Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l'ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui.

(Tavola di Smeraldo)

Se il segreto e la maschera simbolica sono fondamentali, e nessuno discorso dice mai quello che sembra dire, all’inverso ogni discorso parlerà sempre dello stesso segreto: qualsiasi cosa gli alchimisti dicano, dicono sempre la stessa cosa, e il disaccordo totale dei loro discorso è la garanzia del loro accordo profondo.

(Umberto Eco, I Limiti dell’interpretazione)

L’alchimia similmente al misticismo, alla poesia e ai linguaggi tecnici più specifici, mostra un linguaggio che da una parte appare comunicare un’esperienza indicibile e dall’altro si rivela estremamente fluido, contaminabile, manipolabile. Umberto Eco introduce una tesi provocatoria e divertente che mira a paradossalizzare il rapporto fra semantica, lessico e interpretabilità del Discorso alchemico. Ecco come è enunciabile questa tesi ludico-paradossale: 1. l’alchimia parla solo di se stessa 2. l’alchimia non dice mai la stessa cosa 3. l’alchimia quale testo scritto è inutile in quanto è comprensibile solo da chi la conosce a livello operativo, indipendentemente dal testo alchemico stesso.

Il fondamento di tale triplice enunciato è però del tutto errato in quanto si fonda sul confronto di due aspetti del tutto estranei: il principio di simpatia e l’estrema variabilità del lessico alchemico. Il primo è un principio scientifico, proprio di tutte le scienze antiche, di cui l’alchimia è l’estrema e massimo espressione, mentre l’esuberanza immaginativa e terminologica del Discorso alchemico è un dato che non presenta alcuno spessore a livello semantico. Eco non ha mai studiato veramente la lingua alchemica e si è limitato semplicemente a valorizzare i lunghi repertori lessicali redatti dallo studioso settecentesco Don Pertigny, che non è mai stato un autore ermetico di rilievo. Qui si sostiene che al contrario la lingua dell’alchimia e l’alchimia come lingua sia metamorfica a livello di Discorso ma monosemica a livello semantico.

L’approccio ermeneutico è nuovo perché fino ad ora l’alchimia è stata studiata da differenti discipline (letteratura, storia, sociologia, psicologica, estetica-iconologia) ma mai quale linguaggio in se stesso considerato, autonomamente dal problema del suo senso. I connotati della Lingua alchemica possiamo definirli ed enunciarli come segue: 1. è performativa, dice quel che fa e fa quel che dice 2. è olica (non olistica, in quanto non ideologica) cioè tende ad occuparsi di tutto il reale, nelle sue dinamiche trasformative, 3. è autarchica, in quanto si autointerpreta, possedendo solo essa stessa la propria capacità di riconoscimento e autenticazione; 4. è iniziatica, in quanto appare sempre corredata da aspetti simbolici, rituali, sapienziali, e il profano deve adeguarsi ad essa, farsi assorbire da essa e non sperare di tradurla; 5. contiene sempre un codice crittografico, che è la sua stessa ragion d’essere.

Data l’alchimia quale Lingua possiamo elencare anche alcuni aspetti del Discorso alchemico: a) contiene riferimenti spirituali-teologici-religiosi (non è quindi magia o un sapere eccentrico o un pensiero creativo); b) presenta citazioni e rinvii ad altri testi e fonti alchemiche (= è un discorso tradizionale); c) può comparire in una grande varietà espressiva-stilistica di moduli narrativi (poesie, parabole, sogno-visione, racconto mistico, ricettario tecnico, ecc.), d) presenta ricorrenze tematiche tipologiche (il riferimento alla “materia prima”, al fuoco, a un “artificio segreto”, a certi principi, ai quattro elementi base della fisiologia, ecc.).

La differenza sostanziale tra l’alchimia quale Lingua e l’alchimia quale Discorso è semplice ma radicale in quanto i connotati della Lingua alchemica sono strutturali e coessenziali mentre gli aspetti del Discorso alchemico sono mere ricorrenze tematiche o stilistiche ancillari e non fondamentali, che appartengono alla fenomenologia di una varianza lessicale spiegabile in primo luogo quale esigenza vitale di criptazione. Eco non si sofferma a riconoscere l’esistenza di tre profonde ragioni pratiche dell’automascheramento cognitivo proprio del racconto alchemico: a) la difesa del segreto, sia per la tutela della sicurezza dell’alchimista che per la tranquillità e l’equilibrio sociale b) l’esposizione criptata del segreto quale percorso selettivo-formativo-pedagogico per i nuovi adepti; c) la possibilità di operare il processo alchemico partendo da materie differenti o con modalità differenti congiunta con l’esigenza di riscontrare in modo trasmissibile/condivisibile la correttezza e la riconoscibilità delle fasi decisive e della sua conclusione. Come ogni rito e iniziazione la Lingua alchemica forma i suoi detentori e mette alla prova chi gli si accosta. Ogni iniziazione è soglia che include/esclude.

Da ciò deriva l’apprezzabilità di una grande coerenza e precisione tra Lingua e Discorso nell’alchimia, qualunque cosa sia! L’alchimia si pone quale racconto il cui segreto sia verificabile e sperimentabile e questo scenario è la sua stessa ragione d’essere. La duplicità spirituale/operativa dell’alchimia non è un’ambiguità anomala come sostiene Eco ma una ricchezza semantica e stilistica e un’esuberanza metamorfica propria di ogni scienza antica, come l’astronomia antica dimostra, con la sua connaturalità con il mito, la musica, la teologia. Come la sonorità non è un difetto o un limite o un’obiezione contro la musica, così la fluidità lessicale e la vastità immaginale per l’alchimia, che si è sempre posta quale “Scienza delle scienze” e “Arte delle arti”, oppure, potremmo anche dire: quale “Chimica della chimica”, o chimica dell’unità e della totalità, o “chimica verticale”. Per questo oggi possiamo apprezzarla anche quale Lingua delle lingue, omnicomprensiva perché presiede a ogni trasmutazione qualitativa. Così similmente il Vangelo è unico anche se quadruplice e pieno di innumeri parabole. L’alchimia è recita coerente e persistente, perché la res citata non muta mai per definizione: è il Segreto la cui tecnica ri-velazione è la sostanza stessa del racconto alchemico. L’alchimia si fonda sull’ontologica verità della corrispondenza tra parole e cose e quindi, come tutte le scienze antiche, non può che porsi come radicalmente antinominalistica e anti-relativistica, mai polisemica, come invece fraintende Eco.

Personalmente ho intrapreso due esperimenti di tipo estetico-simbolico che hanno avuto esiti pratici para-alchemici, e che ho intrapreso al fine di rievocare l’alchimia quale rito e quale sensibilità. Ho preso pochi semplici ingredienti, rintracciabili in qualsiasi cucina e li ho trattati secondo alcuni principi/temi tipici dell’alchimia (simpatia, corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, equilibrio degli opposti, ripetizione delle applicazioni di calore/luce, simbolicità suggestiva del lessico, ecc.) rinchiudendoli in un vasetto di vetro e “tormentandoli” con il dolce calore del termosifone e della luce solare. Dopo 3 anni di continua e tenace speranza trasformativa, e di continua osservazione, ho contemplato sotto i miei occhi il tappo metallico del vasetto sciogliersi, ebollire, iperossidarsi, fino a ridursi a quel metallo “lebbroso” di cui parlano i sacri testi. Non solo: il vetro era deformato e la sostanza vegetale di riferimento, semisommersa in soluzione acquosa dentro il vasetto, si era del tutto annerita, similmente al tema della “morte alchemica”. Simile risultato lo sto raggiungendo in questi mesi, ottenendo senza intervento diretto un’acqua sempre più scura, come se andasse verso la sua morte ermetica. La scelta dei materiali è stata guidata anche dalla bellezza simbolica e ambigua dei nomi. Questo conferma la reattività polimorfica inaspettata della materia anche a basse temperature, fino alla genesi di potenti acidi di origine vegetali tali da muta profondamente il metallo.

Tornando al Discorso sul Discorso, metodo fondamentale, possiamo dire che l’alchimia è quindi solo in apparenza una Lingua del Paradosso, in quanto nel testo “nulla è come sembra”, perché la sua realtà è una realtà di coerenza, precisione e lucido rifiuto di ogni fuga di senso o rinvio semantico. Ogni testo alchemico appare del tutto autofondativo, oltre che autointerpretativo. Ogni testo basta a se stesso e contiene nei suoi veli tutto il Segreto. Nessun altro racconto o tipo di narrazione presenta un tale unità organica dove il codice crittografico è anche fabula e visione. Potremmo parlare di linguaggio tecnico-simbolico. Caso unico. L’assenza di comprensione è proprio la conferma veritativa che l’annuncio del Segreto è la sua stessa enunciazione, tanto simbolica quanto tecnica. La lingua alchemica è paradossale in senso letterale-etimologico, quale racconto la cui verità è celata dentro l’apparenza della letteralità discorsiva dei testi, che restano coessenziali. L’alchimia è unità e mai si potrà scindere una sua anima da un suo corpo, a pena di perdere o travisare entrambi. Non c’è sinonimia totale ma Lingua totale perché il Segreto è uno, unico ma universale. I molti veli sono del Discorso, l’unicità e totalità della Lingua. L’alchimia non è letteratura ma tradizione anche testuale che attraversa i tempi, e quindi anche le letterature, ma restano identica a se stessa in quanto Lingua. Non solo. L’alchimia è scienza sperimentale e lo si può dimostrare linguisticamente ed ermeneuticamente in quanto contempla nei suoi testi quale tema ricorrente il rischio del fallimento psicologico e sociale dell’alchimista che erra e il diverso ma parallelo tema del falso alchimista e delle falsificazioni metalliche. Una tecnica di falsificazione tramandata non includerebbe il proprio opposto e la propria erranza. L’alchimia quale tradizione è quindi anche una tradizione non solo culturale ma pure operativa. Anche a livello popperiano il metodo/lingua alchemica è metodo e lingua scientifica e sperimentale, pur all’interno di una tipologia di narrazione scientifica di tipo ippocratico-artistotelico. La “deriva ermeneutica” tanto paventata da Eco e su cui ironizza attiene alla storia della ricezione/percezione dell’Alchimia, non alla sua natura. Il Discorso è la messa in scena cerimoniale della Lingua. Il Segreto dell’alchimia è l’alchimia quale Lingua del Segreto.