La “questione delle categorie” è stata per molti secoli al centro del dibattito filosofico. Nell’Ottocento è uscita di scena, nel Novecento è diventata un oggetto di nicchia, marginale per lo più, ed è passata di mano: a interessarsene sono stati i linguisti, gli antropologi e infine gli informatici. Nell’uso comune, l’attività del “categorizzare” è spesso ricondotta, genericamente, a quella di “ordinare” una molteplicità di cose in una lista finita di concetti. Però, anche volendola considerare soltanto da questa prospettiva, se ne può facilmente intuire l’importanza non soltanto per il ristretto “circolo” degli studi teoretici ma per ogni ambito dello scibile e per i più disparati settori delle attività umane.

Dai menu dei sistemi operativi dei computer e degli smartphone, ai non digitali menu dei ristoranti; dai generi di programmi televisivi alla tassonomia dei programmi dei partiti politici, dalla classificazione delle strutture architettoniche degli edifici all’articolazione degli enti pubblici fino ad arrivare ai programmi scolastici, alla disposizione dei contenuti nei manuali e a un’infinità di altre cose e attività: tutto ci parla delle categorie ma delle categorie si parla poco. Nella psicologia scientifica lo studio della categorizzazione è uno dei temi principali: si cerca di comprendere i processi attraverso i quali i concetti si formano e, in particolare, i concetti con cui la conoscenza umana è espressa. Nel Novecento è nata una teoria matematica delle categorie. Il quadro è dunque molto variegato e non è facile capire come orientarsi in una simile varietà, tutt’altro che coesa, di prospettive. In questo articolo ne parliamo con uno dei massimi esperti a livello internazionale, il professor Alberto Peruzzi dell’Università di Firenze.

Prof. Peruzzi, cosa si intende per categoria nella riflessione filosofica contemporanea?

Nella filosofia contemporanea il concetto di categoria ha varie accezioni, ma ciò che le differenzia non è particolarmente nuovo, anche se le parole con cui sono presentate sono alquanto diverse da quelle usate nei secoli precedenti. Permane l’antica divisione fra chi intende le categorie come inerenti alla realtà e chi le intende come concetti, legati alla forma del linguaggio che si sceglie di adoperare, e così permane anche la ritrosìa a indagare con precisione i nessi fra il senso “ontologico” e il senso “epistemologico” delle categorie. Manca poi la pur minima attenzione al fatto che dal 1945 esiste una teoria matematica delle categorie, nella erronea convinzione che questa teoria sia irrilevante per le questioni sollevate dai vari tentativi di dare forma organica al SISTEMA delle categorie (Aristotele, Plotino, Kant, Herbart, …). In filosofia della scienza, il convenzionalismo ha portato molti a credere che la questione di quali siano le categorie è relativa a un dato quadro teorico e quindi, visto che di quadri teorici ce n’è più d’uno e il mondo non ci dice qual è quello “vero”, non è un problema se ci sono molti sistemi categoriali – l’importante è semmai la loro reciproca traducibilità (o intraducibilità). Ma ciò che rende possibile o impedisce la traduzione viene raramente esaminato.

Nel suo libro Delle Categorie, Lei afferma che gli psicologi cognitivi hanno commesso un errore quando hanno utilizzato il termine “categoria” non limitandolo a un particolare tipo di concetti, ma estendendolo a «tutti quanti i concetti impiegati per classificare tipi specifici di cose, qualità, eventi, azioni o altro ancora cioè per classificare quel che, per i filosofi, le categorie, in senso stretto, non debbono e non possono classificare, pena la perdita del titolo». La questione sembra quindi ridursi a un processo di catalogazione piuttosto che a uno di categorizzazione. Possiamo dunque ancor oggi proficuamente trattare delle categorie in relazione agli schemi mentali, alla struttura della conoscenza, ai generi sommi, invece di ridurlo a una qualsiasi catalogazione, e gerarchizzazione, di cose e concetti?

La conoscenza non è paratassi. Ci sono principi e ci sono conseguenze dei principi. Così anche per i concetti. Ma le categorie svolgono un ruolo preliminare rispetto a queste due gerarchie: sono TIPI fondamentali di concetti, cui sono associati TIPI fondamentali di principi. In logica esistono, da almeno un secolo, teorie dei tipi, ma per lungo tempo l’architettura dei tipi logici è stata intesa in un senso molto ristretto, cioè pensando che siano i gradini di un’unica scala che parte dalle entità “elementari” e sale su, su, fino a raggiungere ogni altra entità la cui esistenza riteniamo sensato affermare. Invece ci sono più tipi in parallelo e quindi più scale. Questo significa che c’è da esaminare anche la struttura orizzontale oltre a quella verticale, e quella orizzontale non è più un mero elenco. La teoria matematica delle categorie permette di esprimere quelle nozioni trasversali ai tipi, che nel medioevo erano dette “trascendentali” e ci riesce ampliando innanzitutto la gamma dei tipi-base.

Ma una delle tesi portanti del suo libro Delle Categorie è che il groviglio di problemi irrisolti che ci portiamo dietro dall’Organon aristotelico in poi non viene sciolto neppure dall’attuale teoria matematica delle categorie. Quale è dunque, in estrema sintesi, la difficoltà fondamentale? Com’è che si può arrivare a una collocazione teoretica della questione che consenta non dico di dire una parola definitiva ma, quanto meno, di poter stabilire dei “proficui e fondanti (fondativi?)” punti fermi?

La teoria matematica delle categorie offre una cornice per più dottrine filosofiche e inoltre indica alcuni vincoli formali da rispettare, se vogliamo che la struttura verticale e quella orizzontale di un sistema di categorie vadano d’accordo, e questi vincoli sono già un primo strumento di selezione. Quali siano, ammesso ovviamente che ci siano, delle categorie in senso epistemologico/ontologico, mediante le quali descrivere la molteplicità dei modi di esprimere pensieri e di descrivere il mondo, non si può pretendere che sia la matematica a dircelo.

Esistono delle applicazioni scientifiche e/o tecnologiche che hanno preso spunto dalle varie tesi sostenute dai filosofi sulle categorie?

Le teorie dei tipi che oggi sono usate in informatica teorica hanno a che fare con le categorie in senso matematico. Ce ne sono diverse e sono utili per compiti diversi. L’informatica teorica ha varie applicazioni. Non me la sentirei di dire che queste applicazioni sono legate a specifiche tesi sostenute in passato dai filosofi. Per quasi duemila anni, la concezione aristotelica delle categorie ha avuto un notevole impatto sull’immagine del mondo, finché la rivoluzione scientifica del Seicento ha messo in luce i vantaggi di un linguaggio quantitativo. Ma ci sono diverse categorie di quantità …

Una volta passati da un elenco di categorie a una vera e propria teoria, l’invito che sia la filosofia sia la matematica ci rivolgono, cioè, l’invito a essere consapevoli dei tipi di concetti fondamentali dei quali ci serviamo per descrivere qualcosa, e ad esprimere in maniera precisa i collegamenti tra l’ambito di una categoria e l’ambito di un’altra, può essere un ausilio all’apprendimento e alla memorizzazione?

Sì, può esserlo, ma occorre un’indagine specifica al riguardo, un’indagine che non mi risulta sia stata ancora fatta, se non, in maniera indiretta relativamente ad alcuni schemi basilari dei processi cognitivi coinvolti nelle metafore. Più in generale, sono portato a pensare che avere coscienza dei presupposti di quello che diciamo è utile a chiarirne il significato – e la chiarezza è amica, non nemica, dell'apprendimento e della memorizzazione. Per fare un esempio: si consideri la carta costituzionale di uno stato. Gli articoli in cui essa si esprime si servono di concetti che la Costituzione non spiega. Sono dati per noti, così come, articolo dopo articolo, il loro collegamento con altri concetti. Ebbene, alcuni di questi concetti appartengono a una stessa categoria, altri appartengono a categorie diverse. Unendoli insieme, si viene a determinare la “tessitura” implicita di un sistema di idee-guida. Rendere esplicita questa “tessitura”, e dunque diventarne consapevoli, non è un compito facile ma, se lo facciamo nostro, è ragionevole supporre che la meta-cognizione che ne risulta abbia ricadute positive anche sul piano della memoria.

Quali prospettive future nel dibattito culturale si aprono alla riflessione filosofica e matematica sulle categorie?

Non ho idea al riguardo. Posso dire solo una cosa: sarebbe bene essere consapevoli delle categorie che usiamo e preoccuparci di caratterizzarle con precisione abituandoci a definire meglio il modo in cui si collegano l’una con l’altra. Un compito tutt’altro che facile [1].

[1] Per maggiori approfondimenti sul tema trattato si rimanda a: http://unifi.academia.edu/AlbertoPeruzzi e http://www.libreriauniversitaria.it/categorie-peruzzi-alberto-via-laura/libro/9788896123041