“Io ero proprio una ragazza avvenente. A esser bella hai sempre l’impressione che la vita ti debba qualcosa. Invece non è vero, non ti deve proprio niente, tutto devi andartelo a cercare e io per molto tempo non l’ho capito. Ero una sciocca con due gambe. Puntavo più su quelle che sul cervello. A 34 anni. Quando ho avuto un tumore al cervello. E così ho appurato che ce l’avevo” (Catalogo dei viventi, Marsilio).

Con queste parole caustiche, pesanti e lievi al contempo, che si stagliano con incisività e leggerezza sulla carta e nell’aria, scandendosi con un ritmo sicuro e deciso, Lina Sotis si racconta con l’essenzialità che la contraddistingue e con lo stile da “bon ton” proprio come “grazia del saper vivere” e come “leggerezza dell’esistere”. È con il linguaggio dell’effettività che la Sotis parla di sé, con le parole dipinge un quadro variegato dove si riverberano stati d’animo, emozioni, pensieri, che vanno da tonalità pastello, a degli accesi effervescenti, e poi ancora tinte più gravi, ma mai cupe, come per non disturbare troppo, per non essere di peso. E con questo sguardo fermo e determinato, quasi di sfida verso il destino, con le sue gambe lunghe che hanno percorso tante strade e hanno superato tanti ostacoli, ecco la Lina Sotis che ha vinto la sua gara, si è affermata e ha trovato il suo posto nella vita. La Sotis che tutti conosciamo.

Ha iniziato la sua carriera professionale di giornalista sulle riviste Vogue, Amica e Gioia e successivamente sul Corriere d’Informazione e sul Corriere della Sera, come redattrice di costume e società, promovendo rubriche di grande successo. Ha pubblicato il fortunato bestseller Bon Ton, manuale sulla “grazia del saper vivere” e saggi e romanzi come A me piace quella lì e Ragazze. Attualmente è presidente dell’Associazione Quartieri Tranquilli, che ha lo scopo di rendere più vivibili e più solidali i quartieri di Milano, ascoltandone le esigenze, affrontandone i problemi e dando visibilità a nuove realtà.

Cosa si sente di raccontarci di sé?

Sono una ragazza romana che ha trovato a Milano lavoro, mariti, soddisfazioni e anche una sua ragione di essere.

La sua immagine esteriore come “personaggio” pubblico e il suo sentire come persona…

Sono poco interessata a chi si interessa dell’esteriorità, interessantissima a coloro che, con leggerezza, tentano di andare a fondo… In sintesi sono quel che sono e le persone che mi conoscono lo sanno.

Pensando alla donna di oggi: possiamo parlare di liberazione, integrazione, o…

Sono un prodotto di convitto di famiglia borghese. Ho frequentato tutti i più famosi collegi romani e in vacanza andavo dalle Orsoline a Cortina. Ho settantadue anni, ai miei tempi, il futuro per una signorina, era fare la signora. Mi considero una miracolata dal periodo storico.

Donna e/è potere: cosa ne pensa?

Le donne con carattere sono sempre state potentissime, basta guardare le impronte urbanistiche che tutte le regine hanno lasciato nelle loro città. La mia generazione ha rivendicato il potere, lo stiamo pagando caro, ma ne è valsa la pena. In sintesi abbiamo faticato, ma ci siamo divertite da morire.

Stereotipo e realtà della donna milanese…

Come dicevo sono una ragazza romana, arrivata a diciott’anni in città come sposa di un giovinotto milanese. Ero tutta vestita di rosa e lilla con un corredo fatto da Federico Forquet. Mia suocera, che adoravo, mi disse: “a Milano vanno i colori del sottobosco”. Ma a Milano, è sempre andato di moda anche il sorriso. Da brava ragazza del Sud, sorrido molto e a quello devo il successo.

Come rappresenterebbe il rapporto donna-uomo contemporaneo: confronto o scontro?

Poveri uomini! Le donne non sanno vivere senza di loro, ma ormai, padrone, non sanno più vivere con loro. I maschi non si sono ancora abituati alle nuove donne. Certo che anche noi non siamo meglio: siamo tutte guerriere, ma, sogniamo solo il maschio ALPHA ovvero quello che ci comanda. Poveri uomini, povere donne, quanto ci metteranno a trovarci?

Si è occupata e si occupa di “bon ton” e “galateo”: qual è la differenza?

Il galateo di Monsignor Della Casa si basa tutto sulla meravigliosa frase “non recar noia”. Il Bon Ton è qualcosa di più leggero, che segue i tempi, l’unica cosa che hanno in comune, è che in pubblico è meglio non mettersi le mani nel naso e far rumori.

Il “bon ton” è legato solo al costume e alla “buona creanza” o presenta anche risvolti etici?

L’etichetta nasce per ragioni politiche, alla corte di Versailles. È il passaggio da cavaliere a cortigiano. Luigi XIV, il Re Sole aveva paura che i cavalieri complottassero contro di lui. Li chiamò a corte e li imprigionò in ferree regole di etichetta che gli impedivano di complottare perché li impegnavano tutto il giorno. Per far in modo che non avessero troppi soldi, ai cortigiani era anche richiesto di essere elegantissimi... così tutti i denari andavano spesi. Le ragioni politiche dell’educazione sono meravigliosamente spiegate nel tomo Potere e Civiltà del sociologo Norbert Elias, libro quanto mai divertente e illuminante, ma il primo a parlare di educazione fu Erasmo da Rotterdam nel 1510 nella sua educazione del principe Cristiano.

È vero che le nuove generazioni si stanno sempre più allontanando dalla pratica della “buona educazione”?

È vero fino a un certo punto. Adulti maleducati, giovani maleducati. Se dessimo più buoni esempi, avremmo una società migliore. Buttare tutta la colpa sui giovani, non è Bon Ton.

Nella sua esperienza di attenta osservatrice di costume, Milano come si è trasformata negli ultimi decenni?

Vivo a Milano con qualche intervallo romano, dal 1962. Dalla città dei commendatori, sotto i miei occhi si è trasformata nella città di piombo e dei radical chic. Poi è diventata la città dei faraoni, con gli stilisti e i designer, poi ancora la metropoli dell’apparire. Adesso speriamo diventi la capitale del volontariato. Da testimone, non posso dire che una cosa: in tutti i suoi cambiamenti, Milano è sempre, caparbiamente, prima.

Cos’è rimasto della tradizione “illuministica” e fattiva della borghesia milanese?

Quando sono arrivata negli anni Sessanta, esisteva differenziata una fortissima borghesia industriale: fattivi e generosi, sia quelli di prima generazione che quelli di seconda e di terza. Con gli anni di piombo, i rapimenti, le guardie del corpo e la moda di mandare i figli a studiare in Inghilterra e in America, la borghesia meneghina si è internazionalizzata. Manca il padrone di una volta, sono tutti manager.

Ora si sta occupando della vivibilità nei quartieri milanesi: quali sono i problemi più pressanti e quali sono i progetti e le realizzazioni della sua associazione Quartieri Tranquilli?

Sto tentando di ridividere la città negli antichi quartieri per renderli dei villaggi autosufficienti, solidali e affettuosi. Ogni quartiere, nei miei sogni, dovrebbe essere per i suoi abitanti un’isola sorridente che risolve i problemi e non li crea. Dove si pensa agli altri, dove deboli, anziani e bambini sono protetti.

Quali sono gli angoli nascosti della città da far conoscere o riconoscere a milanesi e turisti?

Vorrei aspettare a rispondere a questa domanda. Mi piacerebbe segnalare: il quartiere modello per gli anziani, il quartiere modello per l’handicap, il quartiere modello per i giovani artisti…

Esiste una Milano al femminile?

Che bella domanda! Per rispondere, bisogna riflettere. Milano in fondo è terribilmente Milana. Come in quasi tutte le città del mondo, le guerriere stanno scalando le vette. Adesso, speriamo che nei nostri Quartieri Tranquilli, solidali, accoglienti e generosi, Milano e Milana si tengano, allegramente, per mano.

Una Milana “terribilmente” femminile per la ragazza Lina Sotis, che nel 2009, con l’entusiasmo di sempre e con il solito suo linguaggio essenziale, apparentemente semplice, ma terribilmente profondo, ha tracciato un profilo antropologico di quello che significa essere “Ragazze”.

Le ragazze sono bionde, brune, rosse o castane. A certe piacciono i propri capelli, altre si fanno i colpi di sole. Poche accettano come sono. Tutte le ragazze del mondo, dai 16 ai 93 anni, hanno la parte destra del cervello, quella dei sentimenti, più duttile di quella dei ragazzi. Sentono di più, soffrono di più, pensano di più all’amore e soprattutto ne parlano di più. Le ragazze fanno meno carriera, poiché amano molto il lavoro ma amano ugualmente i loro figli e se c’è da sacrificarsi sono le prime a farlo. Le ragazze sono sobrie, sgallettate, petulanti, logorroiche, permalose, snob, intellettuali, perbene, permale, amano guadagnare o amano i soldi altrui, ma tutte desiderano essere regine di un cuore. Almeno uno. Le ragazze sono tutte diverse, ma in tanta differenza c’è qualche cosa che le unisce.