Lei non mi fa paura
E perché dovrei?
Infatti, non c'è motivo... per l'uniforme, immagino: molte persone hanno paura, paura dei pompieri.”

In un rapido scambio di battute fra la giovane Clarisse e il graduato Montag c'è tutta la geniale perfidia con cui Ray Bradbury, magistralmente portato sullo schermo da Francois Truffaut, in Fahrenheit 451 ha rovesciato il ruolo del vigile del fuoco: un vero e proprio colpo a tradimento, che lascia quell'amarezza ben nota a chi, privato di una certezza, si sente smarrito.

Se c'è una figura pubblicamente percepita come positiva è quella del pompiere, dall'epopea dei FDNY nelle Torri Gemelle alle avventure del draghetto Grisù; persino il manicheismo dell'opinione pubblica italiana, che di fronte a una divisa si traduce o in adorazione feticistica o in livore idrofobico, si placa in presenza dei vigili del fuoco, militari senza armi, soccorritori in uniforme. “Quando arriviamo noi la gente applaude” mi raccontava anni fa un amico che aveva svolto il servizio di leva proprio in questo Corpo.

Eppure c'è stato un tempo in cui anche una figura ben voluta da tutti come questa ha seriamente rischiato di essere associata a tutt'altro. Almeno una volta, almeno in Italia. La guerra contemporanea, la guerra totale tanto invocata e infine ottenuta da Goebbels, è un buco nero che risucchia persone, cose, situazioni: tutto e tutti sono irrimediabilmente snaturati, violentati, compromessi. Un fischietto portato alla bocca, in tempo di pace può solo richiamare alla mente un vigile urbano in mezzo al traffico. Lo stesso gesto, eseguito all'alba del 10 maggio 1940 davanti a un'interminabile colonna corazzata, al confine lussemburghese, è il via libera all'avanzata tedesca verso ovest, verso Parigi.

A quella data, in Italia, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco esiste da appena un anno: sotto l'energica guida del prefetto Alberto Giombini, questo organo centrale ha proceduto alla fusione e riorganizzazione dei vari gruppi pompieristici locali, generalmente a estensione provinciale, spesso discendenti da istituzioni pre-unitarie. Dall'agosto 1941 il Corpo dispone di una moderna, faraonica scuola di addestramento a Roma, zona Capannelle. Alcuni mesi dopo, dagli uffici di Giombini vengono inviati ai comandi locali moduli di arruolamento per un reparto speciale e, cosa alquanto bizzarra, immotivati ordini di requisizione di autoscale. Nella primavera del '42 quelle stesse autoscale riappaiono, numerosissime, lungo il litorale toscano: sono sulla prua di motozattere impegnate in esercitazioni lungo la diga foranea di Livorno; sono protese verso le falesie di Calafruna dai ponti di traghetti riconvertiti; sono scalate e ridiscese con crescente dimestichezza dagli uomini del Battaglione San Marco e delle Camicie Nere.

La triste mutazione di un mezzo di soccorso in strumento offensivo è ormai compiuta ed è pietra angolare dei preparativi di un'impresa sconcertante, clamorosa, potenzialmente decisiva. Nel frattempo, più a sud, oltre le insidie della Maremma, la neocostituita divisione Folgore effettua continui lanci nelle campagne di Tarquinia. Dal fronte russo, immobilizzato dalla stagione fredda, la Luftwaffe ha richiamato la 2a Flotta Aerea per dislocarla in Sicilia. È un vastissimo complesso di operazioni costantemente monitorato da un comitato interforze unificato italo-tedesco, coadiuvato da specialisti giapponesi appositamente inviati dal Mikado: per la prima e unica volta nella Seconda guerra mondiale, ufficiali di tutte e tre le potenze dell'Asse sono riuniti allo stesso tavolo per discutere un piano. Curiosamente non è unitario solo il nome dell'operazione: per lo Stato Maggiore del Regio Esercito è l'Esigenza C3, per l'Oberkommando Wermacht è la Herkules-Operation, per tutti è l'invasione di Malta.

Caso più unico che raro di lungimiranza delle alte sfere sabaude, esiste un piano di massima per l'occupazione dell'isola già dal 1935, elaborato in occasione della crisi etiopica. Al momento dell'improvvisa e improvvisata entrata in guerra dell'Italia, le nostre forze armate non sono pronte a nulla, men che meno a un colpo di mano contro Malta. Sfuma così un'occasione d'oro contro un obiettivo vitale e indifeso, dopodiché l'Ammiragliato britannico avvia un programma di potenziamento tattico-strategico della colonia.

L'evoluzione della guerra navale nel Mediterraneo porta a delineare, nell'autunno '41, un quadro sconfortante per l'Asse: un'agguerrita squadra sommergibili di stanza a Malta, puntualmente avvisata degli spostamenti nemici da un'intelligence ormai padrona dei cifrari italiani, esce a colpo sicuro dalla base di Manoel Island e fa strage dei nostri convogli diretti in Libia, provocando il primo collasso dell'Afrikakorps e la perdita della Cirenaica.

La Royal Navy in generale spadroneggia, complice un'iniziativa delle grandi unità italiane prossima allo zero. Come nella Prima guerra mondiale, l'onore della Regia Marina è riscattato dai mezzi d'assalto, che contribuiscono significativamente a una drastica mutazione dei rapporti di forza entro il dicembre '41. A quella data infatti la Mediterranean Fleet si trova bruscamente ridimensionata da una serie di successi degli u-boot e della X Flottiglia Mas, e non può rimpiazzare le perdite ricevendo unità da settori fino ad allora pacifici come l'Oriente, a causa dell'entrata in guerra del Giappone.

La sopraggiunta stasi invernale sul fronte russo consente infine il trasferimento di ingenti forze aeree tedesche verso il Mediterraneo: ecco il momento ideale per chiudere la questione maltese. Come trasferire però sull'isola un numeroso contingente di fanteria? Non sbarcando a nord-ovest, sulle vaste spiagge di San Paolo, Mellieha e Ghain Tuffieha, facilmente bersagliabili dalle batterie delle Victoria Lines, un sistema di fortini e camminamenti posizionato su una cresta naturale che attraversa l'isola da costa a costa. Non impiegando gli alianti, così efficaci in Norvegia e Olanda ma che qui, in fase di atterraggio, si schianterebbero contro qualcuno dei numerosissimi muretti a secco presenti nelle campagne. Non affidandosi esclusivamente ai paracadutisti, disponibili al momento in quantità insufficiente poiché l'Italia è del tutto sprovvista di un simile reparto mentre la Germania deve ancora reintegrare i propri organici dopo la sanguinosa conquista di Creta.

Ecco allora emergere un'idea visionaria, inaudita, forse insensata: sbarcare nel punto più improbabile di tutti, ovvero le scogliere meridionali, presso Dingli Cliff. Da ciò deriva la necessità di dotare di scale telescopiche un numero ingente di natanti e di fornire personale addestrato per manovrarle: si spiegano cosi le disposizioni di Giombini e l'inquadramento dei vigili del fuoco volontari in un nuovo reparto armato, il Battaglione Santa Barbara.

Il piano definitivo prevede, dopo quattro settimane di incessanti bombardamenti su tutti gli obiettivi sensibili dell'isola, una serie di azioni simultanee: mentre a nord-ovest le corazzate Andrea Doria e Caio Duilio effettueranno cannoneggiamenti diversivi contro le baie di Ghain Tuffieha e Mellieha, un ponte aereo dalla Sicilia permetterà ripetuti lanci di paracadutisti sulle alture in prossimità delle scogliere meridionali, onde garantire copertura da terra alle truppe ormai prossime alla zona di sbarco, chiamata in codice “Famagosta”, nonché occupare il vicino campo di volo di Hal Far. Più a est, la conquista di Fort Benghisa, previo cannoneggiamento navale, metterà a disposizione per un secondo sbarco la baia di Marsaxlokk (in codice “Larnaca”). A scopo di ulteriore dispersione e confusione fra i difensori, sono previsti lanci di parà-fantoccio in altre aree dell'isola.

Sulla base di queste mosse iniziali, del precedente mese di logoramento, dell'ormai critica penuria di viveri e munizioni della colonia, della considerevole forza da sbarco raccolta, risultante in 60 battaglioni d'élite (9 tedeschi e 51 italiani) per un totale di 65.000 uomini, e della sua alta capacità di orientamento, assicurata da decine di "guide" reclutate fra i fuoriusciti maltesi italofoni, si pronostica la caduta di Malta in 4 giorni. Non rimane altro che stabilire le priorità strategiche e fissare le date: il 30 aprile, al termine della conferenza di Klessheim, il programma concordato fra Italiani e Tedeschi prevede prima la riconquista di Cirenaica e Tobruk per dare tempo ai paracadutisti di ultimare la preparazione, poi la presa di Malta al fine di eliminare ogni intralcio agli approvvigionamenti per la Libia, infine l'attacco all'Egitto.

A fine giugno il corpo di spedizione maltese è al gran completo, gli ordini chiari e la situazione propizia. Accade però un nuovo imprevisto, che stavolta sarà fatale per la missione e non solo: Rommel espugna Tobruk in anticipo sulle previsioni, recuperando ingenti quantità di carburante; la convinzione di arrivare a breve fino a Suez travolge tutti: scatta l'operazione “Aida” e la presa di Malta slitta a settembre. A metà luglio però il fronte si arresta a El-Alamein e Rommel richiede rinforzi urgenti: inizia così la diaspora delle truppe destinate a Herkules-C3, già parzialmente privata del supporto aereo, mentre i rifornimenti inglesi per Malta riprendono copiosi.

Quanto al Battaglione Santa Barbara, l'addestramento prosegue, ma in novembre, con il crollo del fronte egiziano e la definitiva cancellazione dei piani per Malta, il reparto viene disciolto e le autoscale restituite: il quadro generale è ormai completamente mutato, tutte le città italiane sono nel raggio d'azione della Royal Air Force ed è bene che tutti i pompieri a disposizione tornino a fare solo ed esclusivamente i pompieri, anziché rischiare di far vincere la guerra a Hitler.

Bibliografia:

Carlo de Risio, Attacco a Malta, in “Storia Militare”
J. Caruana, Le tre previste invasioni di Malta, in “Storia Militare”
Carlo de Risio, Le sabbie di el-Alamein, Roma, 2011