Capita spesso, quando si parla di Grande Guerra e soprattutto delle località dove si è combattuto, di abbinare ad esse, quasi in maniera automatica, dei personaggi e dei fatti che in qualche modo le hanno caratterizzate. Per fare alcuni esempi, quando si tratta della guerra nella zona di Sesto e delle Tre Cime di Lavaredo non possiamo fare a meno di citare la guida alpina Sepp Innerkofler e la sua ormai "leggendaria" morte sulla parete del Paterno, al Monte Cengio dobbiamo per forza di cose abbinare i Granatieri di Sardegna e il loro sacrificio nel tentativo di arginare la Strafexpedition austroungarica del Maggio 1916 così come citando il Piave la nostra memoria non può che andare che, oltre alla famosa canzone di E. Mario, ai ragazzi del '99 che difesero strenuamente le sue sponde e che contribuirono alla vittoria finale dell'esercito italiano e alla fine del conflitto... e così via per altre decine e decine di luoghi, teatri del primo conflitto mondiale. Per lo stesso motivo quando si parla delle battaglie che si svolsero sul monte S. Michele, le prime cose che ci vengono spontaneamente abbinare sono Giuseppe Ungaretti e la guerra dei gas.

Il monte S. Michele è una modesta altura di appena 275 metri s.l.m. a nord dell'altrettanto tristemente famoso paese di S. Martino del Carso, non ha una cima vera e propria ma ben 4 alture non molto distanti una dall'altra, denominate Cima 1, Cima 2, Cima 3 e Cima 4. Insignificante geograficamente quanto il suo nome è diventato drammatico e terrificante per chi ha dovuto conquistarlo e difenderlo durante la Grande Guerra.

Già dalla Prima Battaglia dell'Isonzo (23 giugno - 7 luglio 1915) il S. Michele si trovò interessato, anche se marginalmente, essendo le truppe italiane già abbarbicate precariamente sotto la sua sommità durante il primo "sbalzo" offensivo, quello che avrebbe dovuto portare il nostro esercito "direttamente" e secondo i piani di Cadorna a Trieste. Fu però soprattutto con la Seconda Battaglia dell'Isonzo (18 luglio -3 agosto 1915) detta anche "Battaglia del S. Michele" che questa altura assurse a vero e proprio Calvario per le fanterie di entrambi gli eserciti. Durante il primo giorno, preceduto da un fuoco tambureggiante di parecchie ore, l'assalto delle fanterie italiane a prezzo di indicibili sofferenze, riuscì a conquistare la quota 170.

Da qui il giorno 20, l'assalto proseguì verso la sommità del monte. Verso sera i fanti della brigata Regina e del XI bersaglieri, riuscirono a raggiungere il tratto tra le due quote di Cima 3 e Cima 4. Alle 17.30 la sommità del S. Michele era in mano italiana. Ma già alle ore 4 del giorno dopo, l'intera 93a Divisione Austroungarica rinforzata dalla 12a Brigata da montagna, passò al contrattacco. Le dieci compagnie italiane che presidiavano la vetta si difesero valorosamente perdendo quasi la metà degli effettivi, ma sotto la pressione nemica dovettero abbandonare la posizione riuscendo ad aprirsi una breccia, e ripiegare sulla sottostante quota 170. In due giorni di combattimento, 20 e 21 luglio, gli italiani fra morti, feriti e dispersi perdettero 60 ufficiali e 1800 soldati di truppa.

Il 26 gli italiani ritentarono, sotto una pioggia torrenziale, l’assalto alla cima, che raggiunsero ma che dovettero subito abbandonare sotto l'incalzante ed ennesimo contrattacco austriaco. Alla fine della seconda battaglia dell'Isonzo la trincea italiana di prima linea correva lungo la quota 170 e a metà ottobre 1915, come riferito dalla Relazione Ufficiale Italiana la nostra linea risaliva verso Cima 3 e correva parallela al trinceramento austriaco presso la cresta a distanza non maggiore di 100/150 passi, venendo quasi a contatto di esso in un tratto a ovest del "Valloncello" che scende dall'insellatura tra le Cime 3 e 4.

La Terza Battaglia dell'Isonzo iniziò il 18 ottobre 1915. I fanti della brigata Piacenza mossero dalle trincee di quota 170 e dopo una breve ma cruenta lotta corpo a corpo riuscirono a conquistare Cima 4, non però Cima 3 che, meno colpita dal bombardamento preparatorio italiano, oppose maggiore resistenza. Un ennesimo e deciso contrattacco austroungarico però costrinse nuovamente gli italiani a ritirarsi dalla cima, per poi ritentare nuovamente la sua conquista il giorno 22. Cima 4 venne riconquistata, ma il consueto e preciso concentramento di artiglieria nemica costrinse i battaglioni a ripiegare di qualche decina di metri sotto la sommità. Il giorno 23 Cima 4 fu nuovamente in mano italiana ma ancora una volta dovette essere abbandonata sotto il bombardamento e il contrattacco delle fanterie nemiche.

Nonostante gli italiani non riuscissero a mantenere il possesso della cima, la loro presenza appena a ridosso della stessa costituiva motivo di preoccupazione per i comandi austroungarici. Così questi decisero, per la prima volta sul fronte italo-austriaco, di usare un’arma che già sul fronte occidentale aveva dato i suoi risultati in fatto di numero di caduti tra le file nemiche: i gas asfissianti, cloro di colore giallo-verdastro e fosgene quasi incolore.

L'attacco fu preparato con cura. Durante la notte due reggimenti scelti ungheresi del 20° Honved avevano posizionato 6000 bombole di metallo di circa 50 Kg l'una, dotate di un lungo tubetto di rame sottile a sezione circolare, nei punti più avanzati del sistema difensivo di prima linea. Il lancio previsto per le ore 4.30 del 29 giugno, per un'improvvisa variazione del vento fu ritardato di circa un'ora, e così alle 5.30 il gas, accompagnato da un caratteristico e sinistro sibilo, cominciò ad uscire con violenza da 3000 delle 6000 bombole posizionate. In pochi attimi lo schieramento italiano, presidiato dalle brigate Pisa e Regina, venne investito dalla nube tossica. Circa duemila fanti passarono direttamente dal sonno alla morte, altri quattromila intossicati o meglio "gassati", termine introdotto proprio per questo tipo di "colpiti", furono finiti dagli Honved ungheresi che muniti di maschere antigas e armati anche con mazze ferrate, penetrarono nelle trincee, nei camminamenti e nei ricoveri italiani.

La fanteria seguì a ridosso i reparti speciali ungheresi prendendo possesso delle postazioni nemiche. Nonostante il primo momento di sgomento l'allarme scattò immediatamente nelle retrovie italiane e subito fu organizzata una difesa con i pochi superstiti e le brigate Brescia e Ferrara che tentarono di arginare l'attacco. Manovra che fu aiutata anche da un repentino cambio del vento che fece cambiare direzione alla nube tossica che investì anche le truppe austriache, costringendole prima a fermarsi e quindi a ritirarsi verso le proprie postazioni di partenza, anche queste investite dai gas che portarono scompiglio e morte anche tra le truppe austroungariche.

La Sesta Battaglia dell'Isonzo (4 - 17 agosto 1916) che aveva ancora una volta, tra gli altri, come obiettivo la conquista del S. Michele ebbe caratteristiche del tutto diverse dalle precedenti. Fu impiegata in modo massiccio l'artiglieria e per la prima volta in quella zona la ricognizione aerea diede il suo notevole contributo nell'individuare postazioni e obiettivi, ma soprattutto si cambiò modo di mandare all'attacco le fanterie. Non più un bombardamento massiccio e alla fine di questo i soldati partivano verso le trincee nemiche, ma l'assalto della fanteria avveniva sotto fuoco di copertura dell'artiglieria che allungava il tiro man mano che le truppe avanzavano in modo da tenere il nemico rintanato nei ricoveri a ridosso della prima linea. Punti nevralgici della difesa austriaca furono centrati e distrutti, le linee telefoniche interrotte e Cima 1 e Cima 2 furono conquistate di slancio dai fanti della Brigata Catanzaro, Cima 3 e Cima 4 furono espugnate dalle brigate Brescia e Ferrara. Non solo, ma l'avanzata italiana continuò oltre le cime del S. Michele per portarsi alla periferia di Gorizia che finalmente il giorno 8 agosto 1916 fu raggiunta dalle prime pattuglie italiane, prima e unica importante conquista italiana di quella che possiamo definire come la "disastrosa campagna militare del Carso".

Giuseppe Ungaretti

Convinto interventista, soldato del 19° reggimento fanteria della brigata Brescia, Ungaretti visse proprio nelle trincee del S. Michele la sua più tragica esperienza di guerra. Fu tra i fortunati, perché ritornò a casa e in particolare per il fatto che proprio sul S. Michele la sua brigata avendo appena ricevuto il cambio in prima linea poco prima che gli austriaci attaccassero con i gas le postazioni italiane sul S. Michele, evitò di essere investita dalla nube mortale. Di questa sua esperienza di guerra, ci ha lasciato alcune tra le sue più sofferte e significative liriche, collocandole nel titolo con precise coordinate geografiche e temporali. Nelle retrovie del S. Michele tra l'altro il poeta conobbe il tenente Ettore Serra che sarà il suo primo editore, e che pubblicherà in pieno periodo di guerra la prima raccolta di poesie di Ungaretti: Porto Sepolto.

Nelle sue liriche Ungaretti, con pochi versi riesce a trasmettere tutta la sofferenza e la tragedia della guerra sul fronte carsico, come in Veglia - Cima 4 - 23 dicembre 1915. Un’intera nottata / buttato vicino / ad un compagno / massacrato / con la bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d'amore / non sono mai stato / tanto attaccato alla vita.
O come in Soldati dove con appena quattro versi riesce ad esprimere tutta la precarietà della vita in trincea: Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie / … Grandioso!

Giuseppe Ungaretti terminerà la sua guerra sul fronte francese nella zona di Champagne dove nella primavera del 1918 il suo reggimento era stato trasferito in seguito agli accordi interalleati sull’impiego di truppe alleate su fronti diversi dal proprio. Morirà a Milano il primo giugno del 1970 a 82 anni.