A due anni dalla sua ultima personale, Marco Schifano (Roma, 1985) torna, dal 24 novembre 2016 al 24 marzo 2017, allo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (corso Monforte 23).

L’esposizione presenta due nuovi cicli fotografici dell’artista romano: Ballet e Le spose di Max.

La serie Ballet offre, come di consuetudine nel lavoro di Marco Schifano, immagini elusive e seducenti, nate da un lungo e complesso processo di realizzazione, a partire dalle centinaia di scatti dal vivo di rare specie di pesci e fauna marina tropicali, poi pazientemente e “pittoricamente” giustapposti, assemblati e fusi insieme.

Come scrive Gianluca Ranzi nel testo in catalogo, “l’immagine finale che risulta da questo meticoloso quanto fantasioso lavoro riesce a evocare l’aspetto realistico dell’animale, ma al contempo diviene anche qualcosa di completamente altro, una composizione che, attraverso la brillantezza dei colori, la magia delle forme e dei pattern di righe, delle macule e delle geometrie che spiccano sul fondo nero, assume un sapore onirico e conturbante”.

Con Ballet si ripropone uno dei temi principali del lavoro di Marco Schifano, ovvero il dialogo tra tecnologia e natura, tra finzione e realtà, tra messa in posa e naturalezza. La fotografia diviene il mezzo attraverso cui l’artista esprime un sogno privato in cui la natura, l’eros e le metafore dell’arte convivono in nuove forme e inediti insiemi.

Il riferimento al sogno è presente anche nella seconda serie Le spose di Max, in cui c’è un diretto riferimento al famoso quadro di Max Ernst La vestizione della sposa del 1940, oggi nella collezione permanente della Peggy Guggenheim Collection di Venezia.

Come la donna ammantata che compare nell’opera del maestro del Surrealismo, anche le donne fotografate nude a mezzo busto da Marco Schifano portano una maschera rocambolesca e visionaria che copre loro completamente il volto, creando immagini a metà strada tra realtà e illusione, evocative, ma allo stesso tempo di grande presenza.

Le maschere fanno assomigliare le donne a dei totem fatti di fiori, frutta e piume, divinità incombenti, altere e ipnotiche in cui le forme bizzarramente animalesche hanno qualcosa di primitivo e di ancestrale, ma che si distinguono anche per l’eleganza della postura e lo sfarzo della composizione, magicamente dominata da un lussureggiante mondo vegetale.

Ancora una volta Marco Schifano coniuga attraverso l’uso della fotografia mondi lontani come l’arte e la scienza, l’antropologia e la botanica, la zoologia e la pittura, in un viaggio nomade e affascinante fatto tanto di rigore progettuale e di precisione ottica, quanto di suggestione e incantamento.

Marco Schifano (1985) vive e lavora a Roma.

Sin dall’infanzia i suoi “giocattoli” sono cineprese e macchine fotografiche, con le quali cresce sperimentando la propria capacità comunicativa. Si esercita nel “montaggio in macchina” per ottenere filmati dove fonde le sue ricerche sul senso e sul ritmo: tante ore di girato e un gran numero di scatti per arrivare a una propria rappresentazione estetica del mondo.

La sua opera fotografica più recente si basa su una processualità complessa che prevede una lunga ricerca preliminare di elementi coordinati, assemblati e quindi ripresi per dare vita a iconografie altamente formalizzate. Lo still life è usato per rileggere la tradizione pittorica della natura morta, attraverso immagini che si collocano sulla soglia tra realtà e finzione.