Immortale è chi accetta l'istante. Chi non conosce più un domani. (Cesare Pavese)

Una sala. Una donna e un uomo ballano, abbracciati stretti. Due gemelli, identici, occhiali, maglione giallo, l’uno legge seduto a un tavolo, l’altro, di fronte, ascolta. Sospesi a mezz’aria sulle loro sedie, due uomini, sudati, impauriti. Uno scheletro coi pattini porta a spasso il suo cane, un mucchietto di ossa. E poi un masso, una palla e un quadrato disegnato col gesso bianco sul pavimento. Una sedia bianca. Un uomo prende posto. Sguardo enigmatico. Non parla, non si muove, sembra una statua. Porta un cartello attaccato al collo, mi avvicino per leggere. Guardandolo bene, se non mi inganno, mi accorgo che quest’uomo è…

Improvvisamente tutto il resto scompare. Persone, oggetti, persino questa risata in sottofondo a tutto volume che fino a un attimo prima non riuscivo a tollerare, non la sento più. Il ballo, i gemelli, lo scheletro, scompaiono nell’oblio, tutto è ingoiato da una nuvola sfuocata, incerti i contorni della mia memoria. Riesco a scorgere solo questo giovane che mi restituisce un’occhiata imperturbabile, quasi mi attraversasse senza vedermi. Altre persone si avvicinano, sembrano sconcertate. Una signora si sistema gli occhiali sul naso per essere sicura di aver visto bene. Il dissenso diventa percepibile, incalzano le proteste. Questo è sfruttamento di una persona incapace di difendersi, un’aberrazione bella e buona; vilipendio della persona umana, abuso di incapace, offesa dei diritti dell’individuo... Un minorato esposto in un’inqualificabile realizzazione... Oltretutto, qualcuno ha pensato bene di disegnare alle sue spalle con un tratto di matita sottile una svastica, un crocefisso, una falce e un martello.

Siamo nel 1972, simboli come questi sono ancora in grado di colpire profondamente, di suscitare reazioni “pro” o “contro”, fino al parossismo. E scatena profondo sdegno l’esibizione di un ragazzo affetto da sindrome di Down all’interno di un’installazione artistica. L’arte ha un suo linguaggio espressivo, diverso da quello verbale di cui ci avvaliamo per comunicare i nostri pensieri e le nostre necessità, sottratto alla banalità e alla ripetitività del quotidiano. Un linguaggio misterioso, alchemico, che ci colpisce al cuore e fa vibrare l’anima anche quando la mente non lo comprende fino in fondo. Nell’arte non c’è giudizio, non c’è morale, né bene né male, ma solo una verità più profonda, difficile da verbalizzare.

L’arte, per sua natura, può spingersi a indagare categorie distanti dall’ordinario, può ad esempio parlarci dell’immortalità. Dell’anima o del corpo, l’immortalità è una chimera che l’uomo insegue fin dai tempi più antichi e che porta con sé una paura atavica, quella della morte. Il canto del poeta fa vivere ed eterna il ricordo di gesta eroiche, regalando a chi le ha compiute una fama imperitura. L’armonia vince di mille secoli il silenzio: da Omero a Foscolo, da Dorian Gray a Faust, la letteratura fornisce da sempre, insieme a religione, filosofia, medicina, risposte al desiderio molto umano di vivere per sempre.

La riflessione sull’immortalità rappresentò per De Dominicis un’importantissima fonte di ispirazione artistica, un tema che aveva affrontato già in precedenza, presso la Galleria di Franco Toselli a Milano, e che affronterà ancora l’anno successivo, per la collettiva Contemporanea. Per lui immortalità è un diverso stato dell’essere, caratterizzato dalla discontinuità delle categorie spazio-temporali che governano normalmente le nostre vite. Significa essere al di fuori del tempo normale dell’efficienza, degli affari, della saggia amministrazione del corpo e dell’intelletto, come avviene per un ragazzo affetto da sindrome di Down. Significa anche vincere la gravità, stare sospesi. Oppure essere rapiti in un altro universo, inaccessibili, distanti, come accade agli innamorati.

In arte nulla è lasciato al caso, ma capita che all’artista il messaggio sfugga di mano, che venga travisato, deformato, amplificato in alcuni dei suoi aspetti e messo a tacere per altri. L’opera come De Dominicis l’aveva concepita ebbe una vita di poco più di mezz’ora. Il giovane fu condotto fuori, per alcuni giorni al suo posto sedette una bambina, poi la sala venne chiusa, quindi riaperta con una diversa impostazione.

Tutto questo accadeva nel 1972. La XXXVI Biennale passò alla storia come la Biennale dello scandalo. La coppia, gli uomini sospesi, lo scheletro: tutto sparisce nel tritacarne mediatico, rimane solo un ragazzo “subnormale”, come recitano pudicamente gli interventi dell’epoca, esposto dall’artista senza troppi scrupoli, in cerca di facile risonanza. Bene o male, purché se ne parli… Un incendio generato da incomprensione, ipocrisia, ignoranza, paura, alimentato da tv e giornali, impazienti di sbattere in prima pagina il presunto cinismo altrui. La foto del “mongoloide”, decontestualizzato, isolato, nessuno se la vuol lasciar scappare. L’immagine diviene addirittura opera a se stante: la Foto Ricordo 1972 testimonia questo rovesciamento di prospettiva da parte dello stesso De Dominicis. Prodotto della subcultura italiana, provocazione della neoavanguardia e del neomarxismo, cultura “usa e getta”: ce n’è per tutti i gusti, ognuno vuol far sentire la propria voce. Persino Alberto Sordi, ne Le vacanze degli italiani (1979), ricorda questo fatto di cronaca con un divertente episodio.

Il processo di distorsione e travisamento è stato tale e tanto da richiedere una ricostruzione storica dell’accaduto, basata sulla selezione e sull’esame rigoroso e accurato delle fonti e dei documenti, studiando Gino De Dominicis come si farebbe con Piero Della Francesca. Eleonora Charans, nel suo saggio Gino de Dominicis 2° Soluzione di Immortalità (l’universo è immobile), a partire da articoli e foto dell’epoca, scampate alla sistematica distruzione dell’archivio operata dallo stesso De Dominicis, fa rivivere sotto i nostri occhi l’originario progetto della 2° Soluzione di Immortalità, in relazione alla versione precedente e successiva dell’opera, svelando uno dei più clamorosi fraintendimenti artistici degli ultimi quarant’anni.

Testo di Carla Bombari

Per approfondimenti:
Eleonora Charans, Gino de Dominicis 2° Soluzione di Immortalità (l’universo è immobile), Scalpendi Editore, Milano