasi. Ecco le parole della mia amica Grazia Deledda: "La dottoressa è bella, elegante, alla sera si trasforma come la fata Melusina, con i suoi vestiti e i suoi gioielli sfolgoranti e gli occhi e i denti più sfolgoranti ancora: una fata lo è anche davanti al letto del malato, sia un principe o un operaio, al quale oltre alla sua cura sapientissima, regala generosamente bottiglie di vino antico, polli e fiori. Il suo nome è Isotta." Sì. Isotta sono proprio io. Sono nata a Castiglione di Cervia nel 1889 e sono la prima di otto sorelle. Mia mamma e mio babbo hanno dedicato molta cura alla nostra educazione. Mi sono laureata in Medicina nel 1917 e mi sono specializzata in Pediatria. Sono stata la prima donna medico condotto d'Italia. All'inizio del mio lavoro ho dovuto superare la diffidenza dei pazienti per la sola ragione di essere una donna. Mi spostavo a piedi, in bicicletta e poi, per i tragitti più lunghi acquistai una motocicletta e nel 1929 mi regalai un'auto.

Ma durante la guerra non c'era più benzina e così ritornai alla mia cara bicicletta. Andavo prima a trovare i malati ricchi che mi offrivano polli, uova, vino, poi passavo nelle case più povere e ridistribuivo quello che prima avevo ricevuto. Facevo lunghi tragitti con la sacche piene di cibo, di medicine e di strumenti professionali. L'esperienza più profonda della mia vita l'ho condivisa con Giorgina che collaborava con me nel ruolo di levatrice. In quel mondo che mette in vita la vita eravamo un'accoppiata perfetta. Giorgina, più di me seguiva la maternità e il suo viaggio. Ci siamo dedicate alle altre donne e alle loro piccole creature con dedizione, amore e carità. Sempre di corsa. E alla sera mi trasformavo, come la fata Melusina: ho frequentato i salotti nei quali la conversazione attraversava i luoghi dell'arte e della cultura. In questo modo sono riuscita a coltivare la mia passione per la grazia e la bellezza.

Mi chiamo Giorgina Danesi e sono nata a Ravenna il 3 febbraio 1922. Mi sono diplomata in ragioneria ma far di conto non era il mio percorso. Infatti strada facendo prendeva forma sempre più forte il desiderio di dedicarmi al prossimo. In particolare mi interessava il mondo femminile quando è impegnato a "donare la luce" a una nuova creatura. Non solo la nascita ma tutti quegli eventi intricati che caratterizzano il prima e il dopo. Così mi sono trasferita a Firenze dove mi sono iscritta alla scuola per ostetriche e lì, nel 1952, mi sono diplomata. Ritornata a casa mi sono scontrata con le vecchie "mammane" che, soprattutto nelle campagne, non volevano abbandonare il loro mestiere. Ma sono una donna forte, determinata e in questa mia passione, anche fortunata. Infatti ben presto ho iniziato ha collaborare nel ruolo di levatrice, con la dottoressa Isotta Gervasi. È stato un grande incontro. Siamo state le promotrici della sanità diffusa nel territorio e oltre alla bicicletta abbiamo condiviso la passione di rendere più sopportabile la vita delle persone povere. Ho aiutato le donne psicologicamente e umanamente. Le ho seguite nel loro rapporto con figlie e figli e insieme a Isotta abbiamo salvato molte mamme e molti bambini.

Mi chiamo Medea Albertini e sono nata a Ravenna nel 1879. Nel 1900 ottengo la patente all'insegnamento. Nel 1913 insegno nella scuola di Porto Corsini "Destra canale". La "Destra canale" diventerà Marina di Ravenna e per quarant'anni sarà il mio territorio, la mia casa. Ho amato la sua natura selvaggia e i suoi abitanti. A voi, del mio tempo, rimangono belle fotografie in bianco e nero. Io lo vivo con la consapevolezza di contribuire alla crescita culturale ma anche economica e turistica del mio paese. La natura è incontaminata, la sua è una bellezza integra. Porto allieve e allievi a fare lunghe passeggiate nella pineta e nella spiaggia. Insegno loro lingua italiana, storia, geografia, lingua francese, matematica, scienze e fisica naturali, canto corale, educazione fisica, disegno, religione, esercitazioni pratiche, ma soprattutto cerco con l'esempio, di dare dignità alle persone con le quali condivido passioni e interessi. Sono diventata così un punto fermo e sicuro per l'intera popolazione di Marina di Ravenna e per tutti sono la "maestra Giacomina".

A ciascuno accade di essere donna o uomo a seconda del corpo che ha. Ma sarebbe più giusto dire: che è.

Sono Cordula Poletti, detta Lina e sono nata nel 1885. Lo dico perché in quei tempi di occultamento e censura, ho vissuto con determinazione e coraggio il mio orientamento lesbico. Nel 1911 mi sono sposata con Santi Muratori, un giovane intellettuale, futuro direttore della Biblioteca Classense. Questo finto matrimonio mi ha garantito maggiore libertà e l'appoggio spirituale di Santi. In realtà ho condiviso i miei giorni con Eugenia Rasponi, la compagna che ho amata per tutta la vita anche se non le sono stata sempre fedele. Con Eugenia ho vissuto tra la Rocca di Sant'Arcangelo e la sua residenza romana. Sono stata una delle poche donne del primo novecento ravennate ad avere un'intensa attività letteraria. Ci sono stati i viaggi, il desiderio di vivere in autonomia, di rifiutare gli stereotipi femminili, e perché no, di vestirmi anche da uomo. A Roma, nel 1908 al primo Consiglio nazionale delle donne italiane diretto da un'altra ravennate, Gabriella Spalletti Rasponi, ho conosciuto e poi frequentato per lungo tempo Sibilla Aleramo. Altra mia amica è stata Eleonora Duse che a sua volta mi ha fatto conoscere e frequentare Rilke. Le frequentazioni "eccellenti" e le opportunità intellettuali hanno segnato profondamente il mio percorso, all'inizio letterario, poi filosofico. Con tutta me stessa ho dato espressione al mio carattere vulcanico e indipendente. Indipendente anche rispetto al corpo che ho. Ma sarebbe meglio dire: che è.

Nel 1986 Mirca Modoni ha pubblicato il libro Gugù, migliaia di bambini nella mente. Gugù, ovvero Augusta Rasponi del Sale, sono io. Sono nata molto tempo fa, precisamente nel 1864. In quel periodo in campo femminile circolava una certa aria carica di fermenti. Anche a Ravenna. E se qualcuna di voi, desidera fare ricerche e collegamenti troverà un mondo da approfondire nei campi più disparati: iniziative filantropiche, studi economici, opere sociali, editoria femminile, arte, fondazioni di biblioteche e di istituti benefici. Ora vorrei parlare delle regioni che ho attraversato nella mia vita. Perché di attraversamenti si tratta. La solitudine di un'infanzia privilegiata, l'amore materno, gli studi dove eccellevo in inglese e francese, la salute cagionevole, le amicizie. E infine, in compagnia del disegno e della scrittura, sono arrivata nel mio territorio e l'ho riempito di bambini. In un'aria diversa ho iniziato a vedere le cose di questo mondo con lo sguardo interiore del mio spirito. Ho abbandonato la posizione eretta e mi sono inchinata all'altezza degli ultimi: i bambini più bisognosi, quelli abbandonati, quelli ammalati e ho dato loro dignità. Ho compiuto i gesti necessari per comprenderne gesti, balbettii confusi, movimenti, pianti, risate. E qui mi sono abbandonata e ho sentito e ascoltato e visto l'azione potente dell'infanzia: quella età dell'oro che noi abbiamo così velocemente dimenticata. E nel mio territorio, ho avuto la fortuna di riviverla.

Questa è la terra fertile dove la mia passione per le piccole creature ha ritrovato la sua fatale, essenziale qualità. Non c'è stato più nulla e nessuno che è riuscito ad allontanarmi da questa missione che ha occupato tutta la mia vita. L'amore per i bambini è stata la fonte della mia ricchezza. Sorrido. Per curare e aiutare le piccole creature ho fatto fuori il grande patrimonio familiare. In cambio ho ricevuto doni non quantificabili in monete. In tutto quello che ho studiato e sperimentato e creato e scritto sono stata guidata da una passione immensa: non uno o due o tre bambini ma nella mia testa e nelle mie mani di bambine e bambini ne ho amati, curati, liberati da tradizioni inutili, migliaia. Per loro ho intrecciato relazioni, ho condiviso esperienze, ho vissuto nel mio tempo e credo di essere stata anche una pioniera. La mia vita la racconto nei piccoli calendari che regalo a amiche e amici e nei disegni a punta di penna, poi acquerellati dove ritraggo in scenette dal vero i miei bambini. L'oca sono io.

Nell'ottobre del 1990 ho accompagnato mia figlia Lucia in viaggio in India perché lo ritenevo pericoloso per lei. Nel tragitto dall'aeroporto all'ospedale dove pensavo di riposarmi solo una notte, ho visto intere famiglie che dormivano in strada: la loro casa. Il giorno dopo abbiamo visitato l'ospedale gestito da una donna straordinaria, in India da 44 anni, suor Bertilla che conoscevo per un rapporto di adozioni a distanza. La vista dei lebbrosi è stata una cosa devastante. Per 15 giorni non ho parlato: esternamente silenzio, nella mente e nel cuore tumulti. Dopo un breve viaggio sono ritornata lì per capire che cosa era successo dentro di me. Il Vimala Hospital è un luogo di dolore, di miseria, di orrore che però come per miracolo ha dato una svolta alla mia vita.

E come e cosa fare? Intanto con il racconto e con il passaparola si è creata una catena di solidarietà tale che in pochi anni le bambine e i bambini recuperati sono più di mille. La nostra attenzione va in particolare a quelle bambine, che se non avessero avuto la possibilità di entrare a fare parte del Vimala boarding, sarebbero finite spose all'età di undici o dodici anni. La mia vita procede così con differenze sconvolgenti tra pianti e grandi soddisfazioni. Mi è stata fatta una domanda: "Qual è la tua spinta, la filantropia, la carità, la pietà?" Non mi ritrovo in nessuna di queste tre belle parole. È solamente solidarietà.

Continua il 15 Marzo...