Dire “formaggio” equivale ad aprire un’enciclopedia di sapori e di profumi, avventurarsi in un avvincente trattato di tecniche e di lavorazioni, assistere al trionfo della fantasia, entrare in un mondo a parte fatto di storie curiose e di gente generosa accomunata dalla fatica, dai ritmi e dai gesti di un’attività da millenni svolta a stretto contatto, quasi in simbiosi, con mandrie e greggi.

Fa parte di questo universo anche la zona montuosa della provincia di Torino, un territorio che abbraccia circa centocinquanta piccoli comuni disseminati in un ameno palcoscenico naturale, dove numerose incantevoli vallate si avvicendano ad ampie estensioni di alpeggi resi produttivi da abbondanti riserve d’acqua di sorgente, lago e fiume.

Un ambiente ideale per allevare mandrie, tradizionalmente miste, cioè composte da capi bovini, ovini e caprini, per buona parte dell’anno lasciate libere a pascolare a cielo aperto nei prati. Saranno gli esperti casari a trasformare, con i gesti misurati e abili di un rituale collaudato nei secoli, il latte, il nutrimento primario per eccellenza, completo ma fatalmente vulnerabile e deperibile, in invitanti e svariate qualità di formaggio, vuoi fresco e tenero, vuoi pressato e stagionato, che si potranno conservare, quasi prodigiosamente, anche per lungo tempo, migliorandosi e affinandosi via via nel gusto.

Una tecnica solo apparentemente semplice che richiede invece grande capacità e tanta esperienza, elementi che qualificano la produzione casearia artigianale e che arricchiscono l'offerta del comparto agro alimentare piemontese con vere specialità che già nel nome ispirano un’impagabile idea di genuinità, naturalezza e gradevolezza. Tra queste, troviamo:

Il cevrin di Coazze, prodotto nel piccolo comune a quaranta chilometri a ovest di Torino che sorge a ridosso del parco dell’Orsiera e si affaccia al fondovalle dove, incuneandosi fra la Valle Chisone e quella di Susa, scorre il torrente Sangone, da queste parti ancora pulito, allegro e vivace. In particolare la sua storia è legata alla piccola frazione di Forno, dove da tempo immemore è prodotto durante la bella stagione, e al comune di Giaveno, dove tradizionalmente è commercializzato. Il peso delle forme varia tra gli 800 e i 1400 grammi; la crosta, secondo il periodo di invecchiamento, varia di colore dal rossiccio più chiaro a quello più scuro; la pasta, morbida e cremosa, è generalmente compatta e presenta un’occhiatura piccola e rada. Per poter utilizzare la denominazione, il latte caprino non deve essere inferiore al 40 percento di quello complessivo utilizzato, la stagionatura deve durare almeno 60 giorni, le forme salate a secco con sale marino e messe in fuscelle d'acero o di frassino all’interno di locali rustici, grotte o cantine, ventilate e naturalmente fresche. Inconfondibile sapore di burro, fieno, pascolo che, con la stagionatura, acquista note sempre più sapide e piccanti.

Il saras del fen, diffuso nelle Val Pellice e nella Valle Chisone, è ottenuto della ricottura del siero residuo di una precedente lavorazione, al quale viene aggiunto ulteriore latte intero vaccino, ovino o caprino di animali allevati a una quota superiore ai 600 metri d’altitudine. Generalmente reperibile durante la bella stagione si distingue per il caratteristico rivestimento di fili di festuca, un’erba della famiglia delle graminacee con cui si realizza il pratico e profumato involucro. Le forme pesano circa un chilo, sono leggermente pressate per ottenere le caratteristiche forme ovoidali, quindi salate e messe a stagionare per un periodo variabile tra 30 e 60 giorni. Oggi, le quindici aziende produttrici ne realizzano circa 200 quintali l’anno. Si contraddistingue per il sapore pieno, anche se delicato e leggero, e per la sua particolare versatilità in cucina dato che fresco può essere utilizzato per insaporire farciture o grattugiato su paste e risotti mentre stagionato è ideale anche per accompagnare verdure grigliate e patate lesse.

La toma di Lanzo, realizzata nelle valli che prendono il nome dalla bella cittadina medievale posta a una trentina di chilometri a nord-ovest di Torino, cioè la Valle di Viù, quella d’Ala e la Val Grande, cui si aggiungono le Valli Malone e Tesso. È un formaggio a pasta semigrassa prodotto con latte vaccino in piccoli caseifici a conduzione familiare e la sua produzione risale alla prima metà del Quattrocento, periodo in cui inizia a essere descritta in svariate cronache e diversi memoriali insieme ad altri prodotti del territorio, diventati in seguito fondamentali per l'economia locale. Tra le sue note distintive troviamo un’ampia versatilità. Nelle varianti lait brusc e ‘d Trarsela, oltre che da tavola, infatti, è usata anche come base per la fonduta, può condire egregiamente una fragrante polenta o un risotto bianco oppure può essere utilizzata con patate e verdure per realizzare piatti energetici e gustosi.

Il Murianengo, un gustoso erborinato che si produce in Alta Val Susa e nell'altipiano del Moncenisio, si presenta con una crosta ruvida di colore giallastro tendente al rossastro e una pasta screziata di muffe nobili, morbida e compatta.

Il tomino di Talucco, irresistibile formaggetta fresca prodotta nella tradizionale pezzatura da 80 – 85 grammi con latte di capra o nella variante a latte misto nei dintorni di Pinerolo e in Val Chisone.

Il Reblochon, formaggio fresco ottenuto con latte vaccino intero e confezionato nella classica forma cilindrica con un peso che può variare dai 300 grammi al chilo, una crosta sottile e untuosa di colore rossastro che racchiude una pasta morbida di colore biancastro incisa da leggere occhiature.

Il Montegranero, eccellente formaggio a lunga conservazione, prodotto in forme del peso di 10-12 chili nell’alta Val Pellice, lavorato con latte intero vaccino, si presenta con crosta dura di colore giallastro e una pasta gialla, compatta e liscia.

Il Salignun, rustico prodotto tipico dell'alto Canavese confezionato partendo da piccole tome conservate per alcuni giorni, sbriciolate e condite con peperoncino e cumino.

Soprattutto nei mesi estivi, nelle varie zone di produzione, a beneficio di appassionati e curiosi, sono allestite numerose mostre mercato e sagre dedicate a questi ed altri prodotti d’alpeggio, su cui è negli ultimi tempi aumentata molto l’attenzione. Infatti, recenti studi hanno evidenziato le loro importanti caratteristiche nutrizionali. In particolare è stato appurato che grazie al tipo di alimentazione particolarmente sana di cui fruiscono le mandrie, una serie di nutrienti si trasferiscono direttamente dal latte ai formaggi che se ne ricavano. In particolare, vitamine, acidi grassi insaturi e proteine. Quest’ultime tra l’altro contribuiscono anche alla formazione del sapore, dato che, durante la maturazione del formaggio si disgregano e formano aminoacidi liberi, che hanno un ruolo decisivo nella formazione degli aromi. La maggior presenza di vitamine si evidenzia invece nel colore più marcato e giallastro della pasta, dovuto all’apporto di betacarotene, la forma più attiva di vitamina A, un importante agente antiossidante e anti radicali liberi.

“Rivalutare e sostenere questi prodotti rappresenta una sfida per tutti noi. Il solo motivo di tanta cocciutaggine è l’orgoglio di vedere riconosciuti i giusti meriti ai nostri antenati, che pur avendo poco a disposizione ai loro tempi, ci hanno lasciato dei veri tesori da difendere. Sta al mondo ora, non lasciarli morire nell'estinzione”. Questa la motivazione, da noi pienamente sottoscritta, raccolta dalla titolare di una delle aziende casearie del torinese dove sono prodotti alcuni di questi piccoli capolavori, che esaltati nella freschezza e nella bontà da una lavorazione artigianale attenta e precisa, sanno sempre entusiasmarci, come le tessere di un prezioso mosaico di sapori antichi e di piaceri ricercati.