Linee interpretative che non s'incontrano

È principalmente secondo due direttrici che si sono moltiplicati nel tempo i contributi sull'Antigone. Da un lato, Hegel che ne ha fatto il conflitto tra verità parziali, ugualmente legittime, poste agli estremi di varie antitesi (Stato e famiglia, norma e costume, diritti dei vivi e dei morti); e a raccoglierne l'eredità, quanti hanno seguitato a vedere nella dualità la categoria essenziale di lettura del dramma (legge civica e necessità del sangue, astrattezza maschile del politico e concretezza femminile del privato). Dall'altro, il predominio pressoché assoluto di un approccio fondato sul riferimento di Antigone alle "leggi non scritte degli dei" (vv. 450-457); assimilate alle norme della tradizione sovvertite da un'autocratica volontà di potenza o agli imperativi morali calpestati dall'arroganza del potere, esse sono state costantemente invocate da chi ha ritrovato nel destino dell'eroina la morte delle vittime di ogni regime e il sacrificio che riafferma i diritti dei singoli, la sopraffazione degli individui ad opera dello Stato e la lotta per la libertà. Comune alle due prospettive, la tendenza a destorificare la tragedia che dalle costruzioni filosofiche settecentesche alle moderne rivisitazioni ha continuato ad essere riproposta per la paradigmaticità dei significati di cui è investita.

Il quadro interpretativo appare più complesso per l'Elettra. Nel confronto con i precedenti adattamenti dell'episodio mitico, la costruzione sofoclea è stata portata a sostegno di posizioni discordanti. Parte della critica ha visto rinnovarsi in Sofocle la tendenza eschilea a celebrare la polis, il superamento del genos ("clan") e l'instaurarsi del primato della politica; come in Eschilo, essa ha riconosciuto nella morte di Clitemnestra lo sgretolarsi della società di palazzo nutrita dell'interesse del casato e l'imporsi di un bene comune, il venir meno dei privilegi di lignaggio e il costruirsi di relazioni extra-genetiche, il declino di un criminoso mondo arcaico e la celebrazione della nuova cultura della legalità. Allineandolo, invece, alla tragedia euripidea e rintracciandone la verità in una rigorosa storicizzazione, altri hanno ravvisato nel dramma il riflesso della crisi che aveva trascinato Atene nella guerra civile di fine IV secolo a.C.; nell'assassinio di Clitemnestra un crimine inespiabile, un delitto inescusabile; in Elettra l'emblema di un'attualità dominata dalla dissoluzione di ogni reciprocità.

Due opere diverse, dai destini divergenti nella loro storia post-sofoclea; perché allora accostarle nella lettura, e soprattutto perché proporne l'analisi nell'ambito di una riflessione dedicata alla memoria della violenza?

Le ragioni di un confronto

Analogamente intitolate alle rispettive eroine a testimonianza dell'originale dilatazione studiata dal poeta per i loro ruoli, le tragedie presentano evidenti affinità nella struttura e nei personaggi che in essa si muovono.

Imperniate sui vincoli della più stretta consanguineità, esse danno particolare risalto alla sorellanza/fratellanza: in entrambe, la vicenda si snoda intorno alle sorelle e al fratello (Antigone con Ismene e Polinice, Elettra con Crisotemi e Oreste); in entrambe, è conflitto tra le sorelle che, pur essendo per nascita le donne più uguali, rivelano un'incolmabile distanza (alla ribelle Antigone si oppone la pacata Ismene, all'intransigente Elettra la contenuta Crisotemi); in entrambe, l'origine del conflitto rimanda al fratello (morto e in attesa di sepoltura l'uno, creduto morto e impossibilitato a compiere la vendetta l'altro). I dialoghi tra sorelle sembrano dominati dalle stesse dinamiche; pazzia e saggezza, temerarietà e prudenza si richiamano, creando equilibri in apparenza molto simili. Da un lato le folli (Antigone ed Elettra), animate dal dovere di non tradire la propria natura, trascinate da irragionevoli propositi tanto da allontanare chi non agisca con loro; dall'altro le avvedute (Ismene e Crisotemi) che si appellano alla fragilità della condizione di donne, temono di sfidare chi è più forte, confidano nel perdono dei defunti, giustificano la loro negata collaborazione con l'essere per natura incapaci di reagire.

Difficile immaginare che Sofocle non pensasse all'Antigone quando mise mano all'Elettra, che non stesse rielaborando lo scontro tra Antigone e Ismene quando concepì quello tra Elettra e Crisotemi. Il gioco di corrispondenze è innegabile ed è a questo che si richiamano quanti avanzano l'ipotesi di un raffronto, sviluppando il modello di una polarità tra sorelle forti e deboli, e proponendo per le più recenti uno schema dedotto dalla relazione tra le più antiche. Ciò che da questi raffronti non emerge è che sono proprio gli scambi tra sorelle con il loro accavallarsi di riprese e rimandi a contraddire la consueta mappa delle simmetrie e a disegnare un diverso intreccio di legami che scardina le coppie consolidate dalla critica, mostrando l'estraneità delle quattro donne alla fissità di qualunque schematizzazione e mettendo in risalto la complessità di ciascuna; l'esame degli elementi che avvicinano i testi, infatti, consente di riconoscerne le disuguaglianze, garantendo della singolarità di ognuno e confermandone gli esiti originali.

Voci di donne: riti funerari, memoria, identità

Figlie di Edipo e Giocasta le une, di Agamennone e Clitemnestra le altre, le principesse scrivono l'ultimo atto della storia di due grandi stirpi, collocandosi nel solco di una lunga catena di orrori. Nel passato delle prime, l'indicibile che mina i fondamenti della civiltà (il regicidio-parricidio di Laio, l'incesto di Edipo e Giocasta, il fratricidio di Eteocle e Polinice); in quello delle seconde, il sangue versato che continua ad esigere sangue da versare (l'infanticidio di Ifigenia e il regicidio-uxoricidio di Agamennone, origine del regicidio-matricidio di Clitemnestra); nel destino di tutte, l'urgenza di misurarsi con un'eredità ingombrante da cui ogni significato pare discendere.

Più che motivare la decisione di aver collocato i drammi al centro di un simile studio, pertanto, conviene iniziare identificando i molteplici livelli su cui agisce questo tema, che s'impone in entrambi per la sua pregnanza.

Nei suoi studi, l'egittologo J. Assmann aveva individuato nelle pratiche di commemorazione dei defunti l'origine della "cultura del ricordo". Alla voce "morte, morti", il Dizionario della memoria e del ricordo di N. Pethes e J. Rüchatz recita "La m.[orte] è il paradigma di una perdita irrecuperabile e, quindi, il fattore alla base di ogni prassi della memoria […]. I m.[ort]i sono la quintessenza di ciò che dev'essere ricordato"; dalla percezione di un vincolo con i defunti, dunque, il formarsi di un'idea di appartenenza e continuità della stirpe, nel compimento dei riti funebri il crearsi di una tradizione e di una memoria condivise. Per una serie di motivazioni di ordine biologico (legate alla generazione) e sociale (inerenti lo status di dipendenza dall'autorità maschile e le funzioni nella casa), alla donna sono state sempre ascritte un'intima comprensione del dolore e una posizione privilegiata nella custodia della storia familiare, nonché una parte rilevante nell'esecuzione delle cerimonie di sepoltura.

Lungi dall'ispirarsi ad una volontà personale o ad un impeto affettivo, è in quanto "donne" che Antigone ed Elettra si fanno carico l'una di apprestare una tomba al fratello e l'altra d'intonare il cordoglio per il padre, allineandosi a quanto riconosciuto fin dall'antichità di competenza delle donne, designate per inclinazione naturale e consuetudine culturale a gestire il lutto per conto della famiglia e della comunità, garanti di un rigoroso susseguirsi di gesti e lamenti codificati allo scopo di arginare l'esternazione del dolore e di ristabilire l'ordine minacciato dall'irrompere della morte.

D'altro canto, la facilità con cui lo sfogo della sofferenza può divenire manifestazione di rabbia ha fatto sì che il canto funebre delle donne assumesse un peso maggiore nelle società regolate dall'istituto della vendetta, rappresentandone anche la ragione del progressivo declino; modulato dalla voce di chi si faceva promemoria della perdita subita e incentivava l'esplodere del rancore, esso sollecitava l'urgenza di individuare il colpevole e ispirava la risolutezza necessaria a colpirlo, evidenziando il potenziale sovversivo delle emozioni legate alla morte e la loro azione destabilizzante.

Ecco allora i gesti di Antigone ed Elettra connotarsi di tratti sinistri. Scatenando la crisi nella città e struggendosi in un compianto sfrenato, queste "donne d'Ellade" riflettono anche la diffidenza che, sorta contro le espressioni non ufficiali del lutto, ha col tempo portato al controllo delle loro tendenze disgregatrici da parte delle autorità. Esponendosi al biasimo della città per la loro condotta intemperante, le giovani alludono alla politica di restrizione di rituali e lamentazioni, attuata in molte parti del mondo greco dal VII-VI secolo a.C. e associata alla volontà di indebolire il sistema dei clan, che sull'egemonia del sangue e le sue rivendicazioni si fondava; dirette a ridimensionare l'impianto di celebrazioni amministrato dai gene e a colpire il complesso di valori che lo ispirava, tali politiche miravano a limitare la partecipazione e il protagonismo delle donne che di quelle celebrazioni e di quei valori si facevano esecutrici e interpreti privilegiate.

"Donne", dunque, "donne di Grecia", Antigone ed Elettra. Ma soprattutto "donne tragiche" nel teatro di V secolo a.C., che nell'annuale riproporsi degli agoni costituiva per i cittadini di Atene un'occasione di celebrazione della città, ma che mirava a riconfermare la giustezza delle conquiste democratiche attraverso un percorso di problematizzazione delle questioni ogni volta più stringenti e attuali; che rimetteva all'azione di personaggi femminili abilmente plasmati il compito di mostrare la pericolosità di valori che si scostassero da quelli promossi dalla polis, e allo stesso tempo forse anche di suggerire ciò che i discorsi ufficiali della storiografia e dell'oratoria non osavano esprimere.

Non rimane, allora, che addentrarsi nella lettura delle tragedie per conoscere come Sofocle abbia caratterizzato l'identità delle sorelle unitamente alle modalità secondo cui ha voluto che ognuna ricordasse i propri morti e la violenza da essi evocata; se si sia limitato a rielaborare l'eco negativa della gestualità rituale femminile o se non l'abbia sfruttata per insinuare la possibilità di una logica differente; quale messaggio abbia rivolto alla sua città che del disciplinamento della memoria del dolore e di un'ideologia tutta politica della morte aveva fatto i pilastri della sua propaganda.