Natalia
È domenica pomeriggio. La città è deserta. Il mio studio sembra voler prendere il volo.
Il vento entra dalle fessure e fa volare questi fogli sparsi. Io rimango ben ancorata al tavolo bianco e puntello i fogli con vasetti di vetro, squadre, righe, portacenere.
È da qualche giorno che scrivo. E lo faccio continuamente: con le mani, con la testa, con i piedi.
Scrivo distesa, scrivo al mare e quando cucino, scrivo camminando e in bicicletta e scrivo quando parlo - poco e raramente - con le persone che mi sono vicine.
Quel che faccio, mentre scrivo, non mi viene tanto bene: brucio il cibo, rischio incidenti, dimentico le chiavi di casa e dello studio, perdo le cose.
Con la scrittura tento di svelare lo stato di grazia dell’esserci appena, dell’essere appena nata.
Traduco Natalia e i suoi pochi mesi di vita.
Natalia è venuta al mondo in uno dei tanti periodi - duri - in cui le domande non ricevono risposte. Magari a volte riesco anche a dare risposte, però non hanno riscontro con la realtà e rimangono quindi pure astrazioni.
Il mondo si è riempito di frasi inutili. Si va a tentoni in reciproche cecità. E a volte accade che nelle situazioni più imbarazzanti come l’andare a tentoni si possa incontrare la grazia e la bellezza di un terreno rigoglioso. Quello di Natalia.
Abbandono la posizione eretta e mi inchino alla sua altezza per riguardare le cose del mondo con i suoi occhi.
È un gesto necessario per comprenderne gesti, balbettii confusi, movimenti, pianti, risate e per vegliarne il sonno – inchinarsi fino alla sua terra per sentirne il respiro.
È qui che m’abbandono e sento e ascolto e vedo l’azione potente dell’essere appena nata.
Natalia - l’essere appena nata - possiede due centri.
La memoria della vita prenatale e la necessità di comprendere e di agire nel nuovo territorio.
Il ricordo di profondità marine fa di Natalia una figura dell’acqua che vede ogni cosa attraverso una cortina di mare.
In lei è ancora presente il riposo fluttuante nel corpo materno e lo difende con una vitalità quasi terribile. Contemporaneamente agisce per ricomporre se stessa in un luogo sconosciuto.
Deve organizzarsi e riorganizzare e lo fa alla grande. Da regina.
Lo stato di grazia non è un dono e non è facile da praticare.
Natalia esige collaborazione e aiuto. E per ottenere ciò di cui ha bisogno usa tutti i mezzi della sua disarmante innocenza.
Natalia entra in azione e conquista. Non solo conquista l’attenzione, la cura, l’affetto smisurato, l’abnegazione, il sacrificio materno, ma tende all’espansione.
S’allarga, si dilata, va verso, passa oltre. È un fiume in piena che sconvolge e travolge con disarmante innocenza, appunto.
In questo stato Natalia è creatura completa, irripetibile.
Come tutte e tutti noi lo siamo state e stati. Ma ora in noi il ricordo è perduto, non rimangono altro che briciole confuse.
E anche Natalia quando inizierà a dormire tranquillamente da sola, quando accetterà d’essere vestita, quando non si toglierà più scarpe e calzettoni, quando non offrirà più cibo e saluti a tutte le persone e le cose e gli animali che incontra, quando non si sfilerà più il costume per correre in riva al mare, quando insomma apparirà docile e carina e non sarà più la ribelle che ora è, avrà dimenticato - anche lei, come noi - quella che era. Ma adesso io m’abbandono alla sua sapienza, non oso insegnarle nulla, le abbrevierei i tempi del suo stato di grazia e le annullerei l’oscillazione perfetta tra il sentire ancora la carezza del flusso marino nel ventre materno e la potenza dell’esserci appena. Dell’essere appena nata.

Ravenna, 8 Giugno 1997

Federico
In questi giorni l’estate sta celebrando il suo trionfo. L’estate è, per eccellenza, la stagione degli spazi aperti. Volendo, si può stare fuori da un’alba all’altra.
Mio nipote Federico, anche lui, all’alba di un giorno estivo - il 3 agosto - dal luogo raccolto e protetto della vita prenatale è venuto alla luce. Alla luce marina. Quasi subito, infatti, si è ritrovato in una cesta in riva al mare. In riva al mare insieme a una mamma alle prese con due disarmanti innocenze, a una sorellina che non sa che pesci pigliare. Insieme a una nonna che non aveva previsto di diventare nonna e si trova ancora disorientata per il caos creato dal primo lieto evento ed eccola già travolta dal caos del secondo.
Al seguito della cesta con dentro Federico ci sono poi gli altri nonni, zie, zii, amiche, amici, disposti a tutto, soprattutto a donare oggetti e a donare se stessi.
Dalla sontuosità dei regali sembra sia nato un piccolo principe e alla principessina, anche a lei, tanti regali e tanta attenzione perché non abbia troppo a soffrire. Perché nella nascita del fratello non ci lasci le penne.
E così Federico, con i suoi cinque giorni di vita, si è trovato in riva al mare, con una piccola tribù al seguito. Nonostante tutti i componenti la piccola tribù fossero da tempo in attesa e preparati e pronti alla sua venuta, nonostante ciò, il lieto evento è sempre in grado di sconvolgere. Regolarmente crea scompiglio, disordine, e muta le nostre vite.
Il più sconvolto sicuramente è lui, Federico, l’appena nato. Federico porta in sé l’eco, la memoria, il desiderio del ventre materno.
È proprio così fin dall’inizio: quando ci troviamo a nostro agio dove siamo, dobbiamo andare. Arrivano le doglie e le spinte propulsive con l’effetto di farci catapultare altrove. Con la nascita, Federico, anche lui, abbandona il luogo che gli sarà per sempre interdetto.
Il pianto del neonato altro non è che la testimonianza di un passaggio ingarbugliato.
Di un addio per sempre.
Ma Federico si è ripreso velocemente. Ha dimostrato subito di possedere difese potenti. È venuto, infatti, in questo mondo in compagnia dei suoi libri a noi invisibili: anche loro, fluttuanti insieme a lui, nella vita prenatale. Libri acquatici.
C’è chi porta con sé l’eco di flussi e riflussi, c’è chi per tutta la vita desidera ritornare nel grembo materno, c’è chi piange, c’è chi sorride. E c’è Federico che nasce con i suoi libri. Non so quali storie la mamma Valentina gli abbia raccontato per far sì che arrivassero a lui raccolte nel libro. So solo che, dopo cinque giorni di vita, è qui in riva al mare con in mano un libro tattile – il libro a noi visibile. Lui, l’ultimo nato, è arrivato prima di noi a mettere ordine in quel passaggio così confuso che è la nostra nascita. In compagnia dei suoi libri, sempre insieme, Federico ci ricorda che siamo stati figure dell’acqua e che ora siamo figure terrestri, ma la nostra vita continua ad avere il respiro dell’onda lunga.
Sono trascorsi molti mesi.
Noi abbiamo compreso, lentamente, la portata del suo desiderio e abbiamo continuato a regalare giocattoli, ma anche qualche libro. Federico ha preso felice “qualche libro” e ha lasciato i giocattoli. E ci è apparso regolarmente con due libri sotto le ascelle.
A sguardi attenti è risultato che i libri erano in tema con il luogo e la stagione di quel particolare momento. I due libri “in tema” hanno viaggiato con lui sullo scivolo, in spiaggia, nelle passeggiate in montagna, a letto. Ovunque. A questo punto i libri sono arrivati come una valanga. Le prime parole pronunciate da Federico sono state: “Chi mi legge?”.
A tavola, al bagno, dentro il carrello della spesa, sveglio, mezzo addormentato, con la fame, con la sete, di giorno, di notte, col sole e con la pioggia: “Chi mi legge?”. A volte una richiesta così assillante ha creato qualche tensione.
Dal chi mi legge? Federico è passato poi alle colline. Girandomi il libro sul retro di copertina mi chiedeva “la collina”: voleva la collana tutta intera. E via la collana tutta intera! Collana dopo collana ha manifestato il desiderio di fare da grande il bibliotecario, il lettore, lo scrittore, ma anche l’editore, il giornalista, lo storico, l’insegnante.
Ora Federico, a casa o in giro per il mondo, continua a vivere in compagnia di libri. Anche al ristorante, tra una portata e l’altra, tira fuori da qualche parte segreta del suo corpo, un libro. Nelle sue mani i libri fioriscono si moltiplicano, con lui convivono. Non so quale via prenderà questo gran lettore; sicuramente il libro, per Federico, è stato ed è lo strumento per vivere a proprio agio.
Ora siamo al “A chi leggo?”.

8 agosto 1998

Allegra
Oggi è il 12/12/12 e mi sono presa un giorno di vacanza.
Il 12/12/12 alle ore 12 ero in bicicletta in via Trieste diretta al mare.
Sono arrivata a Punta Marina e nello stretto sentiero tra due dune mi si è aperto il cuore.
Il cielo è azzurro intenso. Alto, lontano. All'orizzonte nuvole rosa.
La spiaggia in leggera discesa si offre al mare.
Non so bene dove guardare.
Sono affamata di sole, di cieli e assetata di acqua marina.Voglio rimanere qui. Per sempre. Voglio morire; sono un granello di sabbia, sono un frammento di conchiglia, sono quell'onda leggera che si ritira.

È qui la mia impronta, è qui cara Allegra che io sono nata ed è qui che desidero rientrare.
Per un eccesso di felicità, semplicemente.
E da queste lontananze guardo la tua giovane vita. Infinitamente lontana solo ai nostri occhi perché in realtà io e te in natura stiamo nel bel mezzo tra ciò che è niente e ciò che tutto. Tra ciò che è un inizio e tra ciò che è una fine.
Tu stai tentando di comprendere nuovi orizzonti. Dal buio alla luce. Conquisti velocemente riferimenti per eliminare il disorientamento del mai visto. Vivi la contrapposizione e l'intimo legame tra ciò che è stato e ciò che è, ora.
Quello che ci accomuna è il coraggio di una sopravvivenza. Tu osservi, fissi lo sguardo, ti eserciti a vedere un microcosmo destinato ad ingrandirsi. Noi non ricordiamo la potenza e il coraggio che abbiamo messo in campo nei primi giorni della nostra vita per vincere la paura di un altro mondo. Vedo nei tuoi gesti, nei tuoi lineamenti non ancora definiti la difficoltà di un distacco: sei ancora un po' là e un po' qua.
E anche per me questo è il tempo che mi costringe a combattere la paura dell'andare verso l'oscuro, l'ignoto, - un po' qui e un po' nell'aldilà -. Molto probabilmente il nulla. Il tuo è un percorso difficile e intricato verso la luce, il mio invece è orientato verso il buio. Tu vieni, io tra breve sono destinata ad andarmene. In queste due condizioni così lontane - un inizio e una fine - vi è una sorta di privazione esistenziale. Una contrapposizione ma anche un intimo legame tra due mondi finiti. Per questa via cara Allegra nessuna creatura è, fino da subito completa, e anche noi che cerchiamo di renderti la vita più semplice, siamo, per nostra natura, esseri spezzati, incompiuti. Per fortuna imparerai un po' alla volta che possediamo anche la facoltà di estendere la nostra anima in una destinazione che oltrepassa il mondo delle cose finite ed è l'origine del nostro coraggio.

Oggi è il 18 gennaio e tu Allegra stai facendo passi da gigante. Ieri tua mamma è andata dal medico e ti ha portata da me in studio. Dormivi e quando ti sei svegliata hai iniziato a guardarti intorno con un'attenzione sorprendente.
Credo che la tua fatale qualità da quando hai aperto gli occhi, sia lo sguardo intenso sulle cose che ti circondano. Uno sguardo che si sofferma su pieni e vuoti su luci e ombre.
Più che sui volti di chi amorevolmente conversa con te, la tua attenzione abbraccia un punto nello spazio; lì ti concentri per lunghi momenti e riconosci dai dettagli spazi famigliari da spazi sconosciuti. Nello studio guardavi i colori racchiusi nelle pareti poi più dei colori ha fatto il calore del mio corpo e la ninna nanna che ti cantavo. Sono rimasta con te tra le braccia ad ascoltare quella sconvolgente tenerezza che dalla punta dei piedi saliva lentamente e invadeva ogni parte del mio corpo e della mia anima.
E oggi, mentre lavoro e scrivo e dipingo e parlo dell'evento che realizzerò questa estate nella valle, quella tenerezza così conturbante non se ne vuole andare.

Lunedì 7 ottobre 2013

Cara Allegra piove da tre giorni e mi sento una tigre in gabbia.
Siete ancora a Marina di Ravenna e giovedì, pare sicuro, farete il trasloco nella casa nuova, qui a Ravenna. Neanche tu puoi uscire perché piove talmente forte che Natalia teme l'onda anomala.
Ora veniamo al mio sguardo nel tuo mondo, che parte dal pavimento e raggiunge in altezza 50 cm. Forse meno. Viaggi velocissima, ispezioni tutto, compresi gli angoli oscuri dove non arriva neanche l'aspirapolvere, raccogli briciole dimenticate, pezzetti di cose misteriose, ci guardi e rapidamente te le metti in bocca, infili le dita nelle prese della luce che ora hanno il dispositivo di sicurezza. Quando incontri uno specchio dai delle testate, come Alice, vuoi andare dietro o dentro lo specchio. Ogni tanto fai una giravolta su te stessa e parti come se avessi un carrettino con quattro ruote sotto il sedere.
A me sembri unica per simpatia, bellezza, intelligenza. Marcella mi riporta nella realtà e mi dice che molte bambine e bambini si comportano come te.
Sicuramente dice il vero ma ho sotto gli occhi te e vedo e sento e ascolto cose di inaudita intensità.
Allora vedendo te posso dire che le bambine e i bambini capiscono troppo. Capiscono meglio e molto più in profondità di noi adulti. La loro è una comprensione troppo acuta e lascia noi del tutto smarriti. Instancabili sperimentatrici e sperimentatori viaggiano alla conquista di nuovi territori con passione insaziabile. E contemporaneamente sono nostri antenati, predecessori, precursori. Sono proprio loro che noi dobbiamo ascoltare perché quello che stanno vivendo è il tempo della verità cieca.
L'ambiente marino del grembo materno gli sorride ancora e già incantano la terra.
Un soffio.
Le loro risa illuminano come stelle le nostre vite opache.
A chi gli accoglie donano il miele che scende dalle stelle.