Il male, di cui l'uomo e la storia sono intrisi, si presenta sovente sotto mentite spoglie e si insinua nelle vicende umane quasi sempre attraverso idee e concetti apparentemente innocenti, addirittura utili e auspicabili, atti a trarre in inganno la naturale propensione al bene che generalmente ispira sia i singoli individui che i sistemi politici e sociali.

La storia del mondo risuona dell'eco di belle parole come libertà, giustizia e pace con cui il male, beffardo, stordisce per ingannare recando poi agli uomini, in realtà, oppressione, ingiustizia e infiniti turbamenti. Tuttavia, nella storia recente, in almeno un caso l'universale lupo ha rinunciato a travestirsi da agnello e si è presentato subito come tale, schierando tutto il suo carico di violenza, di risentimento e di brutalità e non ha sedotto una rozza tribù di bruti ma le genti più colte e raffinate comparse in occidente dai tempi di Talete e Anassimandro. Il Nazismo nacque, crebbe e infine incantò un popolo che aveva dato i natali a Schopenhauer, a Beethoven, a Goethe e che più di ogni altro, dopo il Rinascimento, aveva donato all'umanità la grande filosofia, la grande musica e la poesia immortale.

Com'era potuto accadere? La frustrazione generata dalle umiliazioni inflitte alla Germania dalla conferenza di Parigi del 19? Weimar? Sono stati spesi fiumi di inchiostro per cercare di capirne le ragioni e per spiegare come un mediocre pittore dotato di notevole eloquenza con un manipolo di esaltati, abbia potuto conquistare una tale nazione. La resistenza vi fu, certo, ma fallì miseramente perché quando nasceva, ogni focolaio di dissenso e ogni tentativo di ribellione veniva soffocato nel sangue con la massima ferocia. Solo una volta quella inarrestabile marea nera si infranse contro uno scoglio formidabile e fu costretta ad arretrare rabbiosamente di fronte a un Leone.

Il conte Clemens August von Galen nacque nel castello di famiglia di Dinklage il 16 marzo del 1878 e al battesimo ricevette i nomi di Clemens, August, Ioseph, Pius, Emanuel. Figlio del conte Ferdinand Heribert Ludwig von Galen e della contessa Elisabeth von Spee era undicesimo di tredici figli e crebbe in una famiglia di forte fede cattolica. Conclusi gli studi entrò in seminario a Munster dove venne ordinato sacerdote il 28 maggio 1904. Dopo varie vicissitudini legate al suo ufficio venne nominato vescovo di Munster nel 1933 e scelse come motto episcopale Nec laudibus, Nec timore (né con le lusinghe né con le minacce devierò dalle vie del Signore), parole che ben si attanagliavano alla sua indole fiera e poco incline al compromesso o alla mediazione. Inizialmente, come si evince da documenti inediti emersi dagli archivi vaticani di quegli anni, proprio questo suo carattere così testardo ed eccessivamente sicuro di sé lo avrebbe reso, secondo alcuni, poco adatto alla guida pastorale mentre al contrario furono provvidenziali proprio la sua testardaggine, la sua inflessibilità e il suo coraggio per affrontare i difficilissimi anni che attendevano lui e la sua gente. Infatti, già nella sua prima lettera pastorale un anno dopo la nomina a vescovo, denunciò l'ideologia anticristiana insita nel nazionalsocialismo e si batté per mantenere l'insegnamento della religione nelle scuole. Nel '36 accusò apertamente il nazismo di discriminare, arrestare e addirittura uccidere i cristiani per la loro fede.

Nel 1937 fu convocato a Roma da Pio XI, preoccupato dalla situazione in Germania, per discutere sulle posizioni da prendere e per preparare la famosa enciclica Mit Brennender Sorge (con viva preoccupazione) che denunciava il nazionalsocialismo di fronte all'opinione pubblica mondiale. Negli anni successivi l'ostilità del regime contro la Chiesa si fece sempre più feroce fino alla dichiarazione di Martin Bormann di incompatibilità tra Cristianesimo e Nazismo con l'ordine impartito alle autorità territoriali di contrastare con ogni mezzo l'azione della chiesa cattolica in Germania. La controffensiva di von Galen non si fece attendere e nel 1941 pronunciò tre celebri omelie palesemente antinaziste, prima contro l' occupazione e la confisca di conventi e monasteri poi contro la violenta persecuzione dei religiosi stessi; tali provvedimenti vennero poi revocati per ordine di Hitler pochi giorni dopo per il clamore sollevato dalle parole del vescovo.

La più famosa però fu la predica che smascherò apertamente, di fronte all' opinione pubblica, il programma eugenetico segreto del regime chiamato Aktion T4 che si prefiggeva di eliminare tutti i cittadini tedeschi se handicappati, invalidi, malati psichici o per qualsivoglia ragione considerati inutili e improduttivi, quindi un peso per la nazione. Von Galen stigmatizzò con parole roventi questa pratica come una palese violazione del V° Comandamento, Non uccidere: "Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l'uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi. Nessuno è più sicuro della propria vita" (Omelia presso la chiesa di San Lamberto, 3 agosto 1941).

Immensa fu l'eco di tali parole e di fronte alla marea montante delle proteste Adolf Hitler fu costretto a sospendere il programma di eutanasia nazista Aktion T4. Schiumante di rabbia Martin Bormann chiese l'arresto e l'impiccagione di Von Galen ma Joseph Goebbels persuase Hitler a non procedere contro il vescovo, amatissimo dai fedeli, per il timore di perdere tutta la Westfalia, "pagherà a tempo debito" si disse, rimandando a dopo la vittoria finale la vendetta del regime contro di lui. Intanto le sue invettive contro il nazismo erano talmente efficaci che gli alleati, stampatele su volantini, le "bombardavano" sul territorio germanico per incitare l'esercito e la popolazione tedesca alla ribellione. Come sappiamo, la vittoria finale, grazie a Dio, arrise agli alleati e in un bunker di Berlino vide la triste fine Hitler e il suo nefasto delirio di potenza. Clemens August von Galen invece sopravvisse anche ai bombardamenti americani che rasero al suolo la sua città e venne ricevuto a Roma dove, con tutti gli onori, ricevette la porpora cardinalizia. Tornato in patria venne accolto da una folla immensa e il "Leone di Munster", come oramai il mondo lo aveva acclamato per il coraggio e la tenacia con cui aveva combattuto contro il male assoluto che il nazismo incarnava, ringraziò commosso la sua gente senza l'amore della quale, disse, i nazisti lo avrebbero sicuramente ucciso. Dopo un anno dalla fine della guerra moriva, forse logorato dalla lotta che per quasi due decenni aveva sostenuto contro un nemico così forte.

Qui finisce la storia e comincia la leggenda di un uomo a cui va riconosciuto il merito, al di là della condivisione o meno della fede che lo sosteneva e del rispetto dell' istituzione che rappresentava, di essersi battuto come un leone solitario riportando la vittoria contro forze che allora dovevano apparire invincibili e conquistandosi per questo il diritto di entrare per sempre nel novero degli eroi. Clemens August von Galen mori il 22 marzo 1946 all' età di 68 anni. Il 20 dicembre 2003 papa Giovanni Paolo II lo dichiarò venerabile. Il 9 ottobre 2005 fu dichiarato beato da papa Benedetto XVI.