Il monte Peralba con i vicini Chiadenis e Avanza rappresentavano durante la Grande Guerra per lo schieramento italiano il punto di congiunzione tra la IV Armata agli ordini del generale Nava e il Gruppo Zona Carnia sotto il comando del generale Lequio. Punto d’incontro di questi due schieramenti era il Passo Sesis tra il Peralba e il Chiadenis. Per gli austriaci questa zona rientrava nel V Rayon, divisione Pustertal, schierata dal Passo Pordoi al Peralba.

Nella zona di nostro interesse ebbero un ruolo determinante da parte austriaca nelle azioni del 1916 le Hochgebirgscompanien, truppe specializzate in azioni di guerra su rocce e ghiaccio, mentre da parte italiana, oltre agli alpini del Battaglione Dronero e i bersaglieri dell’8° reggimento, parteciparono ai combattimenti anche i volontari Alpini del Cadore agli ordini del Capitano Celso Coletti. In questo settore i combattimenti più aspri si ebbero soprattutto nei primi mesi del conflitto tra Italia e Austria, con il tentativo di conquista da parte italiana della cima del Peralba, ma anche qui come in generale sul fronte dolomitico per tutta la durata della guerra fino ai primi di novembre del 1917, con la ritirata della IV armata in conseguenza dei fatti di caporetto, il fronte si stabilizzò, e i combattimenti furono limitati a scontri tra pattuglie e tentativi dall’una e l’altra parte di scacciare il nemico dalle postazioni d’alta quota presidiate.

Ovviamente non mancarono i caduti da entrambi le parti, non come nelle cruente battaglie sul fronte del Carso o sul fronte occidentale, lì fu un vero massacro, ma anche qui la guerra e in particolare la natura, soprattutto d’inverno, richiesero il loro notevole tributo di sangue. Oggi della presenza di tutti quegli uomini su queste montagne dove per ben 29 mesi vissero, combatterono e soprattutto cercarono di sopravvivere, rimangono ancora numerose tracce più o meno evidenti. Caverne e ricoveri scavati nella roccia, muretti a secco, resti di edifici, pezzi di cavalli di Frisia, metri e metri di filo spinato affiorante ancora tra le zolle, qualche scheggia di bomba tra i sassi dei ghiaioni, resti di scarponi, chiodi arrugginiti, bossoli di ’91 o di Steyer a testimonianza che, come ebbe a dire il “sergentemagiù” Mario Rigoni Stern: Ricordate che questo è stato!

Il monte Peralba (m.2693) con il suo calcare cristallino, con composizione marmoree, tanto che fino a qualche anno fa nel suo fianco sud era presente una cava di marmo, costituisce un massiccio a sé, con alte pareti a picco verso nord, meno inclinate a ovest così come a sud e più dolci e franose a nord est dove sale la via normale dedicata a Papa Giovanni Paolo II che per queste rocce arrivò in cima partendo dal vicino rifugio Calvi m.2167 il 20 Luglio 1988.

Il monte Peralba, nella storiografia della Grande Guerra sul fronte dolomitico è certamente meno famoso di altre montagne, dove più numerosi e cruenti furono i combattimenti e dove molti episodi, a volte più alpinistici che strettamente bellici e i loro protagonisti, divennero quasi leggendari. Infatti la storia bellica del Peralba si svolse praticamente dal 4 giugno 1915 con l’occupazione italiana del passo Sesis al 27 aprile del 1916 con la rioccupazione della sua cima da parte degli austriaci dopo che per tutto il freddo inverno 1915-1916 il monte era stato sgombrato da entrambi gli eserciti, ma ebbe il suo momento culminante con il tentativo da parte italiana di conquistarne la cima presidiata dagli austriaci avvenuto l’8 agosto 1915.

Gli austriaci, occupata la spalla est del monte avevano occupato anche la cima collocandovi tre “guardie”, la prima al termine della via normale di salita, la seconda in una forcella lì vicina in un ricovero in muratura e una terza in una baracca di legno ad ovest della cresta sommitale. Il Comando Italiano della 10° Divisione decise di togliere l’iniziativa al nemico e di occupare con un’azione la sommità del Peralba. L’azione avrebbe dovuto svolgersi il giorno 7 agosto con due attacchi simultanei alle linee nemiche, uno frontale contro il sottostante passo Sesis, l’altro di sorpresa risalendo la lunga dorsale sud-ovest. Il primo fu effettuato come previsto nella notte del 7, mentre la salita da parte dei volontari lungo la dorsale per tutta una serie di inconvenienti partì in notevole ritardo, cosa che non fu comunicata ai comandi, il che comportò come vedremo l’insuccesso dell’operazione e un inutile sacrificio di vite umane.

La pattuglia affronta la salita alle 22 del 7 agosto e giunge a 200 metri della cima solamente all’una del giorno 8, si avvicina alla Guardia numero 3. Il presidio austriaco, ancora in stato di allerta per l’attacco del giorno precedente, si accorge del movimento, un razzo viene sparato e gli italiani sono scoperti. Nonostante questo, attaccano, uccidendo sette degli otto occupanti il presidio, irrompono nella 2° guardia, dove il maresciallo Berardengo che comandava la pattuglia italiana viene colpito gravemente al ventre, cade anche il volontario Fabio Monti di Auronzo. Sale a dare manforte un reparto austriaco. Gli italiani sono bloccati e presto finiscono le munizioni.

Su ordine del Berardengo ormai morente, abbandonano la posizione e lo stesso loro comandante. Antonio Berti nel suo libro “guerra in Comelico” ci racconta gli ultimi istanti di vita del maresciallo: “È l’alba. Il cadetto Schurz, che comanda il reparto austriaco che ha riconquistato le due “guardie” sente dei lamenti… Dopo un centinaio di passi mi trovai davanti ad un italiano che si lamentava ad alta voce per il dolore. Mi avvicinai e vidi che era un maresciallo. Aveva il ventre squarciato. Cercai di consolarlo e gli dissi che non doveva morire, che presto saremmo tornati a prenderlo. Dovevamo andare avanti. Sparsi all’intorno c’erano alcuni cappelli da alpino, mantelline e fucili; qua e là delle munizioni; poi un morto. Ma il nemico non c’era più: si era ritirato. (…) con quattro uomini tornai indietro con un telo da tenda per recuperare il maresciallo ferito, ma non lo trovammo più. Era scomparso e la cosa in quel momento apparve a noi incomprensibile. Decidemmo allora di cercare all’intorno per risolvere il mistero”.

Gli austriaci devono però rinunciare alle ricerche perché l’artiglieria italiana ha cominciato a battere la cima. La salma del maresciallo Berardengo verrà ritrovata dagli austriaci solo qualche mese più tardi precipitata e incastrata in un camino sottostante, forse nell’estremo tentativo di trascinarsi dentro le proprie linee. Terminano così tutti i tentativi di conquista del Peralba da parte degli italiani e anche qui, come in altre zone di montagna, il fronte si stabilizzò. I due schieramenti si preoccuparono di rinforzare le proprie posizioni anche se non mancarono scaramucce e tentativi di colpi di mano, il cui unico risultato fu un inutile aumento nel conteggio dei caduti anche in questo tratto di fronte.