Perseveranza intenzione guarigione silenzio
perdono gentilezza nutrimento addio
rito ritmo sacralità indulgenza pazienza solitudine
origine pudore confidenza sensazione vergogna

Novembre è mese di nostalgia. I suoi giorni scivolano in quel tempo sospeso dell’anno che si va compiendo, per lasciare spazio ad altro inizio. È il momento di attraversare il torrente delle cose che incessantemente scorrono, di prepararsi ad accogliere il nuovo che verrà.

È tempo di far riposare la mente proprio come la Terra riposa, di prendersi cura del terreno per predisporlo alla purificazione dell’inverno e al risveglio della primavera. Abbiamo dimenticato che la Natura ci indica un ritmo che è in sintonia con le cellule del nostro corpo che custodiscono la memoria ancestrale: non c’è armonia senza pause, non c’è viaggio senza soste, la veglia e il sonno hanno la medesima necessità.

È tempo di quiete e di lentezza per ritrovare le minuscole tracce che spesso conducono a riscoprire grandi meraviglie. C’è tempo per dipanare il pensiero che, nel corso dell’anno, si è aggrovigliato fino a ritrovarsi incapace di seguire un filo di leggerezza, di discernere il troppo che lo appesantisce, che impone le ragioni dell’obbligo, del dovere ineluttabile sul desiderio di rispondere al proprio bisogno di mutamento.

Novembre è mese di passaggio, ancora intriso di un autunno che trascolora nel rosso e nell’oro a compimento del ciclo di rinascita prima di approdare al nero degli alberi d’inverno. Far propria questa armonia di trasformazione è via preziosa per guarire il corpo e l’anima sempre in corsa verso un’estate senza fine, resi inquieti dalla richiesta inesauribile di stabilità perenne, di certezze, di rassicurazioni dolorose perché senza speranza in un mondo nel quale tutto, persino i sentimenti e i legami di sangue, sono “usa e getta”.

Si aspetta, si resta in ascolto.

È un esercizio edificante quello dell’ascoltare e dell’ascoltarsi. È una pratica che aiuta ad incontrare la propria solitudine con amorevole gentilezza, a condividerla facendone nutrimento per altre creature. Novembre si prende cura degli addii e aiuta a guarirne le ferite attraverso il perdono.

Si fa silenzio per udire voci dimenticate, per incontrare volti che temevamo perduti per sempre: figure di donna che si scambiano confidenze in un giardino senza fiori, nell’odore di foglie ingiallite, le creature della penombra, che danzano prima di adagiarsi sul terreno umido.

Immagini affollate di sensazioni. Il piacere di sgranare i chicchi della melagrana che racconta della feconda bellezza di un femminile antico e potente. Il sapore avvolgente del budino di castagne preparato con lunga cura. Il respiro sonoro di parole mai pronunciate, di pensieri custoditi tra i rami di lavanda, di cose non dette, di amori negati. Un giro di danza, un nastro tra i capelli, il fruscio del taffetà, il brivido di un abbraccio.

Quanti secoli sono passati? Quali erano i loro nomi? Erano le nostre madri o le nostre nonne o ancor prima le nostre antenate? Ci vuole tempo per ricordare, ci vuole cuore per riuscire a sentirle, a intuire il loro profumo, per ritrovare le orme sulle quali abbiamo camminato per giungere fin qua.

Un primo sentore di freddo percorre il corpo; si guarda attraverso la nebbia e le cose appaiono più sfumate, più lontane. L’anima sembra trovare una quiete che conosce la pazienza. Al tramonto si accendono le luci dietro i vetri della città e il pensiero va alle vite che mai si incontrano eppure sono illuminate dalla stessa alba e si addormentano nella stessa oscurità. Le giornate di sole si fanno rare e accade di pensare a coloro che le attendono a lungo per riscaldare il nulla della loro esistenza.

Novembre è solitario nel suo coprirsi con lo scialle caldo della malinconia, è consapevole del suo trascorrere aspettando una fine.

Le parole non si fanno udire, come per pudore, quasi fossero in raccoglimento; respirano dentro la nostra anima come per riscaldarla, per darle consolazione; la risvegliano quando si assopisce cullata dai ricordi, ne amplificano il respiro in un dire sussurrato che invoca affetti lontani, che si fa preghiera e desiderio di ritorno. Vien voglia di scriverle sulla carta da lettere per riporle in una busta azzurrina dai bordi profumati di calicanthus.

Di tanto in tanto si concedono al canto che evoca nenie antiche tessute come morbide coperte distese sul letto nuziale o sono le voci delle monache che intonano le lodi mattutine.

L’odore del primo fuoco acceso, il sapore dei dolci speciali preparati per il giorno dei morti tornano ad accarezzare i nostri sensi con una intensità che è stupore. Sulla riva del mare, ad ascoltarne il profumo, guardando l’ombra dei passi sulla sabbia fredda.

Sono suoni lievi, come una tintinnante musica di carillon.

Con piede leggero si cammina nei luoghi dove lo sguardo ritrova le tracce di coloro che abbiamo amato e si riaccende la luce nelle stanze dei ricordi. Vecchi giocattoli, cappelli velati, guanti di pizzo valenciennes, un libro da messa: ogni cosa racconta la sua storia ed è un grande rito che si compie, una cerimonia nella quale la nostra anima si alimenta di un sentire originario che la aiuta a ritrovare il senso del suo essere in questo “ora” che è la vita.

Un sacrario nel quale sono depositate parole in stato di abbandono come la devozione, come l’indulgenza e la vergogna, la verecundia del latino che, prima di appesantirsi di significati disonorevoli, era un sentimento di rispetto e di riservatezza.

Novembre è perseverante nella sua intenzione di santità, è rigoroso nel suo accogliere vecchi e nuovi riti, è generoso di carità quando rende omaggio a san Martino. È una stagione a mezzo quella che ci accoglie in un abbraccio che sa comprendere il nostro spirito che ondeggia sul filo delle cose, né triste né felice.

In questo mese possiamo permetterci di sentire, di lasciare che ogni sfumatura del nostro essere si esprima con pienezza.

Accovacciate in un intimo tepore le emozioni si ridestano, impercettibili, delicate: si servono di piccoli gesti che arrivano silenziosi alla memoria del nostro cuore per aiutarlo a commuoversi, per poter abbracciare le cose con modi gentili, per ritrovare l’alfabeto di una lingua antica parlata ancor prima che le parole avessero vita, espressione di un sapere che passa attraverso il corpo: i Greci lo chiamavano sophia ed era prima che l’intelletto riuscisse ad assumere il suo privilegio e ad assegnare al logos, amante dell’ordine, il primato della conoscenza.

Le lacrime accarezzano la confidenza e inducono alla tenerezza, sono simbolo di quella dolce, imperfetta fragilità che ci rende capaci d’amore. Di Novembre possiamo inseguire le ombre della bellezza e prenderci cura delle parole dell’anima.

A cura di Save the Words®