Un cambiamento epistemologico che cambia la vita

“Maturana è indubbiamente uno di quei pensatori che, nei secoli passati, sarebbero stati mandati al rogo senza ritrattazione ed è uno dei pochi autori che al giorno d’oggi intraprendono la costruzione di un ampio e completo sistema di spiegazione, comparabile a quello di Platone o Leibniz”. (von Glasersfeld 1990)

Eppure, se consideriamo la sua vita di studioso, vediamo che egli è sorto come scienziato nel senso più tradizionale della parola, abbandonando progressivamente quel punto di vista, a mano a mano che i suoi stessi studi biologici procedevano, fino a giungere a “quel basilare cambiamento epistemologico e ontologico» (Maturana 2002), nel cui orizzonte avrebbe preso vita la sua biologia della cognizione e quindi la teoria dei sistemi autopoietici.

Si è trattato di un cambiamento ontologico radicale a seguito del quale egli non si chiedeva più «Che cos’è? Qual è l’essenza di quello che io osservo?», bensì «Come faccio ciò che faccio come osservatore?» (Ibidem). Proprio nel cuore della scienza sarebbe sorta la sua rivoluzionaria epistemologia, intrecciata e intessuta alla sua stessa vita, tanto da mutare il suo modo di conoscere anche nel vivere quotidiano, non potendo egli più, da quel momento in poi, abbandonare la consapevolezza del fatto che niente di esterno a noi può specificare ciò che accade in noi.

Il ribaltamento epistemologico nel suo pensiero implicava il passaggio dall’essere al fare e ancora dall’interrogarsi sui processi al chiedersi, staccandosi da una loro consistenza ontologica “essenzialista”, per passare ad una ontologia incarnata nel linguaggio, quale criterio si usasse per sostenere che qualcosa fosse come si diceva che fosse (Maturana e Poerksen 2004, 14-15).

Dalle scienze biologiche la nuova visione del mondo

Determinanti, nel processo evolutivo del pensiero di Maturana, sarebbero stati i suoi studi biologici giovanili sulla percezione visiva della salamandra (vedi ad es. Maturana 1983; 2002; Maturana e Varela 2004; Maturana e Poerksen 2004), con riferimento ad esperimenti simili che il premio Nobel Roger Sperry andava effettuando, a seguito dei quali egli avrebbe iniziato la sua critica verso il modo che tradizionalmente aveva la maggior parte dei neurobiologi di concepire il processo percettivo. Già il significato stesso della parola percezione, provenendo dal latino per capiere, evidenzia il processo dell’afferrare o catturare qualcosa, la cui presenza è evidentemente già presupposta nel mondo esterno; questa è la concezione che, secondo Maturana, deve essere abbandonata (Maturana 1983, 256), con un mutamento radicale anche linguistico.

Eppure, quando egli iniziò a studiare la percezione visiva, con studi biologici di tipo anatomico e fisiologico, fra il 1950 e il 1960, lo fece partendo dall’assunto cognitivo che all’esterno di ogni soggetto conoscente vi fosse una realtà oggettiva, o ambiente, che veniva riprodotta al suo interno, realtà che esso poteva percepire (conoscere), usando l’informazione ottenuta nella sua percezione per calcolare un comportamento adeguato alla situazione percepita (Maturana e Varela 2004, 26). [Mascolo 2011, 65-66]

Maturana e le salamandre di Sperry

Premio Nobel nel 1981 per la Fisiologia della medicina, premio condiviso con i due ricercatori della visione di Harvard, David Hubel e Torsten Wiesel (Finger 2000, 282), Roger Wolcott Sperry (1913-1994) diede il suo grande contributo nell’ambito delle neuroscienze, ma anche della neurofilosofia (Puente 2002). Egli fu abilissimo nel disegnare esperimenti critici, che richiedevano di guardare alla crescita e al funzionamento del sistema nervoso in modo nuovo; i suoi esperimenti erano programmati con grande accuratezza e guidati dalla ferma credenza che se le scoperte non si adattano alle teorie, queste devono essere rifiutate, anche se si trattava di quelle delle autorità che lo avevano formato (Grafstein 2006, 2827).

È proprio dai famosi studi di Roger Sperry sulle salamandre che Maturana stesso comincia, quando gli viene chiesto di raccontare la storia del suo riorientamento epistemologico; i propri studi effettuati su rane, piccioni o salamandre gli avrebbero fornito le circostanze adatte ad abbandonare la via tradizionale delle ricerche sulla percezione e a cambiare il sistema dell’indagine epistemologica (Maturana 1994, 59).

Come dice Maturana, al cuore delle prime ricerche di Sperry vi era un semplice esperimento. Il biologo rimuoveva uno degli occhi di una salamandra, tagliava il nervo ottico e, dopo aver ruotato l’occhio di centottanta gradi, lo riponeva attentamente nella stessa tasca oculare; dopo qualche tempo, la ferita nell’animale si rimarginava e questi riguadagnava la visione, ma vi era una differenza cruciale: quando voleva catturare un verme, la salamandra lanciava la sua lingua con una deviazione di centottanta gradi, corrispondente esattamente al grado di rotazione compiuta nell’esperimento sul suo occhio, non riuscendo, dunque, nel suo “intento” di afferrare la sua preda.

Secondo Maturana, gli obiettivi degli esperimenti di Sperry erano due. Egli voleva scoprire: 1. se il nervo ottico fosse in grado di rigenerarsi e, se così fosse stato, se le fibre del nervo ottico, rigenerandosi, si sarebbero riunite alla loro originaria area di proiezione nel cervello; 2. se le salamandre fossero in grado di correggere il loro comportamento e se fossero in grado di imparare, per tentativi ed errori, ossia se, con ripetuti lanci della lingua, fossero ancora capaci di individuare il verme per nutrirsene.

I risultati sperimentali davano una risposta positiva alla prima domanda, ma negativa alla seconda (Maturana 2004, 59-60; Maturana e Poerksen 2004, 55), come racconta Humberto Maturana, per il quale Roger Sperry aveva formulato “in modo fuorviante” i suoi obiettivi di ricerca, tanto, afferma, da «rischiare di oscurare il fenomeno osservato» (Maturana 2004, 60). Il problema sarebbe stato che Sperry sembrava dare per certo che oggetti esistenti nel mondo esterno venissero trattati dal cervello della salamandra come informazioni riguardanti la loro forma e la loro localizzazione; solo su queste premesse era possibile sostenere che l’animale avesse compiuto un “errore”, non essendo stato in grado di elaborare correttamente le informazioni provenienti dall’esterno.

Questo modo di esprimere il proprio pensiero, giunge, però, quando già Maturana aveva effettuato il viraggio epistemologico, che lo aveva condotto a non credere più nella possibilità di accedere ad un’unica realtà, solidamente e incontrovertibilmente valida per tutti. Tale consapevolezza non era ancora in atto in lui, mentre ripeteva i lavori sperimentali di Sperry, negli anni cinquanta del novecento, riferendosi ai lavori di Sperry degli anni quaranta.

È interessante, altresì, notare come, più tardi, rivisitando i suoi stessi lavori (1956), Sperry stesso faccia meglio capire lo scopo del famoso esperimento di rotazione dell’occhio della salamandra; esso si sarebbe collocato all’interno della grande discussione riguardante il comportamento degli esseri viventi, per trovare risposta all’interrogativo: è tale comportamento ereditario o acquisito?

Dando per scontata la capacità rigenerativa del nervo ottico, che non era da provare, dunque, la prima cosa che si chiedeva Sperry è come possa un animale, le cui fibre ottiche sono state tutte tagliate vicino al punto focale, ristabilire questo sistema intricato e preciso di connessioni, ossia se lo faccia guidato dall’esperienza o invece in modo “automatico”, con una rigenerazione del sistema che segue configurazioni prestabilite e che si manifestano durante il processo di ricrescita delle fibre.

Sperry fece diversi esperimenti simili a quello descritto precedentemente. I suoi animali operati, pur riguadagnando la visione, non riuscirono mai ad imparare a vedere normalmente e non fu possibile correggere il loro comportamento.

Avendo mostrato che gli animali non imparano, Sperry conclude dicendo che la ricrescita ordinata delle fibre del nervo ottico non si ottiene tramite l’apprendimento, ma piuttosto essa è predeterminata nel processo di crescita stesso. Puntualizzando che modelli sperimentali simili a quelli degli esperimenti sulla visione sono risultati applicabili ugualmente ad altre parti del sistema nervoso centrale, Sperry tornando alla domanda iniziale, conclude che l’ereditarietà della configurazione del sistema nervoso sembra prevalere rispetto al suo apprendimento (Sperry 1956).

Sperry dice delle cose molto interessanti che appaiono in linea con il punto di vista di Maturana, pur non possedendo, in effetti, la sua prospettiva epistemologica rispetto alla questione della “realtà”; Sperry, ad esempio, non parla di apprendimento in quanto acquisizione di informazioni dall’esterno, ma di configurazione organizzata della visione in qualche modo tipica dell’animale considerato e di organizzazione spaziale all’interno del campo visivo. Quindi, il passo fra le considerazioni sul sistema nervoso fatte da Sperry e quelle di Maturana appare breve. Sperry ci dice che l’animale operato, pur avendo una sua propria organizzazione del sistema nervoso, non riesce ad afferrare la preda, né impara a farlo, perché tende a comportarsi secondo gli schemi derivanti proprio da tale organizzazione, e non aggiunge altro, perché è interessato maggiormente a provare la sua ipotesi di accrescimento geneticamente prestabilito delle fibre nervose.

Maturana spinge alle estreme conseguenze il ragionamento di Sperry, derivandone quella che egli considera una vera e propria rivoluzione epistemologica. Secondo la sua interpretazione degli esperimenti di Sperry, la salamandra metterebbe in correlazione le attività del suo sistema nervoso, che portano al movimento e all’eiezione della lingua, con le attività di una certa porzione della sua retina; se le viene mostrata l’immagine di un verme, essa eietta la sua lingua, ma non lo fa, come apparirebbe ad un osservatore, avendo come obiettivo un verme nel mondo esterno; la correlazione è una correlazione interna, per cui non è sorprendente che la salamandra non possa cambiare il proprio comportamento e non possa imparare. In pratica, anche Maturana ritiene che il comportamento della salamandra dipenda dalle correlazioni interne del sistema nervoso come già aveva detto Sperry.

Maturana prova anche a rispondere all’obiezione che sorge immediata, in base alla nostra comune esperienza, pensando al comportamento usuale di una salamandra nell’atto di catturare il suo verme e nutrirsene, per quanto ci è dato di sapere, solitamente molto preciso ed efficace. Se il comportamento della salamandra dipende, come dice Humberto, dalle correlazioni interne generate dal suo sistema nervoso, risulta difficile comprendere come essa riesca nel suo intento catturando precisamente la propria preda nell’ambiente esterno. Egli ritiene di poter chiarire questo dubbio, ricordando che la salamandra e il verme condividono una storia comune e sono parte di un processo evolutivo durante il quale si sarebbero sviluppate, in un accoppiamento strutturale fra l’organismo e il suo mezzo, relazioni di corrispondenza finemente sintonizzate e mutue trasformazioni, mai più abbandonate e che consentono il realizzarsi dell’attività predatoria dell’animale per il proprio sostentamento.

La storia continua…

La risposta di Humberto è piuttosto elaborata e conseguenza di una maturazione filosofica che egli non doveva avere o non aveva ancora a livello cosciente agli inizi della sua carriera di pensatore, nel periodo in cui ripeteva, in Inghilterra, nel 1955, gli esperimenti di Sperry. Gli ci vollero a suo dire altri dieci anni, per rompere il velo che non gli faceva capire, pienamente e in modo adeguato a se stesso, il senso di quello che stava facendo. Il processo per l’acquisizione consapevole della sua nuova epistemologia sarà ancora lungo e solo dopo altri studi e incontri di “serendipità” nella sua vita, Maturana sarà finalmente in grado di uscire, come esci ama dire, dall’oscurità che prima lo avvolgeva (Maturana e Poerksen 2004, 55-57). [Mascolo 2011, 99-107].

Anche gli esperimenti sulle rane e sulle salamandre saranno allora rivisitati secondo una nuova prospettiva e saranno essi stessi fonte di cambiamento, quando egli avrà raggiunto il momento della sua propria maturità intellettuale. Sarà quando, negli anni settanta del novecento, comparirà la figura dell’osservatore e, soprattutto, quando emergerà l’effettiva formulazione della teoria dei sistemi autopoietici, come vedremo in seguito.

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Bibliografia

Mascolo Rossella, 2011, L’emergere della biologia della cognizione. La complessità della vita di Humberto Maturana Romesin, aracneeditrice.it

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