Nel mondo pre-moderno, era in qualche modo in atto una forma ‘primitiva’ di globalizzazione. Innanzi tutto, i commerci implicavano non il mero trasferimento delle merci, ma il viaggio di chi il commercio lo esercitava. E poi le guerre erano guerre di conquista, interi popoli si spostavano su nuove terre, o comunque le armate del vincitore di turno stanziavano sul territorio, producendo mescolanza di sangue e di culture. Il mondo era in fondo un grande ‘melting-pot’. Certo, era una globalizzazione molto più lenta, che poteva essere più facilmente metabolizzata. Ma è in quel crogiuolo che nasce l’età moderna. In un flusso continuo di merci e di uomini, di denaro e di idee, spesso anche conflittuale ma sempre multilaterale; un continuo processo di contaminazione reciproca. Ed è precisamente quando questo flusso riprende in modo impetuoso, dopo la stasi del Medio Evo, che arrivano a maturazione le condizioni per il ‘mondo nuovo’. Il Rinascimento italiano segna - simbolicamente - il punto di svolta, l’ingresso nella ‘modernità’.

Al centro di tutto, è il Mediterraneo, dove si incontrano/scontrano 3 continenti, e popoli e culture diverse si modificano l’un l’altra. Cuore del Rinascimento è la ‘polis’, la città. È lì il centro pulsante della rinascita, lì si fondano nuovi poteri politici, lì si intraprendono commerci, lì si crea arte e cultura. E tutto ciò si fa Rinascimento, fonda la nuova era, perché tutto è intimamente intrecciato, è un unico processo ‘creativo’.

La globalizzazione dell’era moderna è iper-tecnologica, veloce, quasi ‘immateriale’. È pressoché unilaterale. Muove capitali più che merci, veicola ‘brand’ più che culture. Ci rende cittadini del mondo, nel momento stesso in cui rende ogni città del mondo uguale alle altre. Ci ‘atomizza’, riconoscendoci soltanto come individui, e negando ogni considerazione a qualsivoglia dimensione di comunità. Si manifesta, dunque, ed ancor più viene percepita, come una globalizzazione distruttrice, livellatrice.

Pur tuttavia, c’è. È una realtà in buona misura figlia dello sviluppo scientifico e tecnologico, non già di scelte ‘politiche’ - che semmai scarseggiano. Se ne può contestare - e combattere - alcune specifiche ‘forme’, ma pensare di opporvisi in nome di un ritorno a un ‘futuro anteriore’ è del tutto privo di senso. Qualsiasi forma di ‘luddismo’ sarebbe infatti impensabile - non essendoci, tra l’altro, i ‘telai meccanici’ da distruggere... Si tratta dunque di trovare, all’interno di questo ‘tempo nuovo’, le strade per correggerne le storture, per combatterne le ingiustizie.

Questa dimensione globale, che vede il primato dell’economia (per via della sua natura ‘iperfluida’, che le consente la massima adattabilità, e alla massima velocità), da un lato ci dice che molti dei ‘suoi’ problemi - suoi perché da essa generati - non possono trovare soluzione in una dimensione ‘locale’; che è poi la ragione dell’arretramento della Politica, la sua incapacità di fare ciò per cui esiste. Dall’altro, rilancia fortemente il ruolo della città come spazio politico ‘sovrano’. Pur essendo, quella della polis, una dimensione minore rispetto agli stati nazionali, appare evidente come nelle città - quasi in ‘autonomia’ dai rispettivi stati - torni a collocarsi un importante centro di gravità della società globalizzata.

E non solo in virtù della persistente spinta urbanocentrica, che ne fa sempre più il luogo di massima concentrazione umana, anche rispetto all’intero territorio nazionale; le città, infatti, sono anche lo snodo in cui si concentrano i ‘gangli vitali’ del sistema globale - strutturali, finanziari, sociali e culturali. La città è il nuovo baricentro, la città (ma non necessariamente la Capitale...) è il motore trainante, ed essa compete direttamente con le altre, per esercitare forza attrattiva - sulle menti e sui capitali - e quindi conquistare ‘potere’. E la competizione è planetaria.

La città è anche la dimensione in cui la Politica riesce ancora ad esercitare in modo concreto e visibile il proprio ruolo. Anche se lo sviluppo delle città - e la ‘direzione’ in cui si orienta - non è mai soltanto una scelta politica, essendo piuttosto il prodotto dell’azione di più soggetti, esse rimangono (nel bene e nel male...) il terreno su cui l’azione politica incide maggiormente - o, semplicemente, in modo più ‘tangibile’. Non a caso, la figura del Sindaco è sempre più considerata come una possibile ‘anticamera’ verso la leadership nazionale.

L’azione politica, nel processo di trasformazione delle città, ha avuto un suo significativo momento sul finire del secolo scorso, quando la crisi del modello fordista di produzione industriale ha privato moltissimi centri urbani, sia del loro baricentro economico, che di quello socio-culturale: la fabbrica. La risposta della politica (ma non solo) è stata quella di ‘reinventare’ l’identità cittadina, sostituendo il turismo alla produzione industriale; e, per far ciò, si è dato ‘spazio’ alla cultura. L’esempio tipico di questa strategia è quello della città basca di Bilbao, che dopo la fine del modello industriale su cui si era sviluppata, letteralmente si inventa un’identità culturale, attraverso l’operazione Guggenheim. La costruzione del grande museo d’arte contemporanea, affidata all’archistar canadese Frank O. Gehry, lancia infatti la cittadina sulla scena turistica internazionale, diventandone l’icona.

A partire da quel felice esperimento, la strategia si generalizza, e mantiene pressocché costantemente questi due parametri: l’intervento urbanistico di grandi star dell’architettura internazionale, e la costruzione di un ‘brand’ cittadino.

La ‘brandiddazione’ delle città, in chiave precipuamente turistica, è stata particolarmente forte in Europa - e segnatamente in Italia - per l’ovvia abbondanza del patrimonio artistico, e, per quanto abbia sostanzialmente smesso di essere il modello di riferimento, persiste la sua ‘coda lunga’ [1]. Venezia, Firenze, e più di recente Milano e Napoli, sono posizionate sul mercato turistico internazionale, sia pure con modalità (ed esiti) diversi. Qui come altrove, però, si comincia ad avvertire l’effetto ‘snaturante’ di questi flussi (quando non governati), sia nella ‘gentrification’ del centro storico (B&B al posto di appartamenti), sia nella ‘reductio ad unum’ dell’offerta commerciale su strada, ormai tutta orientata al consumo mordi-e-fuggi del turista di passaggio. Insomma anche qui si manifesta quella che così definisce Marco d’Eramo: “Invertendo la vecchia idea di Alois Schumpeter, secondo cui specifica del capitalismo è la sua ‘distruzione creatrice’, il turismo pratica una ‘creazione distruttiva’ perché producendo crescita economica e sviluppo distrugge le basi su cui quella crescita era basata [2]”.

A riprova che il turismo, quando non ‘governato’ (cioè programmato, indirizzato, e soprattutto reso ‘compatibile’) rischia di trasformarsi da risorsa in problema, sta l’esperienza di Barcellona - per anni individuata come un modello da emulare. Estremamente ‘brandizzata’, la città è divenuta meta di un turismo ‘barbarico’, che ha finito col produrre una reazione di rigetto nella cittadinanza; anche se incide per il 12% sul bilancio cittadino, ha raggiunto un livello di insostenibilità notevole, e più per la ‘gentrification’ selvaggia che non per la non meno ‘selvaggia’ attitudine dei turisti...

Basta guardare la visualizzazione delle locazioni di B&B, realizzata dal sito Dwarhuis, per rimanere sgomenti. Un problema che già si manifesta, ed anche in modo preoccupante, in molte delle città italiane interessate dal boom turistico. “Nei termini dell’economia mainstream: il mercato per la domanda dei residenti non coincide con il mercato per la domanda dei turisti, ma i due mercati si sovrappongono nel tempo e nello spazio ed entrano in conflitto o divergono [3]”.

In tempi più recenti, il nuovo ‘mito’ delle classi dirigenti locali sembra essere quello della ‘smart city’. “Grandi città ‘connesse’, sempre più governate da algoritmi, è il modello verso cui - tra mille contraddizioni - sembrano orientarsi le ‘scelte’ [4]”. Ma, ovviamente, questo modello di ‘città intelligente’ richiede una quantità enorme di investimenti, che la finanza pubblica non possiede, e quella privata non intende impegnare, per cui - al momento - rimane soprattutto un’idea, un modello ‘ideale’; in ultima analisi un utopia.

Nel concreto, in mancanza - ormai ovunque nel mondo - di una crescita economica impetuosa, propulsiva, l’unica che abitualmente produce quel surplus di fiducia tale da muovere grandi capitali, amministrazioni pubbliche e imprenditoria privata continuano a lucrare sul turismo di massa - che ha, tra l’altro, l’enorme vantaggio di richiedere bassi investimenti.

Il vero dramma - quanto meno nel nostro paese - è però l’assenza di qualsiasi protagonismo da parte dei cittadini - di cui la crescente, e ormai maggioritaria, disaffezione elettorale, non è che la manifestazione più evidente. L’idea stessa di cittadinanza (il cui etimo deriva appunto da ‘città’), assolutamente ‘moderna’, si basa non sulla mera residenza, ma sulla partecipazione attiva, e dunque ‘politica’. E cos’altro è (o dovrebbe essere) la politica, se non “l’articolazione del discorso fra cittadini entro una comunità” [5]? Al contrario, la ripresa del protagonismo di cittadinanza, che non è soltanto (o necessariamente) impegno direttamente ‘politico’, ma innanzitutto partecipazione attiva alla vita comune, alla difesa del bene comune e alla costruzione del comune futuro, è la premessa indispensabile perché anche la ‘politica’ e l’economia tornino a lavorare su una prospettiva generale, e non soltanto rivolta al proprio egoistico ombelico.

Ed è proprio a partire dalle esperienze di governo cittadino, che arrivano segnali positivi, indicatori di un possibile sviluppo ‘altro’, e proprio a partire dalla città. A Madrid, dove i cittadini rivendicano un “diritto alla città” [6] che si articola in varie forme partecipative e dal basso, dal riuso degli spazi abbandonati alla progettazione urbanistica collettiva, anche attraverso un uso sapiente degli strumenti digitali. A Palermo, dove - su input di Manifesta, la manifestazione artistico-culturale internazionale che terrà nella città siciliana la sua 12^ edizione - è stato realizzato ‘Palermo Atlas’ [7], uno studio finalizzato a rendere duraturo l’impatto della manifestazione sulla città e sui cittadini, e soprattutto servire come base per la progettazione futura della città.

A Boston, dove l’amministrazione comunale ha realizzato un’indagine che ha coinvolto 15.000 residenti, e che ha poi prodotto ‘Imagine Boston 2030’ [8], un vasto piano di sviluppo cittadino partecipato, che “is concerned with nearly every facet of life, including housing, education, the economy, open spaces, transportation, art and more”. A Napoli, dove Comune, Università e Sovrintendenza hanno realizzato un piano di recupero urbano, sostenuto finanziariamente, che vincolerà oltre 5000 esercizi commerciali del centro storico ad adeguarsi ed a rispettare regole precise su colori, materiali e forme, come individuate da una equipe di giovani architetti [9]. Ma questi ovviamente non sono che pochi e sparsi esempi, in un panorama di iniziative che spazia dall’Europa all’America Latina, dal nord America all’Africa. La città è il nuovo ‘luogo geometrico’ dove si gioca la competizione globale.

In questo quadro, l’Italia ha potenzialmente una serie di vantaggi straordinari, che vanno oltre la grande (e diffusa) quantità di opere d’arte, il paesaggio, la posizione geografica - al centro del Mediterraneo, ponte naturale fra i tre continenti che vi si affacciano; abbiamo infatti nella nostra memoria storica, nel nostro DNA culturale, la straordinaria esperienza del Rinascimento, quando - a partire appunto dalle città - fummo capaci di una rinascita culturale, artistica, economica e politica, che ha influenzato il mondo intero, ed ha segnato una pietra miliare nella storia dell’umanità. Attingere a quella storia, renderla attuale, è la sola carta che possiamo giocarci per evitare che il declino in atto (che c’è, ha radici profonde, e non è misurabile con il PIL) divenga irreversibile, condannandoci definitivamente ad un ruolo di ‘colonia’, terra di consumo per il turismo (d’elite o di massa) altrui, e ‘portaerei’ puntata sul ‘terzo mondo’ per le operazioni militari di ‘contenimento’.

La prima chiave da utilizzare, e innanzitutto da comprendere, è la partecipazione. Occorrono processi capaci di mobilitare le cittadinanze, di coinvolgerle attivamente ed in modo duraturo - invertendo la prassi di chiamarle solo episodicamente per un voto. Occorre abbattere la barriere che dividono le città, rompendone la frammentazione sociale, urbanistica e culturale, e ricostruendone un ‘senso’ unitario. Che non significa negazione dei conflitti che naturalmente sussistono, ma ala contrario nella loro messa in valore. La seconda chiave è la cultura, non più intesa come mero ‘spettacolo’, né tanto meno come ‘merce’ da mettere sul mercato, e quindi restituendole la sua funzione primaria, che è quella di far da struttura portante dell’identità comune. Occorre ripensarla non come elemento ‘a sé’, ma come parte di un unicum, strettamente intrecciato con l’esperienza quotidiana di vita; cultura e viabilità, trasporto pubblico, sono ad esempio strettamente connesse.

La terza chiave è lo sguardo al futuro. Adagiarsi sulla storia, sul ‘già dato’, equivale a lasciarsi morire. Occorre guardare avanti, immaginare nuove strade da percorrere nel mondo che viene; a partire certo dal dato ‘storico’ (l’identità culturale, la collocazione geografica, la struttura sociale), ma proiettando il pensiero sul domani da costruire. Nel ‘500 erano consapevoli del retaggio della romanità classica, ma lo sguardo della volontà e dell’ambizione era rivolto altrove.

'Quel' Rinascimento, trovò il suo humus in una economia dinamica, una politica ambiziosa e ‘visionaria’, e in una cultura ricca e audace. Strettamente intrecciate tra loro, ché nessuna da sola, né tutte queste cose ma separatamente, avrebbero potuto produrre nulla di simile. Sta, come sempre, a noi la scelta; accettare il declino, tirando a campare ciascuno per suo conto, oppure re-agire al declino, riscoprendo e riattivando il senso di comunità. Un nuovo Rinascimento è possibile, se rimettiamo in moto le energie.

[1] “All’inizio del 2000 le comunità locali in Europa si sono trovate all’apice di una corsa all’attrattività turistica e al centro di un processo di rielaborazione della loro immagine pubblica per trasformarla in un prodotto fortemente brandizzato. Le amministrazioni pubbliche hanno creato luoghi immaginari come I Amsterdam, Only Lyon, Be Berlin, I feel SLOVEnia e molti altri, progettati per attrarre turisti e investitori”.
Intervista a Maria Roszkowska, (rilasciata a Federica Fontana), www.digicult.it
[2] Marco d’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, Feltrinelli
[3] Marco d’Eramo, ibidem
[4] Enrico Tomaselli, Blob cities
[5] Salvatore Settis, Cieli d’Europa, Utet
[6] www.theconversation.com
[7] “Titled Palermo Atlas, the urban study by OMA is the foundational step of Manifesta 12, serving both as a blueprint for Palermo to plan its future and as a research framework to ensure that Manifesta 12 achieves a long-term impact for the city and its citizens. Palermo Atlas represents a novel creative mediation model proposed by Manifesta that focuses on transforming a nomadic art biennial into a sustainable platform for social change, rooted in holistic urban analysis and determined to leave a tangible legacy for every host city”. www.domusweb.it
[8] imagine.boston.gov
[9] napoli.repubblica.it