I siciliani sono indulgenti con i vezzeggiativi, forse per bilanciare il gusto della tragedia sempre molto spiccato nell’isola nera di vulcano e rilucente di sole, nell’olezzo dei gelsomini. Certo, c’è anche il profumo di zagare. Si hanno Pupe e Bambole ottuagenarie e, ai continentali, scappa il sorriso al momento della presentazione. Si sprecano i Cecè, Nanà, Nonò, Sasà, Pippireddra, Mommu, Mela, Sarino eccetera eccetera eccetera eccetera.
Nel caso di Maruzza Battaglia – battezzata, figuriamoci, con un classico Maria Giovanna, - il Maruzza è particolarmente raccomandato perché tenero, giocoso e, in abbinamento al cognome guerresco, annuncia che lei è combattente con dolcezza, amazzone lancia in resta per affrancare le palermitane di periferia degradata dalla condanna allo squallore.

Fondatrice dell’associazione onlus LAB.ZEN2, un laboratorio di sartoria che forma donne disoccupate, senza presente, senza futuro e senza chimere, del quartiere ZEN 2 (Zona espansione nord 2), che l’architetto Gregotti immaginò beato e invece è una plaga desolata invasa dai ratti, dall’immondizia e dalla disperazione dove i cittadini “normali” non si addentrano, maniacale per sua ammissione, Maruzza si oppone alla bruttezza con maniacalità. “Bellezza è verità, verità è bellezza” la Battaglia è un’epigona di John Keats e insegue la bellezza nella quale vede il riscatto dal degrado. Alle donne dello ZEN insegna a cucire borse di stoffa disegnate da Marina Lo Verso, stilista per Malìparmi e per se stessa: si fissa su ogni singolo punto e non si cura degli sbuffi delle allieve sulla sua meticolosità. Lo sa: prima o poi capiranno che solo attraverso la perfezione di quella borsa miglioreranno la propria condizione. “Non faccio volontariato, aborro la signora impellicciata, impellicciata dentro anche se lascia il visone a casa per andare in visita, con il pasto caldo, alla signora povera, sentendosi superiore - spiega -. Non l’ho mai fatto, nemmeno quando ero una ragazza bene del Sacro Cuore. Voglio formare, dialogare. A chi non ha non si deve dare il bruttino con l’idea del meglio di niente, ma l’eccelso”.

Nel luglio del 2008 la folgorazione sulla via dello ZEN. Grazie a un incontro al circolo Lauria di Mondello, con una pioniera della solidarietà nel quartiere degli intoccabili, la quale aveva ottenuto un finanziamento per un corso di cucito, Maruzza, incuriosita, mise piede nella zona. Alla vista del piazzale invaso dalle automobili bruciate, dai detriti, entrando nel centro sociale Il Catalano, con il pavimento appiccicaticcio, popolato di donne demotivate, stancamente disimpegnate nella fattura un tubino nero, tanto per prendere il gettone di presenza, nulla a che vedere con il tubino di Audrey Hepburn, in lei scattò qualcosa. C’era un tale caldo che comprò un ventilatore. “Mi butto a capofitto, convinco queste donne a credere in me. Contatto la mia amica Marina Lo Verso, compro la macchina da cucire, compro tessuti poveri. Cuciamo in una cucina, accatasto stoffe, con ordine, nella mia camera da letto, finiamo le borse ad agosto, faccio un’esposizione, viene la giornalista di Repubblica Claudia Brunetto, si comincia a parlare di noi, giro con quadernetto con le foto e le borse nel portabagagli. Vendo le borse, piovono giornalisti da tutta Italia, Rita Dalla Chiesa ne compra dieci, a novembre LAB.ZEN 2 diventa onlus”.

Andò tutto liscio in quei mesi di sacro fuoco quando Maruzza andava con teglie di pasta al forno perché non poteva sopportare di stare a casa mentre allo ZEN si languiva? Oh, no! “Ci fu la fase terribile degli occupanti. Avevo messo un cartello con su scritto ‘Prossima apertura laboratorio di sartoria’ all’esterno di un locale dove avevo portato pure i miei mobili. L’avviso scompare, il posto è occupato, mi minacciano. Andai in lacrime al panificio gestito da un ragazzo, un amore, che aveva studiato. Il giorno dopo, scortata dal fornaio e da suo fratello poliziotto su una Lapa (l’ape Piaggio in Sicilia n.d.r.), mi riapproprio dei mobili. Con un finanziamento di 25mila euro del Comune, compro tutte cose, vado a bussare a padre Michele, il coltissimo prete dello ZEN che non crede nell’associazione, ma mi accetta come Maruzza Battaglia e mi concede una stanza stupenda al secondo piano della parrocchia. Nel dicembre 2009 tengo il primo corso di alto livello con otto partecipanti, il numero giusto”. Adesso, dopo cinque anni di fermo, il laboratorio ha riaperto in un edificio confiscato alla mafia che Maruzza ha avuto in assegnazione dal Comune che ha apprezzato il suo progetto e lei si candida pure a consigliera comunale. Se fosse eletta vorrebbe fare quello che fa adesso, solo più in grande: politica pubblica non privata.

“Lì per lì non l’ho afferrato, ma la morte di mia sorella mi ha fatto interessare agli altri, mi ha fatto diventare più attenta, alle donne specialmente. Ai derelitti. Due anni fa hanno intestato un’aula a Carmela Petrucci, uccisa a coltellate per aver fatto da scudo alla sorella, aggredita dall’ex fidanzato. Mi sono commossa da morire, mi sono appartata con la famiglia della ragazza: ora vi sembra prematuro, ho detto, ma noi ce l’abbiamo fatta a trasformare in positivo il dolore. Alla sorella di Carmela ho detto: ‘Lei ha pagato con la vita, tu devi continuare in nome delle donne’". Da pochi anni, con l’arrivo della primavera, tempo di dolorose memorie, Maruzza racconta su Facebook che l’8 aprile del 1971 sua sorella Anna Maria, dalla chioma ramata e i modi accattivanti, iscritta a Lingue e con immenso trasporto verso il sociale, fu uccisa a ventun’anni, con otto colpi di pistola da Calogero Longo, studente brillantissimo, ossessionato da lei, senza conoscerla. “Era un giovedì santo, mi dicono al telefono che c’è stato un piccolo incidente e intuisco che Anna è morta, avevo un anno più di lei. Conduce le indagini Boris Giuliano (assassinato in seguito da Cosa nostra n.d.r.) e io divento la sua referente. Boris era un detective eccezionale e trovò l’assassino, io lo chiamo assassino anche se gli avvocati puntarono sulla follia e fu rinchiuso al manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, partendo da una soffiata del giornalaio di via Villafranca che lo vide fuggire. Longo disse che vedeva Anna all’università con le sue amiche, che non lo degnava di uno sguardo - e perché avrebbe dovuto? -. C’entrava anche l’odio di classe, era un complessato benché tutti lo cercassero per la sua brillantezza. Il fenomeno del femminicidio non era stato analizzato, ma ora si sa: o mia o di nessuno”.

Questa tragedia indicibile ha cambiato il corso della vita di Maruzza per portarla però, infine, a ricomporre tutte le sue anime: “Lasciai per un anno la facoltà di Biologia: mi misero in uno dei negozi di abbigliamento della famiglia in via Sciuti. Entravano le clienti, mi facevano le condoglianze, andavo in bagno, facevo il piantino, mi ritruccavo e ricominciavo. Poi mi sono laureata, con l’incoraggiamento dell’ex marito e degli amici. Ero uscita dal mondo della biologia che era il mio sogno: mi vedevo sulle provette, non nelle boutique Battaglia. Nel 1988 un mio amico del CNR mi propose di lavorare con lui in un centro di procreazione assistita. Non sapevo più niente, ma non lasciai scappare questa opportunità: cominciai a frequentare il laboratorio, a studiare l’inglese, a riappropriarmi della manualità: trattavo ovociti e spermatozoi, avevo in mano il destino di tante persone, non potevo sbagliare. Venivo da un mondo futile di vestiti che però mi ha insegnato la bellezza. Divenni poi responsabile del centro: è stato un periodo bellissimo. Dopo la fine del matrimonio, ho vissuto un amore passionale, il più importante della mia vita, ma al momento di rimettere su una coppia fissa sono scappata a gambe levate”.

Maruzza Battaglia, nome dolce e cognome da trincea, sfaccettata e finalmente libera. Libera di raccontare l’omicidio della sorella, dopo decenni di silenzio. Libera di dedicare alla memoria di Anna Maria la rinascita di tante donne. Libera, e non è secondario, di andare a tavola all’ora che le pare.