Quando passo per casa tua avverto la tua presenza, ospite indesiderato del mio cuore. L'avverto oggi come l'avvertivo un tempo, una presenza effimera ma calda e sempre più vicina, inquietante. Eri il profumo bellissimo delle cose belle, quello che t'inebria e lascia ogni altra cosa da parte. Che fuori ci fosse sole o pioggia, il tragitto a me sembrava sempre troppo breve. Avrei preferito fare molti chilometri in più anche se la strada verso casa mi spaventava. Allora trovavo vie alternative, come quelle percorse dai marinai per evitare il naufragio. Cercavo la salvezza, a modo mio.

Mi consolava il pensiero di un incontro fugace, rubato al tempo, traditore e meschino. Mi dilaniava la possibilità di non poterti rivedere, in preda ai tuoi fantasmi, sempre altrove. Tu a me estraneo. Esterno movimento attorno alla gabbia del mio corpo. Prevedevo ciò che sarebbe accaduto. Proprio per questo ho lasciato che le formiche mi mangiassero, che arrivassero al cuore. Ho lasciato alla saggia madre regina la parte più tenera di me. Quella più esposta. Gliel'ho lasciata in dono.

Ho bussato sperando mi aprissero, tra voci assordanti e macchine ad alta velocità. Ho lasciato cadere dolcemente le mie braccia sui fianchi e fuori dalla porta ho atteso. Ho ritrovato il tuo sguardo negli occhi di altri. L'ho cercato instancabilmente. Ovunque io mi voltassi, c'era qualcosa che mi ricordava te. Qualcosa di costruito perfettamente, modellato sulla mia anima.

Ho chiuso gli occhi sperando si spegnessero. Ho lasciato che raggi di luce mi penetrassero fino ad accecarmi. Ho desiderato sia il buio che la luce. Ovunque io rivolgessi il mio sguardo, lo scontravo col tuo. Ossessivamente ti trasformavi nella mia maledizione. Ossessivamente venivi a succhiarmi sangue e io ti lasciavo succhiare.

Come la puntura sottile di una vespa sei stato impercettibile. Sei durato un secondo. Il tempo utile per iniettare in me del veleno. Il tempo che serve per gonfiare un corpo, vederlo soffrire e andare via. Tutto il tempo che la natura ha deciso per compiere un rito. Ho cercato in ogni dove la direzione. Ovunque io deviassi, tornavo sempre a casa ma la strada verso la mia dimora era sempre troppo lunga, questa volta. Il percorso somigliava a quello del trapezista che dà spettacolo, elegantemente danza leggero e fiero rischia la sua stessa vita.

Resto qui immobile. Mi lascio mangiare il cuore, succhiare il sangue e poi cado in orizzontale allontanando le braccia dai fianchi, mentre tu sei ovunque. In cammino ma altrove. Lontano da me.