Conosco così bene il mare chi mi tengo alla sua acqua come alla mano dell'amato. Si rispecchia in me con le sue onde. Il mare ed io destinati all'andare e al ritornare sempre lì, nello stesso luogo. A volte avanziamo impetuosi poi ritorniamo nella nostra calma piatta, condannati come siamo ad un movimento sempre uguale a sé medesimo. Appena posso mi immergo nelle sue acque e con loro mi confondo. Amo tutto ciò che è marino: l'aria, il profumo, il colore, la luce, la foschia, la limpidezza, le vie dell'acqua tracciate dal sole e dalla luna.

La luna è stata creata per sorgere dal mare; insieme creano l'essenziale fatale qualità della bellezza. La luna pone la sua domanda e il mare le risponde. Contraccambia. "Posso rispecchiarmi in te?" "Si. Io ti offro le mie acque". E dalla luna e il mare nasce l'unica speranza di eternità. Il mio sogno: una piccola casa di legno tra due dune, praticamente il Bagno Mercurio. Vivrei lì, immobile tutte le mie stagioni di rosso corallo. Invece nella realtà salgo in bicicletta e vado a Punta Marina. Soprattutto fuori stagione. Da casa mia al mare, un rettilineo di otto chilometri.

La strada finisce proprio sulla spiaggia. Ho seguito i lavori di ristrutturazione dell'unica casa che ha la fortuna di aprirsi al mare. Bè, balconi, finestre, porte, tutti rivolti verso una piazza desolata. La facciata che guarda il mare è un muro senza aperture. Niente. Sembra, è, un'autopunizione. Un'altra profonda delusione. Fisso con la catena la bicicletta ad un palo e me vado. Cammino a passi lenti lungo la riva. Osservo le cose che l'ultima mareggiata ha depositato ai miei piedi. La sabbia è tutta ricoperta da conchiglie e da una marea di oggetti di plastica. Penso alle correnti che in mezzo all'oceano hanno "costruito" un'isola di plastica. Ma qui il vento di mare porta con sé, da molto tempo, anche un bestiario insolito. All'origine erano alberi, ma l'acqua marina guidata dal vento, assorbe, cioè dissolve la forma originaria; compie metamorfosi e le deposita ai miei piedi. Non solo ai miei di piedi perché questo bestiario portato dal mare ha ispirato molti artisti ravennati.

Negli abitanti di questa città c'è l'usanza della passeggiata nella riva di un mare d'inverno che offre questi incontri antropomorfi. "Guarda quello è un coccodrillo, vedi l'occhio, la bocca aperta?" È tutto un contrasto di visioni. Ognuno vede ciò che riesce a vedere. Molti se li portano a casa e li depositano nei loro giardini. Naturalmente qui lo spaesamento raggiunge un dilagante cattivo gusto. Un'operazione del tutto diversa l'ha compiuta, Marcello, un amico fotografo che ha lo studio di fronte alla mia casa e che vado a trovare quando ho necessità di risolvere problemi legati alla fotografia. La fotografia è il suo lavoro e la sua passione artistica. L'altro pomeriggio mi ha fatto vedere una serie di scatti del suo straordinario bestiario. Fino ad ora fotografie e dipinti su questo tema non mi avevano colpita. Leggevo soprattutto i dipinti come opere surrealiste di maniera per non dire di peggio.

Nelle foto di Marcello ho ritrovato uno sguardo appassionato che riporta alla luce un magico bestiario. L'esperienza tecnica dialoga con l'enigma e risponde con la visione delle regioni della memoria. Sono esseri che nel loro percorso hanno perduto una essenza primaria e si ritrovano, ora, perduti. Il loro sguardo è fermo là lontano lontano nel tempo. Vi è in queste immagini, come dice Marina Cvetaeva, "una terza entità del tutto nuova" che nasce in questo caso dall'incontro di Marcello con esseri venuti dal mare. Ciò che mi commuove nelle immagini che sto guardando è il senso arcaico delle lontananze. Vedo Marcello nelle sue passeggiate solitarie in riva al mare alla ricerca della "cosa" in grado di colpire la sua essenziale fatale immaginazione e di regalare alle sue giornate uno stato di grazia e di bellezza.