Una donna araba che non pone nemmeno in discussione il suo diritto di essere, il suo diritto di genere e il suo diritto di scrivere. In un romanzo accattivante, magnetico e soprattutto capace di aprire un varco tra le strade di un Paese che conosciamo per dovere di cronaca più che per fiction televisive, Raja Alem comunica il vissuto femminile arabo ma, soprattutto, si dimostra gigante della globalizzazione. Lo stile asciutto eppure carico di emotività intrinseca che sa trasmettere riga dopo riga, con una grande capacità di scrittura, meritatamente ha ottenuto il prestigioso International Prize for Arabic Fiction e il Premio UNESCO per i risultati artistici conseguiti ed è stato tradotto in italiano e in molte altre lingue.

L’autrice vive tra Gedda e Parigi e ama viaggiare, quasi il viaggio fosse uno spirito che la possiede. Raja considera non solo il viaggiare fisico, tra un posto e un altro, ma anche il viaggio interiore, il viaggio dell’anima. Tra un dentro e un fuori, in un continuo comunicare che le dia la capacità di andare oltre se stessa, quasi all’altro mondo, e poi tornare indietro. Tipico delle personalità che acquisiscono grande equilibrio interiore.

Lo stile narrativo di Raja Alem è davvero da non perdere. Omaggio alla città natale della scrittrice, la misteriosa e affascinante La Mecca, il suo ultimo lavoro ha come voce narrante niente meno che un vicolo dal nome inquietante. Aburrus, il Vicolo delle Teste, che può vivere la rivincita sulla sua storia malfamata e triste grazie alla possibilità che gli è data di parlare ai lettori. Racconta la sua storia, il vicolo delle passioni e dei silenzi, per spiegare un delitto e cosa si può nascondere all’ombra di una città santa che, malgrado la sua importanza spirituale, si trova ad essere una città come tutte le altre. Anche con delitti nel suo interno e tragedie irrisolte.

La Mecca è per l’Islam il punto in cui Adamo, padre degli uomini, atterrò quando lasciò il Paradiso terrestre, cacciato per il suo peccato. Quindi è il punto in cui l’uomo dovrebbe portare le sue idee e la sua immaginazione. Dove potrebbe realizzare ciò che ha in mente. Una città ricca di opportunità, quindi, ma che deve essere vista come crogiolo di culture, non diventare simbolo di separazioni. Infatti, il titolo del romanzo è un omaggio ad un filosofo e poeta musulmano dell’XI secolo, Ibn Hazm, che dedicò un suo lavoro all’armonia tra le religioni monoteiste ebraismo, cristianesimo e islamismo. Per Hazm bisognava creare un terreno sul quale le culture potevano fiorire e collaborare, e dove la cultura poteva diventare universale. Come per Ibn Hazm, Raja Alem vorrebbe creare la consapevolezza che solo l’amore può essere il punto d’incontro tra le nazioni, unica via d’uscita al male e al dolore che pervade l’umanità. Riconoscere l’altro come una parte di noi è la base per il rispetto reciproco, l’apprezzamento delle qualità che ognuno di noi possiede anche grazie alle proprie appartenenze.

Lo stile di Raja è fortemente influenzato dalla lettura del Corano, con la sua musicalità, e dalle letture degli antichi libri arabi, ai quali è arrivata o tornata dopo letture di testi appartenenti a tutte le letterature, dalla russa alla francese, dall’italiana all’anglosassone. Non avendo preconcetti, Raja Alem non ha mai visto frontiere tra le letterature, come non vede barriere tra le nazioni, e così, ricca di un ampio bagaglio culturale, ha creato il suo linguaggio. Quel linguaggio che le ha consentito di scrivere con il suo vero nome anche se, quando è nata, il nome delle donne in una città conservatrice come La Mecca non veniva pronunciato in pubblico. L’autrice sostiene che le donne non devono trascorrere la vita a pensare di essere nate vittime, soprattutto in alcuni Paesi del mondo, mentre devono trovare la propria strada e seguirla, mettendo a frutto la propria creatività e le proprie attitudini. Per questo Raja ha costituito (con la sorella Shadia, artista di fama internazionale) un’associazione culturale in Arabia Saudita, volta a sostenere le donne soprattutto dal punto di vista dell’istruzione.

La constatazione di come molte donne abbiamo fatto la differenza in Arabia Saudita, la porta ad essere convinta che la strada sia aperta nella misura in cui ci si assuma le responsabilità delle proprie scelte e non si trascorra il tempo a sostenere di non vivere o di non aver vissuto per colpa degli altri. Nel romanzo, infatti, ci sono vari tipi di donne e vari tipi di uomini. Chi desidera nascondere la verità e chi vuole svelarla, chi pensa al passato e idealizza un amore spirituale e chi non sa scegliere tra il trattare le donne come un oggetto proibito oppure sfruttato. In fondo ogni tipo d’uomo costituisce un’entità sola, così come ogni singola donna è una realtà soltanto, mentre la trama la spinge ad uscire dalla paralisi dei luoghi comuni.

Fogli nascosti perché scritti in segreto, emozioni negate, forza spirituale e forza fisica che si scontrano in un intreccio che lascia con il fiato sospeso. È fuori di dubbio, tuttavia, che la parte da padrona la faccia proprio la città che sottende la storia narrata. Si percepisce quanto Raja Alem ami La Mecca e la sua gente, anche se non la idealizza; si percepisce, per il lettore occidentale, la differenza tra una città che non si scrolla di dosso la polvere della sabbia del deserto, per noi fonte di fascino e di mistero. In questo fascino e in questo mistero, giacciono le fiabe che rimandano ai tempi lontani de Le Mille e una Notte e serpeggia nel lettore attento il desiderio di saperne di più di un luogo che conosciamo sempre in modo troppo austero e distaccato, per economia o religione, ma mai così da vicino come per una trama gialla.

La suspence è secondaria alla musicalità del narrato e la voce fuori campo diventa spesso quella dell’autrice, proprio come se riuscisse ad andarsene e a tornare incarnata nel Vicolo delle Teste durante il viaggio delle pagine e delle parole. Il lettore è rapito da quanto accade sotto i suoi occhi: la materializzazione di luoghi e persone che nascono nell’immaginario come evocati da un incedere narrativo maturo, strutturato ed elegante. Uno stile che testimonia come il Medio Oriente sia in fermento e contributo al rinnovamento della letteratura araba. La scrittrice parla infatti di libertà politica, di diritti per le donne, di rinnovamento, degli effetti della tradizione opprimente e dei pregiudizi, e sono proprio i contributi come il suo a diventare determinanti perché le cose cambino in meglio davvero. Così come importante è il contributo dei lettori che, seguendo l’evoluzione di una letteratura non come novità fine a se stessa, possano sostenere quel concetto di opinione pubblica fondamentale per non permettere passi indietro sulla strada delle conquiste positive.

Anche i lettori, quindi come l’ispettore Nasser, si devono immergere nella vita di Aisha, ripudiata dal marito e intrattenente una corrispondenza amorosa con il giovane vicino di casa Yussuf, giovane ossessionato dalla grandezza del patrimonio artistico e culturale dell’Islam. Proprio da questo intreccio di lettere, l’ispettore scoprirà quanto la sua città sia corrotta e quanto il suo cuore sacro, la Kaaba, debba essere protetto da uno scontro sbagliato tra tradizione e modernità.

Raja Alem, Il collare della colomba, Marsilio, Venezia.