Ciò che ho scritto con l'amico e collega Pier Luigi Luisi rappresenta la realizzazione di un sogno che ho da moltissimi anni, secondo un orizzonte concettuale coerente che integra quattro dimensioni della vita: dimensione biologica, cognitiva, sociale ed ecologica. E poi ancora le implicazioni filosofiche, sociali e politiche di questa visione integrante; vorrei iniziare proprio da queste implicazioni.

La grande sfida del nostro tempo è costruire e mantenere comunità sostenibili. In una comunità sostenibile non va sostenuta la crescita economica o un vantaggio competitivo, ma l'intera rete della vita dalla quale dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. In altre parole, una comunità sostenibile è progettata in modo tale che il suo stile di vita, le sue imprese, l'economia, le strutture fisiche e le tecnologie non interferiscano con la capacità insita nella natura di sostenere la vita. Il primo passo in questo sforzo, naturalmente, deve essere quello di capire come la natura sostiene la vita, così si scopre una concezione della vita completamente nuova. Infatti, questa nuova concezione si è formata durante gli ultimi trent'anni.

All'avanguardia della scienza contemporanea, l'universo non è più visto come una macchina fatta di componenti elementari. Abbiamo scoperto che il mondo materiale, alla fine, è una rete inseparabile di relazioni e che il pianeta nel suo complesso è un sistema vivente che si autoregola. L’immagine del corpo umano come una macchina, e della mente come entità separata, è stata sostituita da una visione che vede non solo il cervello, ma anche il sistema immunitario, gli organi del corpo, e persino ogni cellula come sistemi viventi e cognitivi. L'evoluzione non è più vista come una lotta competitiva per l'esistenza, ma piuttosto come una danza cooperativa in cui la creatività e l'emergere costante di novità sono le forze trainanti. E con la nuova enfasi su complessità, reti e schemi di organizzazione, una nuova scienza delle qualità sta lentamente emergendo. Pier Luigi e io offriamo una sintesi di questa nuova scienza. La chiamiamo "la visione sistemica della vita" perché coinvolge un nuovo modo sistemico di pensare — cioè pensare in termini di relazioni, di schemi e di contesto.

Il pensiero sistemico emerge negli anni Venti e Trenta del novecento da una serie di dialoghi interdisciplinari tra biologi, psicologi ed ecologi. Gli scienziati di questi campi si resero conto che un sistema vivente — organismo, ecosistema o sistema sociale — è un insieme integrato le cui proprietà non possono essere ridotte a quelle di parti più piccole. Le proprietà "sistemiche" sono proprietà dell’intero che nessuna delle parti possiede. Il pensiero sistemico quindi coinvolge un cambiamento di prospettiva dalle parti all’intero. I primi pensatori sistemici formularono questa comprensione con l'asserzione famosa: "L’intero è più della somma delle sue parti".

La scienza sistemica ci dice anche che tutti i sistemi viventi condividono una serie di proprietà e di principi di organizzazione. Questo significa che il pensiero sistemico può essere usato per integrare le discipline accademiche e per scoprire delle similitudini tra diversi fenomeni nel grande campo dei sistemi viventi. Durante gli anni Settanta e Ottanta, il pensiero sistemico si è elevato a un nuovo livello con lo sviluppo della teoria della complessità, nota in linguaggio tecnico come "dinamica non lineare". Il grande interesse per i fenomeni non lineari ha generato una serie di nuove e potenti teorie che hanno aumentato sensibilmente la nostra comprensione di molte caratteristiche fondamentali della vita. "La visione sistemica della vita" è il nome della nostra sintesi di quelle teorie. Per discuterla in modo giusto, sarebbe necessario un intero corso. Oggi possiamo darvi solamente alcuni spunti.

Una delle scoperte più importanti della comprensione sistemica della vita è il riconoscimento del fatto che la rete è lo schema di organizzazione principale di tutti i sistemi viventi. Gli ecosistemi sono interpretati come reti alimentari (cioè reti di organismi), gli organismi sono reti di cellule, e le cellule sono reti di molecole. La rete è uno schema che è comune a tutta la vita. Ovunque vediamo la vita, vediamo reti viventi. In effetti, al cuore del cambiamento dei paradigmi dalla visione meccanicistica della vita troviamo un cambiamento fondamentale di metafore: da una visione del mondo come macchina a una visione come rete. Secondo la teoria dell'"autopoiesi sociale", sviluppata dal sociologo Niklas Luhmann, le reti viventi nella società umana sono reti di comunicazioni. Come le reti biologiche, sono auto-generanti, ma ciò che generano è in gran parte non materiale. Ogni comunicazione genera pensieri e significati, che fanno nascere nuove comunicazioni, e così la intera rete genera se stessa.

È molto istruttivo comparare le reti biologiche e sociali. Le reti biologiche operano nell'ambiente della materia, le reti sociali nell'ambiente del significato. Ambedue producono strutture materiali e le reti sociali producono anche le caratteristiche non materiali della cultura — valori, norme di comportamento, credenze, conoscenze, e così via. I sistemi biologici scambiano molecole nelle loro reti di reazioni chimiche, i sistemi sociali scambiano idee e informazioni nelle loro reti di comunicazioni. Le reti biologiche producono e sostengono un confine materiale che impone delle limitazioni sulla chimica che si svolge all'interno. Le reti sociali producono e sostengono un confine non materiale, un confine culturale, che impone delle limitazioni sul comportamento dei suoi membri.

Possiamo applicare queste considerazioni all'economia e alla gestione delle imprese, e discutere una nuova comprensione sistemica della leadership, nonché affrontare i vari problemi della nostra crisi globale. Oggi sta diventando sempre più evidente che i problemi cruciali del nostro tempo — energia, ambiente, cambiamenti climatici, povertà — non possono essere compresi separatamente. Sono problemi sistemici, cioè sono tutti interconnessi e interdipendenti. Il dilemma fondamentale alla base di tutti questi problemi sembra essere l'illusione che su un pianeta limitato sia possibile una crescita illimitata. Questa fiducia irrazionale in una perenne crescita economica è indicativa di uno scontro fondamentale fra un pensiero lineare e gli schemi non lineari della nostra biosfera — i sistemi e i cicli ecologici che costituiscono la rete della vita. Questa rete globale altamente non lineare contiene innumerevoli cicli di feedback attraverso i quali il pianeta si regola e trova un suo equilibrio. Il nostro attuale sistema economico, invece, è alimentato da un materialismo e un'avidità che non sembrano conoscere alcun limite.

La crescita dell'economia e la crescita delle aziende sono il motore del capitalismo globale — il sistema economico attualmente dominante. Al centro dell'economia globale si trova una rete di flussi finanziari priva di qualsiasi impostazione etica. Infatti, l'ineguaglianza e l'emarginazione sociale sono caratteristiche insite nella globalizzazione economica che ampliano il divario fra ricchi e poveri e aumentano la povertà nel mondo. Questo sistema economico persegue implacabilmente una crescita illimitata, promuovendo un consumo eccessivo e un'economia dello spreco basati sull'uso intensivo di energia e di risorse, il che genera rifiuti e inquinamenti e dissipa le risorse della Terra. Inoltre, questi problemi ambientali sono aggravati dai cambiamenti climatici provocati da tecnologie a uso intensivo d'energia e di combustibili fossili.

Sembra chiaro che la sfida cruciale è come passare da un sistema economico basato sul concetto di crescita illimitata a un sistema che sia ecologicamente sostenibile e socialmente equo. Crescita zero, oppure "decrescita", non è la soluzione. La crescita è una caratteristica centrale della vita. Una società o un'economia che non crescono, prima o poi moriranno. Nella natura, però, la crescita non è lineare e illimitata. Mentre alcune parti degli organismi o degli ecosistemi crescono, altre decadono, liberando e riciclando le proprie componenti che a loro volta diventano risorse per una nuova crescita. Questo tipo di crescita equilibrata e sfaccettata è ben nota ai biologi e agli ecologi. La chiamo "crescita qualitativa" in contrapposizione al concetto economico attuale di crescita quantitativa, misurata con l'indice indifferenziato del prodotto interno lordo (il PIL). Infatti, quello che si chiama "crescita" oggigiorno è più che altro spreco, ciò significa che oggi abbiamo un'economia di spreco e distruzione. Crescita qualitativa, invece, è una crescita che valorizza la qualità della vita attraverso la generazione e la rigenerazione. Nelle società, negli ecosistemi e negli organismi viventi, la crescita qualitativa include un aumento della complessità, della raffinatezza e della maturità.

L'attenzione alla crescita qualitativa è in armonia con la nuova concezione scientifica della vita che è, essenzialmente, una scienza delle qualità, come ho menzionato. Le qualità nascono da processi e schemi relazionali fra le parti. Dunque, se cerchiamo di descrivere in termini puramente quantitativi sistemi complessi come gli organismi, gli ecosistemi, le società e le economie, non potremo comprendere la loro natura. Le quantità possono essere misurate; le qualità richiedono una mappatura. Quindi, per valutare la salute di un'economia abbiamo bisogno di indicatori qualitativi di povertà, salute, educazione, inclusione sociale, ambiente, ecc., nessuno dei quali può essere ridotto a coefficienti monetari o aggregato agli altri per formare una semplice cifra. Dobbiamo qualificare la crescita, cioè dobbiamo distinguere fra crescita "buona" e crescita "cattiva." Da un punto di vista ecologico, questa distinzione è ovvia. La crescita cattiva è una crescita di servizi e di processi produttivi che sono basati sui combustibili fossili, hanno a che fare con sostanze tossiche, esauriscono le nostre risorse naturali e degradano gli ecosistemi del pianeta. La crescita buona, invece, è una crescita di servizi e di processi di produzione più efficienti, che comprendono energie rinnovabili, emissioni zero, riciclo continuo delle risorse naturali e il risanamento degli ecosistemi della Terra. Dobbiamo dunque aumentare la crescita buona e ridurre quella cattiva, in modo che le risorse naturali e umane legate a processi di produzione inefficienti e inquinanti possano essere liberate e riciclate in processi efficienti e sostenibili.

In conclusione vorrei dire alcune parole a proposito della sostenibilità ecologica. Come ho già spiegato, una comunità sostenibile è progettata in modo tale che il suo stile di vita, le sue imprese, l'economia, le strutture fisiche e le tecnologie non interferiscono con la capacità insita nella natura di sostenere la vita. Il primo passo in questo sforzo, naturalmente, deve essere quello di comprendere i principi d'organizzazione che gli ecosistemi della Terra hanno sviluppato per sostenere la rete della vita. Questa conoscenza dei fondamentali principi ecologici — in altre parole la dimensione ecologica della visione sistemica della vita — è noto oggigiorno come ecoliteracy — "essere letterati in ecologia", oppure formazione ecologica. Diventare letterati in ecologia è il primo passo sulla strada verso la sostenibilità. Il secondo passo è l'ecodesign, ossia la progettazione ecologica. Dobbiamo applicare la conoscenza ecologica alla riprogettazione delle nostre tecnologie e istituzioni sociali, in modo da colmare l'attuale divario fra la progettazione umana e i sistemi sostenibili della natura. Negli ultimi anni abbiamo visto un aumento notevole nelle pratiche dell'ecodesign, che conferma che la formazione ecologica e la visione sistemica della vita ci possono dare le conoscenze e le tecnologie per creare un futuro sostenibile. Quello che ci serve è la volontà politica e la leadership.

Testo di Fritjof Capra

Per maggiori informazioni:
Fritjof Capra e Pier Luigi Luisi, Vita e natura: una visione sistemica, Aboca Edizioni, 2014 http://www.abocamuseum.it/it/editoria/pubblicazioni/libri/vita-e-natura-una-visione-sistemica www.abocamuseum.it/newsletter/2014/Vita_natura.html